Nel quadretto di Carlo Verdelli il dipinto (macabro) del capo del sindacato RAI

Senza Bavaglio
Roma, 29 ottobre 2019

Dopo che abbiano dato notizia della scandalosa decisione del sindacato dei giornalisti RAI di studiare come fare a assegnare un compenso in denaro al segretario generale ,abbiamo cercato di capire bene chi sia il segretario dell’USGRAI, Vittorio Di Trapani.

Una perfetta pennellata di come funziona il sindacato in RAI e di chi sia il suo capo, ce la fornisce Carlo Verdelli, attuale direttore di Repubblica ed ex direttore editoriale per l’Offerta informativa  della RAI, nel suo libro dalla copertina gialla: “Roma non perdona, come la politica si è ripresa la RAI”.

Inizi di febbraio ore 16. Ero fresco di una mail intitolata “pensieri vagabondi”, che mi aveva inviato un collega di una testata di peso, dando per scontato l’anonimato: “Il nostro personale è scadente, la gente non si sente parte di una squadra, ma ciascuno è legato al tale politico, alla tale famiglia romana. L’assunzione in Rai è uno status, si sgobba quando si è precari, poi si lascia che lavorino gli altri. L’unico scopo è conquistare una posizione, un grado. Caro mio, o accetti questo stato di cose o hai chiuso prima ancora di cominciare”.

Il libro dalla copertina gialla di Carlo Verdelli

La riunione con i vertici sindacali si svolse in una specie di aula scolastica, senza i banchi, al terzo piano, quello del Personale. Con me c’era l’allora capo delle Risorse umane, Valerio Fiorespino e un paio di suoi collaboratori. Dall’altra parte del tavolo, uno squadrone di almeno quindici persone, con al centro il leader dell’Unione Sindacale dei Giornalisti Rai (da qui, USIGRAI), Vittorio Di Trapani, un gesù attorniato dai discepoli, abituato a fare la voce grossa senza alzare la voce. Nei suoi confronti, era palpabile una devozione che non ho mai visto concentrarsi su nessuno dei vari referenti dei comitati di redazione frequentati in carriera, nemmeno su Raffaele Fiengo, trascinatore a cavallo di due secoli del Cdr del “Corriere della Sera”.

Napoletano precocemente romanizzato, vicino a tutte le associazioni di stampa “libera”, Di Trapani è un quarantenne di potere, svezzato da Vasco Rossi e cresciuto alla sapiente scuola Rai di Beppe Giulietti  (ulivista, dipietrista, presidente della Fnsi, il sindacato dei sindacati giornalisti, stesso ruolo ricoperto in passato anche da Franco Siddi, poi diventato consigliere di Viale Mazzini). In azienda da quando era  ragazzino (1999),  il giornalista Di Trapani guida il sindacato dal 2012, secondo mandato in scadenza nell’estate del 2018, dopo di che sarebbe dovuto tornare a fare il suo mestiere a Rai News24, dove è redattore, visto che per statuto non esiste un terzo mandato.  E invece, proprio a giugno 2018, verrà modificato quel certo articolo dello statuto e lui si ritroverà confermato con una maggioranza da plebiscito: Vittorio il vittorioso, influente notabile della Bolla, parole d’ordine “non passi lo straniero” e “prima gli interni” , con un involontario retrogusto salviniano.

Ma veniamo al match. Sbrigate presentazioni e preamboli, il “Segretario”, tutti i suoi lo chiamano così, con un’implicita S maiuscola, si toglie con calcolata calma i molti anelli che ha sulle dita e li dispone davanti a sé accanto al cellulare silenziato, come a prepararsi a uno scontro a mani nude. Mi guarda con un sorriso sfidante: ”Allora, vorremmo che ci spiegassi il tuo programma. Prego”.

“Molto semplice, cari colleghi. Cambiare alla svelta il modo in cui la Rai fa informazione perché è un modo fuori corso.”

Il Segretario si toglie, dopo gli anelli, gli occhiali. Aggiungo: “Avanti così, i numeri continueranno a calare e a farne le spese saranno anche le persone che rappresentate. Non in questa gestione, visto che Campo dall’Orto ha già stradetto che non ci saranno esuberi, a differenza del piano Gubitosi, da voi appoggiato, che ne prevedeva un bel po’. Ma succederà presto lo stesso”.

Sorriso beffardo: “Questo lo vedremo”. I discepoli assentono severi con le teste.

“Ma lo state già vedendo. È già in atto. Fuori dalla vostra bolla, tutti gli editori stanno tagliando i costi, cioè le teste, e sarà sempre peggio, sempre più giornalisti usciranno dal mercato del lavoro con pochissime speranze di rientrarvi.”

Di Trapani cala l’asso. ”Noi siamo il Servizio pubblico, dovresti saperlo anche se sei qui da poco. E il sindacato è il primo a spingere per un rinnovamento, da anni stiamo spingendo. Abbiamo programmi, idee, cose concrete con cui pretendiamo di confrontarci. Voi nuovi ci dovete ascoltare.” Nuovi. Dovete.

Mi sporgo un po’ in avanti, verso di lui. “La mia è solo una sensazione ma mi pare che, al di là delle dichiarazioni di principio, siate più preoccupati di difendere i privilegi dei giornalisti Rai piuttosto che i loro diritti. E il primo di questi diritti è essere messi nella condizione di lavorare per una Rai più viva e più utile.”

Brusio di disapprovazione dall’altra parte della barricata. Lo zittisce con un gesto il Segretario, che contrattacca: “Ci stai minacciando, perché se l’intento è questo…”.

“Ma quale minaccia. Vi sto dicendo la verità. Voi potete battere tutto e tutti ma non il futuro. E nel futuro presente la Rai non c’è, ha un approccio vecchio nel modo di scegliere e dare le notizie, è drammaticamente assente sul digitale, ogni testata si muove e pretende spazi come se le altre non esistessero, con una moltiplicazione inutile e costosa delle edizioni.”

Sulla parola “edizioni”, e sul sottinteso bisogno di sfrondarle (“mai, neanche una, siamo al servizio del Paese, ricordatelo bene”), saggiamente il dottor Fiorespino propone di aggiornare la discussione ad altra data.  Mentre si sfolla in un clima polare, una sindacalista della corrente di minoranza prova ad accendere un fiammifero di calore: “Eh,  non è stato un buon inizio. Ma a volte succede che dagli scontri nascano incontri”.  Le stringo la mano e le sorrido, sapendo per esperienza che non sarà questo il caso.

Un quadretto, quello dipinto da Verdelli, illuminante che centra il problema quando descrive l’attitudine di Di Trapani: e degli altri sindacalisti della RAI: “Siate più preoccupati di difendere i privilegi dei giornalisti Rai piuttosto che i loro diritti”. Esattamente quanto Senza Bavaglio scrive da anni. Naturalmente inascoltato. I sindacalisti hanno da anni rinunciato a giocare un ruolo costruttivo nella società. Non sono più in grado di difendere i posti di lavoro, un compito cui hanno abdicato con il varo degli ultimi due contratti, e neppure di proteggere e aiutare la democrazia, avendo rinunciato alla funzione storica di guardiano del potere.

Particolarmente gravi le responsabilità dei sindacalisti della Rai, dove – ripetiamolo – non hanno mai licenziato nessuno, non ci sono stati di crisi, il ricorso alla solidarietà è sconosciuto e la cassa integrazione resta ben lontana fuori dalla porta e dove la gestione dell’informazione è di parte e non al servizio della collettività, nonostante le indubbie capacità professionali di tantissimi, molti colleghi. La spina dorsale dei giornalisti RAI è formata da colleghi professionalmente validi, responsabili e capaci (e non parliamo solo di quelli che simpatizzano per Senza Bavaglio). Poi però ci sono coloro che hanno raggiunto il posto fisso in azienda per meriti politici. Questi per il sindacato non esistono. Vogliamo per la prima volta parlarne?

Ripetiamo fino alla nausea: così com’è la RAI non è più un servizio pubblico. Si è traformato in  un ente privato gestito con soldi pubblici dove comandano i partiti e il sindacato dei giornalisti.

Senza Bavaglio
twitter @sbavaglio
(2 – fine)

Ultima frontiera del sindacato RAI: darsi uno stipendio pagato dai colleghi

Condividi questo articolo