Senza Bavaglio
Milano, 21 dicembre 2022
Come si fa a perdere un’occasione così? Bloccare per due giorni un giornale, impedire quindi un incasso pubblicitario enorme (perché sotto Natale) e ritirare tutto rinunciando a chiedere un doveroso e sostanzioso premio di produzione e chiedendo praticamente scusa all’editore porgendo l’altra guancia in attesa di altre sberle.
Infatti, hanno capito poco o niente i 102 giornalisti del Corriere della Sera che ieri hanno votato a favore della mozione che chiedeva di revocare i due giorni di sciopero decisi l’altro ieri. In cambio della concessione di uno scampolo di smart working di 6/8 giorni al mese per 6 mesi raggiunta con un accordo che, per altro, è stato firmato da 4 membri del CdR su 5.
Trascinata da un gruppetto di colleghi più propensi a tutelare gli interessi dell’azienda piuttosto che quelli della redazione, l’assemblea è stata indotta a revocare l’astensione dal lavoro immaginiamo con grande gioia e giubilo da parte dell’editore.
Ma anche alcuni dei dirigenti sindacali avvezzi più a pensare alla propria carriera che alla completezza dell’informazione saranno soddisfatti e contenti.
E qualcuno per una seconda volta ha sbandierato lo spauracchio della caduta del CdR se la mozione con la revoca dello sciopero non fosse stata approvata.
Se una redazione come quella del Corriere non è in grado di reagire a discutibili comportamenti editoriali tesi solo a far cassa senza alcuna cura per la qualità del prodotto e della vita dei redattori e dei collaboratori che fanno tutti i giorni il giornale, non sarà neppure capace di reagire nel momento in cui saranno annunciati tagli agli stipendi o addirittura riduzioni della forza lavoro.
La vittoria di Urbano Cairo è innegabile come è indubbia la sconfitta della redazione anche se gli 85 redattori che hanno votato contro questo trattamento riservato alla redazione (e i 12 astenuti) probabilmente sarebbero stati di più se il voto fosse stato segreto. Infatti i condizionamenti ambientali – a dire di chi ha partecipato – sono stati palpabili.
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MI sembra la conferma di una tendenza che si registra da tempo, purtroppo: ci si arrende facilmente per non correre il rischio di mettersi in gioco. Meglio appendere le chiavi dove vuole il padrone, come ormai fa la quasi totalità delle redazioni. Per condurre certe battaglie bisogna avere le palle e la consapevolezza che così facendo si rischia di uccidere la professione giornalistica. E la dignità.
Aridatece Fiengo!
Magari darà anche fastidio sentirsi dire “conigli”, ma nella sostanza è una parola che fotografa la realtà del nostro mestiere, ormai strattonato da chi ci disprezza, da chi invoca, con l’alibi della privacy, la nostra totale cecità dinanzi a sopercherie ed intrallazzi, soprattutto quando a calmierare le nostre attività ci si mettono gli editori (vedi il caso dell’espresso, col direttore giubilato per avere svolto un’inchiesta non gradita). Siamo conigli, è vero…non tutti però, tuttavia la lezione dell’assemblea di via Solferino in cui i colleghi che avevano deciso due giorni di sciopero contro Cairo, per rimangiarsi tale scelta e scendere a patti (un piatto di lenticchie), lo dimostra. Sottinteso lo spauracchio di perdere ruoli e posti: è l’editore che tiene il coltello dalla parte del manico. Perché è altrettanto vero che ci sono legioni di aspiranti giornalisti che accettano le condizioni dei padroni del vapore, pur di lavorare (il mondo del lavoro è una giungla). E’ il ricatto che terrorizza i colleghi più indifesi, i peones delle redazioni, coloro che non fanno parte della “verticale del potere” gerarchico, i disillusi: sanno, costoro, che se perdono il posto potrebbero non trovarne un altro. Per questo sarebbe necessario progettare alternative per tutelare la nostra disarmata professione. Ed è un’impresa dura, molta dura, in questo Paese il cui governo postfascista toglie a chi ha bisogno per dare, tra le varie regalìe, un miliardo al calcio malato (il clientelismo è la cifra d’intervento del bilancio), per non parlare di scuola, di sanità, di mancati investimenti per le nuove tecnologie, per i giovani, per gli anziani. In compenso, si innalzano le soglie per facilitare gli appalti, un regalo alle mafie.
Ci fosse un giornalismo sano, in Italia, comincerebbe ad evitare di prestarsi come megafono propagandistico dei leader di partiti e movimenti vari, dei loro portaborsa, di personaggi come Salvini e Meloni (e tanti altri) trasformandoli in divi mediatici, propinati servilmente in tutte le salse: penso alla comparsata di stasera (21 dicembre) da Vespa della premier. Si occuperebbe piuttosto dei problemi del Paese reale, denuncerebbe ciò che non viene fatto o di malgoverno, senza timori reverenziali, non darebbe rilevanza alle crociate no-vax r nrgazioniste che invadono i social, alla faccia di chi promette vigilanza e pulizia; invece, persino per iniziative nobili come quella della raccolta di firme contro il regime degli ayatollah in favore delle libertà negate e della violenza indiscriminata contro le donne, che ti fa un quotidiano come La Stampa? Mette nel titolo che hanno firmato pure Fedez e la Ferragni, e questo la dice lunga e non ci vengano a dire che essendo personaggi famosi e molto seguiti nel web, contano più di altri prestigiosi firmatari…sono scelte strategiche dell’informazione schienata sui talk show televisivi, sulle piattaforme online, sui gossip. Siamo il Paese più rimbecillito d’Europa, il più ignorante (dati alla mano), il più tracotante. Il Paese del malaffare: dove si vuole imbavagliare, sino all’asfissìa, i giornalisti già intimiditi e detestati dall’opinione pubblica sapientemente ammaestrata dai politici e da chi non vuole che si ficchi il naso negli affaracci e negli intrecci finanziari del sottogoverno. Amen.