L’editoria crolla: eppure Laura Cioli 4 anni a Corriere e Repubblica riceve 5,6 milioni di euro

da Il Fatto Quotidiano
Fabio Pavesi
20 dicembre 2019

L’editoria ti fa ricca. Come è possibile, viste le condizioni di salute dei grandi gruppi editoriali, con bilanci che scricchiolano e le copie vendute in edicola che collassano ogni anno che passa da almeno un decennio? Un paradosso ma non per lei, che di nome fa Laura Cioli, brillante ingegnere con master alla Bocconi che ha calcato negli ultimi 4 anni il palcoscenico dei grandi giornaloni come capo-azienda prima di Rcs e poi di Gedi. Ora quell’avventura nel Gotha dell’informazione è finita. Con il passaggio di mano dell’ex gruppo L’espresso dai De Benedetti a Exor anche Cioli ha dovuto lasciare la tolda di comando. Ma con ogni probabilità difficile che abbia di che recriminare. Per la risoluzione del rapporto la manager cinquantenne incasserà 1,85 milioni di euro più 100 mila euro legati a un Mbo, premio legato agli obiettivi. Oltre ovviamente al Tfr dovuto.

Non male per la manager, ex ad di CartaSi, che ha gestito come ad e direttore generale Gedi da fine aprile del 2018 all’altro ieri. Venti mesi di duro lavoro ora premiato con la buonuscita milionaria. Certo Cioli rimarrà fino alla conclusione dell’operazione Exor passando le consegne al nuovo capo-azienda, scelto da John Elkann, Maurizio Scanavino.

Non certo un impegno gravoso. Cioli per gli otto mesi in cui ha guidato nel 2018 Gedi (è stata nominata il 26 aprile di quell’anno) ha incassato 618mila euro lordi tra stipendio fisso e variabile. Ora esce con tre volte quell’incasso. Avrà ben meritato? A giudicare dal valore creato non pare. Quando arrivò nella primavera dell’anno scorso il titolo Gedi valeva 44 centesimi.

L’ingegner Laura Cioli, in 4 anni ha ricevuto buonuscite per 5,6 milioni di euro, cioè 1,4 milioni all’anno, 116 mila euro al mese. Uno schiaffo ai giornalisti che hanno perso il lavoro, sono in cassa integrazione o in solidarietà. Il suo lavoro è stato soprattutto tagliare i posti di lavoro

Prima della lauta offerta di Exor delle settimane scorse l’azione valeva 28 centesimi. Un secco -30% in Borsa durante il regno dell’ingegnere manager. Ma il colpaccio più grosso  per le sue finanze personali Cioli l’ha fatto in Rcs. Chiamata a gestire l’ex salotto buono dell’editoria a fine ottobre del 2015 ha resistito nel ruolo appena 9 mesi. Con l’arrivo di Cairo nell’agosto del 2016 ha dovuto fare armi e bagagli. Risoluzione consensuale e patto di non concorrenza (per soli 6 mesi, tanto che poi si è ritrovata in Gedi) che le sono valse un assegnino in un colpo solo di ben 3,75 milioni di euro per il disturbo di aver governato il carrozzone malandato (allora prima della cura Cairo) del Corriere della Sera.

Anche qui il valore creato non pare significativo: se guardiamo alla Borsa il breve regno della Cioli ha visto il prezzo dell’azione Rcs scendere da 73 centesimi a 42 cent nella tarda primavera del 2016. Poi la battaglia per il controllo del Corrierone, in cui alla fine ha prevalso Cairo, ha messo le ali al titolo. Ma non fu certo la gestione industriale a far decollare il titolo.

E così tra Rcs e Gedi l’apprendistato nell’editoria tradizionale di Laura Cioli durato di fatto solo 4 anni le ha fruttato solo in buonuscite 5,6 milioni di euro. Tutti legittimi per carità, Cioli ha fatto solo rispettare le clausole degli accordi sottoscritte con le società. C’è da chiedersi se tanta munificenza, in un settore che campa sui prepensionamenti e sui collaboratori precari pagati pochi euro a pezzo, sia giustificata. Una domanda che dovrebbero porsi seriamente i membri dei comitati per le remunerazioni sempre così generosi con i grandi manager.

Fabio Pavesi

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