L’avvocato Catelli (FNSI): Mondadori e il CdR complici nel furto delle ferie

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Segrate, 1° febbraio 2019

Le aspettative della vigilia non erano tra le più rosee, invece l’assemblea che si è svolta giovedì in Mondadori pone le basi per un deciso cambiamento di rotta, per un cambio di passo per usare un termine tanto caro all’amministratore delegato Ernesto Mauri. Presi dal delirio di onnipotenza, dalla rassicurazione di poter contare sul supporto incondizionato di un CdR ammaestrato e ubbidiente, i manager erano convinti di farla franca anche questa volta. Ma il termine “rubare” che abbiamo utilizzato nel titolo di ieri per definire la decurtazione dei giorni di ferie alla quasi totalità dei giornalisti non era assolutamente esagerato. La conferma è arrivata dall’analisi dell’avvocato Giuseppe Catelli, che con il presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornasti, Paolo Perucchini, ha partecipato all’incontro di Segrate.

Si tratta senza mezzi termini di un sopruso, con l’aggravante di essere stato mascherato da un accordo sindacale. Le ferie sono un diritto costituzionale di ogni lavoratore, e l’unica possibilità che avrebbe avuto la Mondadori di arrivare all’azzeramento di quanto accumulato dai ldipendenti sarebbe stata quella di imporre l’astensione del lavoro. Una pratica difficilmente applicabile contestualmente a uno stato di crisi, che avrebbe procurato gravi problemi di organizzazione del lavoro nelle redazioni più piccole. Così si apre per molti la possibilità di agire nei confronti dell’azienda e far valere i propri diritti, delegittimando di fatto un CdR sempre più allo sbando. La soluzione più salomonica e intelligente sarebbe quella di provvedere a ripristinare già nella prossima busta paga il saldo fraudolentemente sottratto, ma il condizionale è d’obbligo visto il decisionsmo della controparte.

Il presidio organizzato l’anno scorso dai giornalisti della Mondadori in piazza del Duomo a Milano

L’esecutivo ha firmato e avallato il provvedimento con un eccesso di leggerezza, probabilmente si tratta soltanto di questo, aggravato dal fatto di averlo proposto ai colleghi nello stesso pacchetto riservato alle redazioni di Confidenze e TuStyle, e di avere appoggiato fino in fondo l’azienda, prestandosi anche a inviare il 23 novembre una email per ricordare la scadenza, senza prendere alcuna posizione a riguardo. Estendere l’invito in assemblea a Perucchini si è trasformato in un boomerang per quella che è sempre più un’Armata Brancaleone allo sbando, visto che in più occasioni il presidente è apparso in imbarazzo. Negli ultimi sei-sette anni sono ormai molte le situazioni nelle quali l’FNSI ha usato un occhio (talvolta anche due) di riguardo nei confronti della Mondadori, ma oggi azienda e CdR erano assolutamente indifendibili. Anche perché, ha sottolineato qualcuno, se fosse passato sotto silenzio questo furto non sarebbe stato l’ultimo, e il prossimo sarebbe stato sicuramente ancora più invasivo.

I responsabili di questo ennesimo sopruso hanno avuto reazioni opposte, qualcuno si è chiuso in silenzio, altri hanno risposto con arroganza nel rispetto di uno schema ormai collaudato. Le dimissioni e le scuse per l’abuso dovrebbero essere d’obbligo, ma servirebbero dignità, onestà e coerenza che purtroppo non fanno parte del DNA di tutti. L’aspetto positivo di questa operazione si può trovare nell’opportunità per i pochi giornalisti rimasti alle dipendenze di quel che resta della grande Mondadori di disporre di argomenti per trattare con l’azienda e ottenere perlomeno un rispetto delle regole più elementari, che ormai sono un ricordo lontano. Per farlo, però, non ci si può certo affidare a chi tra i lavoratori e l’azienda ha spesso (per usare un eufemismo) scelto di fare gli interessi della seconda.

La fotogtrafia immortala lo stereotipo del giornalista di una volta quando i diritti, anche alla Mondadori, erano ancora ben tutelati

Dall’assemblea è arrivata la proposta di modificare il metodo di elezione dei rappresentati sindacali, che non può più essere strutturato come ai tempi in cui i giornalisti nelle redazioni erano oltre 500. Alcune testate hanno organigrammi talmente ridotti da non avere diritto nemmeno a un fiduciario. Sono quelle che più sono in balia dei folli accordi come quello in questione.

Qualcuno ha risposto: “Non è il momento”, come se ci fosse a disposizione altro tempo. L’emergenza di combatte con l’emergenza. E se non è il momento quando si è in emergenza, quando è il momento buono? E’ sensato, invece, cambiare subito il metodo di elezione e puntare su un meccanismo più democratico, che tenga conto di tutte le realtà a partire da quelle più piccole e deboli. E questo sarebbe il primo passo. Il secondo, forse più complesso, è quello di trovare candidati che sappiano resistere alle pressioni e alle tentazioni, contrastando e non assecondando i capricci dell’azienda.

Al momento a palazzo Niemeyer regna un clima di terrore, instaurato ad arte per evitare che qualcuno possa alzare la testa e risvegliare l’orgoglio. C’è diffidenza, non si parla, non ci si fida nemmeno del collega che siede a fianco, nella speranza che il silenzio riesca a garantire perlomeno il posto di lavoro. Dimenticando che gli eventuali licenziamenti non terranno minimamente conto dei meriti e della professionalità dei singoli, ma dipenderanno unicamente da semplici valutazioni di natura economica.

Valerio Boni

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