Censura alla stampa: come guarire un male con la medicina sbagliata

Approvata dalla Camera una norma che vieta di pubblicare, in tutto o in parte, le ordinanze finché non siano concluse le indagini preliminari o l’udienza preliminare. Ecco perchè si è deciso di intervenire su una questione cruciale per la libertà di stampa e perchè questo intervento avrebbe un sicuro effetto negativo

Dal Sole 24ore
Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani
Milano, 22 dicembre 2023

Il 19 dicembre, la Camera ha approvato una norma che vieta di pubblicare, in tutto o in parte, le ordinanze di custodia cautelare. Alcuni giornalisti l’hanno subito battezzata, con un’espressione invero abusata, “legge bavaglio”. Da varie parti della politica si è invece brindato a un principio di civiltà, che salvaguarderebbe l’indagato da linciaggi mediatici.

Come spesso accade, le semplificazioni non aiutano a capire e dunque cerchiamo di comprendere come mai si è deciso di intervenire su una questione cruciale per la libertà di stampa, i diritti degli indagati e, più in generale, il controllo da parte dei media del potere giudiziario.

Gli effetti concreti del divieto

Quale sarà l’effetto concreto di questa nuova norma? Nel brevissimo periodo nessuno: l’approvazione non cambierà immediatamente le regole di pubblicazione delle ordinanze, ma consentirà al Governo di varare entro sei mesi un decreto legislativo in linea con il principio in questione. E, poiché quest’ultimo è abbastanza preciso, possiamo pronosticare quale sarà il regime presto in vigore.

L’intervento intenderebbe guarire un male con la medicina sbagliata, che rischia di generare un effetto collaterale più nefasto della patologia.

Il divieto di diffondere il testo dei provvedimenti restrittivi è volto a evitare la propalazione della decisione assunta da un gip sulla base di indagini, magari nemmeno concluse. Col rischio che la reputazione dell’indagato sia condizionata da risultati parziali, a volte smentiti dal dibattimento.

Ora, se si ritiene che della custodia cautelare venga fatto un uso eccessivo, il legislatore è su questo fronte che dovrebbe intervenire, non limitarsi a impedire la diffusione del provvedimento che la dispone. Inoltre, vietare i virgolettati non esclude la possibilità di divulgare il contenuto, impone soltanto perifrasi, con gli equivoci che esse favoriscono.

La presentazione dell’arrestato come un soggetto il cui destino è irrimediabilmente segnato in senso colpevolista, se accompagnata da narrazioni false o mistificazioni, deve essere, come tutti gli illeciti in materia di stampa, non prevenuta, ma sanzionata in sede deontologica, civile e penale, qualora ve ne siano i presupposti.

La norma che verrà, invece, avrebbe un sicuro effetto negativo: impedirebbe all’opinione pubblica di controllare il potere giudiziario (il più terribile e odioso), proprio in uno dei frangenti in cui è esercitato nel modo insieme più violento e meno garantito, quando comprime la libertà prima di un giudizio definitivo. In questo momento delicatissimo la trasparenza deve essere massima, a patto, certo, che alla trasparenza si accompagni un’informazione corretta.

Imporre il silenzio, viceversa, è la forma più rozza e brutale di rifiuto di ogni bilanciamento fra i molti diritti in campo quando si tratta di cronaca giudiziaria.

Carlo Melzi d’Eril
Giulio Enea Vigevani

L’iconografia degli articoli pubblicati da Senza Bavaglio è curata da Valerio Boni

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