Speciale per Senza Bavaglio
Rosaria Federico
Roma, 6 settembre 2023
Sembrava si potesse concludere 0 a 10 la partita mediatica tra Flavio Briatore e il suo Twiga e il giornalismo italiano dopo il reportage di Fabrizio Roncone, uscito ad agosto sul Corriere della Sera, e il conseguente botta e risposta tra un Flavione incavolatissimo e l’autore dell’articolo. Già, sembrava. Invece in un sol colpo una “giacca” ha sovvertito il risultato. E volendo fare della facile ironia la giacca si è tramutata in un “cappotto”.
E così il “giornalista”, inteso questa volta come “entità collettiva”, è diventato sinonimo di “ladro e scroccone” per Briatore e i suoi simpatizzanti. Ma non solo.
A far finire sul patibolo l’intera categoria, un episodio accaduto a fine agosto e reso noto con un video dal proprietario del famoso lido di Forte dei Marmi sul suo canale Instagram.
A Briatore non è sembrato vero potersi prendere la rivincita e a dargli l’occasione ci ha pensato una collaboratrice (almeno così sembra, ndr) del quotidiano toscano che, secondo la ricostruzione di Briatore fatta attraverso i filmati della videosorveglianza, ha “preso” la giacca con il marchio Twiga di Dimitri (Dimitri Kunz d’Asburgo, compagno di Daniela Santanché, socio di Briatore dopo che la ministra del Turismo ha dovuto cedere la sua quota) e se l’è portata a casa, lasciando però soldi e carte di credito.
L’incipit del messaggio video è già tutto un programma: “Buongiorno ragazzi stamattina vi do una notizia che per me ha dell’incredibile”. E poi giù con tutta la storia: “È successo che una giornalista di un noto quotidiano toscano, un grande quotidiano che ha il nome più o meno del mare, è venuta al Twiga per fare un servizio, ma mentre era lì si è fregata la giacca di Dimitri. Una giacca con il logo Twiga”.
Briatore racconta poi i dettagli: “Abbiamo visto dalle telecamere che si è presa la giacca e l’ha portata via. Poi qualcuno, alle 2-3 del mattino, ha trovato i soldi e le carte di credito di Dimitri ma non la giacca. Abbiamo visto dalle telecamere chi era e i carabinieri sono andati a recuperare la giacca marchiata Twiga”.
La chiosa del video ha il sapore della vendetta: “Vuol dire che il marchio Twiga piace proprio tanto a tutti i giornalisti”.
A questo punto ci si sarebbe aspettato che il giornale in questione, Il Tirreno, prendesse pubblicamente le distanze dall’episodio e soprattutto chiarisse il ruolo della “giornalista’”indicata da Briatore. E invece, nessuna nota ufficiale è arrivata dal quotidiano con sede a Livorno.
Giulio Corsi, componente del Cdr e presidente della Consulta toscana dei comitati e fiduciari di redazione, interpellato sull’argomento ha evitato ogni risposta e commento.
Lasciando che le generalizzazioni contro la categoria e contro i professionisti del suo giornale circolino indisturbate, senza chiarire – di fatto – se la persona accusata di aver preso la “famosa” giacca di Dimitri sia una collaboratrice occasionale o una giornalista in organico al quotidiano di via Alfieri.
Tacciono anche i vertici dell’Associazione stampa toscana e il presidente Sandro Bennucci con il presidente dell’ordine dei giornalisti Carlo Bartoli che hanno evitato accuratamente di difendere dalle generalizzazioni e dalle accuse l’intera categoria.
Facendo pensare, come dice Briatore, che “il marchio Twiga piace proprio tanto a tutti i giornalisti”, senza prendere le distanze dal singolo episodio e dalla presunta responsabile del “rapimento” della giacca.
In silenzio è diventato, nel frattempo, complice dei leoni da tastiera che si sono scatenati sotto il post di Briatore con centinaia di commenti ingiuriosi.
Potrebbe sembrare un episodio da sottovalutare, l’ennesimo “bla bla bla” social da ignorare ma così non è. Se le responsabilità – ancora da chiarire – di una singola persona ricadono come è accaduto sull’intera categoria è doveroso difendere quei professionisti che ogni giorno con abnegazione e rispetto fanno questo mestiere.
Perché parafrasando una celebre frase della famosa commedia “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo, a noi “il marchio Twiga non ci piace”. E sopratutto non ci piace l’arroganza di chi pensa di riabilitare la propria immagine e il proprio marchio screditando genericamente il “giornalista”.
Rosaria Federico
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