Senza Bavaglio
Milano, 30 giugno 2023
Circola al Corriere della Sera una lettera, firmata da più di cinquanta giornalisti dei dorsi nella quale si lancia un appello ai candidati perché raggiungano l’unità necessaria in un momento delicato come questo. Ma la cosa più bizzarra e grottesca è che il primo firmatario dell’appello ai candidati è lui stesso candidato al CdR. Stupendo! Forse è la prima volta nella storia che qualcuno lancia un appello a se stesso.
L’unità, lo sappiamo bene, è necessaria giacché “uniti si vince” e sparpagliati si perde. Giustissimo, a condizione però che i sindacalisti riuniti in un patto di unità abbiamo le idee chiare su come aiutare i colleghi a uscire dal pantano della stagnazione e, soprattutto, non abbocchino al canto della sirena-editore che con voce interessata, melliflua e convincente promette, promette e promette.
Ridurre i costi
Ormai la politica degli editori (per la verità non solo di Urbano Cairo) è solo rivolta al risparmio. La parola d’ordine è: ridurre i costi. Rarissimi gli investimenti sul prodotto.
Ma l’appello dei colleghi dei dorsi, giustamente delusi per essere oggetto di scarsa considerazione, presenta altri punti deboli. Nel documento si legge infatti: “Dal primo gennaio scorso, data della fusione degli ex dorsi nel Corriere della Sera, le redazioni locali sono senza rappresentanza sindacale. Nonostante la vicinanza del Cdr dimissionario, la mancanza di rappresentanti locali ha permesso all’azienda di ridurre il personale tecnico destinato agli ex dorsi, aprire un nuovo sito web regionale senza alcun ordine di servizio e modificare unilateralmente l’organizzazione del lavoro. Con il potenziamento dei contenuti digitali e con l’integrazione dei prodotti editoriali tra ex dorsi e Corriere della Sera, inoltre, i redattori delle edizioni regionali hanno visto aumentare a dismisura i carichi di lavoro, a fronte di un numero irrisorio di assunzioni”.
Quello che stride in questa narrazione è l’inciso “Nonostante la vicinanza del Cdr dimissionario”. In realtà sono stati proprio tre membri del CdR, cioè la maggioranza di quel CdR dimissionario, ad aver abbandonato a se stessi i colleghi dei dorsi. Addirittura, proponevano di ridurre e cancellare alcune conquiste sindacali delle redazioni di Milano, Roma e di alcuni dorsi (come il Corriere del Mezzogiorno e il Corriere Fiorentino) che se fossero state abolite non sarebbero mai potute essere applicate a tutti i dorsi.
Fiancheggiare i desiderata
Cioè la maggioranza del CdR (quella che poi ha dato le dimissioni facendo cadere l’organismo) voleva adottare una politica sindacale tesa a fiancheggiare i desiderata dell’azienda. Ci sembra un atteggiamento molto lontano dalla vicinanza vantata nell’appello.
Sempre quell’appello prende un’altra cantonata quando dichiara che, a causa dei carichi di lavoro, per i redattori dei dorsi ”è difficile, se non impossibile, anche partecipare alle assemblee, tanto che molti redattori dei dorsi non hanno potuto seguire con continuità il confronto che ha portato recentemente alla proclamazione di due giorni di sciopero e poi alle dimissioni del CdR”.
E’ un’implicita ammissione di rinuncia a esercitare i propri diritti. Partecipare all’assemblea è un inalienabile diritto, cui non si può rinunciare, neanche con carichi di lavoro pesanti. Atteggiamenti mentali e comportamenti arrendevoli di questo genere (”non partecipo all’assemblea perché devo lavorare”) portano direttamente ad accettare i desiderata dell’editore, comprese le eventuali intimidazioni.
L’appello si è scordato evidentemente di sottolineare e di spiegare i messaggi arrivati sul telefono di qualche redattore invitato da qualche capo a lasciare l’assemblea e tornare alla scrivania. Cos’è, un carico di lavoro?
Parità di trattamento
I giornalisti dei dorsi sono a tutti gli effetti giornalisti del Corriere della Sera? Se sì, devono avere lo stesso trattamento. Non è materia di trattativa e discussione. Divide et impera è un vecchio espediente per evitare che una redazione unita possa accedere a rivendicazioni logiche, banali e adeguate.
Perché poi la FNSI non è intervenuta per garantire questa uniformità di compensi e benefit? Forse, al momento della fusione, un deciso intervento della Federazione avrebbe potuto sistemare le cose, ma purtroppo non c’è stato: calma piatta con la gioia, immaginiamo, dell’editore.
Sperare quindi di perequare le retribuzioni e i benefit dei redattori più giovani a quelle più alte degli “anziani” diventa una pura utopia se affidiamo la politica sindacale a colleghi che già nel programma dichiarano, anche se implicitamente, di essere disposti a rinunciare a diritti e conquiste.
A conferma della confusione che regna sovrana, come lanciare un appello all’unità che, al contrario, divide, a tutto vantaggio dell’editore, giunge nello stesso documento anche la richesta alla FNSI di sciogliere il rebus della validità del regolamento del CdR. La FNSI ha grandi responsabilità nella situazione attuale dell’editoria italiana perché ha firmato nel 2009 e nel 2014 due contratti di lavoro capestro che hanno permesso agli editori di smantellare le redazioni, ridurre i compensi dei giornalisti e dei collaboratori e aumentare i carichi di lavoro. Ma non solo: non è mai intervenuta sulla regolarità dei regolamenti e nella composizione dei CdR. Perchè mai dovrebbe farlo ora?
Cavallo di Troia
La Mondadori ne è un classico esempio di come la FNSI non è mai intervenuta nei regolamenti dei Comitato di Redazione. Qui infatti l’elezione del CdR avviene in secondo grado, e non è bastata a impedire all’editore di smantellare quello che era il più grande gruppo editoriale del nostro Paese.
Non vorremmo che proprio quel richiamo alla Fnsi possa fungere da cavallo di Troia per far rientrare al Corriere della Sera dalla finestra una politica sindacale respinta e cacciata dalla porta una decina di giorni fa, proprio da quel voto assembleare a grande maggioranza che aveva portato a due giorni di sciopero. Un voto che ha ridato alla redazione del Corriere quel ruolo centrale che le spetta nel panorama dell’informazione del nostro Paese.
Senza Bavaglio
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