La morte dell’INPGI un’occasione per rifondare il giornalismo

Speciale Per Senza Bavaglio
Leonardo Coen
Milano, 31 ottobre 2021

Dunque, il delitto si è consumato e l’assassino l’ha fatta franca. La previdenza dei giornalisti trasloca dalla disastrata INPGI all’INPS, le chiavi del nuovo condominio pensionistico saranno consegnate agli assistiti il primo luglio del 2022, insieme al quadro definitivo che stabilirà quali regole verranno applicate e quali requisiti mantenuti.

Queste le premesse, ben lontane dalle avventurose promesse di chi ha spensieratamente gestito l’INPGI e dintorni, compresa la misteriosa sparizione delle ex-fisse…

Bon. A costo di apparire sgradevole oltre che polemico, sostengo che per fortuna è arrivato il paracadute INPS. Possiamo storcere il naso quanto vogliamo, lamentarci che forse tutto ciò poteva essere evitato (lacrime di coccodrillo), ma non raccontiamoci la favoletta che si poteva evitare questo finale da thriller tarantiniano.

L’unica risposta è: no. Se a monte vi sono le devastanti responsabilità dei gestori INPGI e degli editori che hanno imposto pre-pensionamenti a valanga (salvando le loro proprietà a spese dei giornalisti), a valle dobbiamo a malincuore ammettere che ci sono colpe anche di chi ha cercato di opporsi a queste opzioni dissipatrici: l’insipienza delle minoranze che invece di far fronte comune hanno continuato a presentare liste concorrenti, zeppe di candidati in gran parte privi di appeal (spesso, più per ragioni di amicizie che per ragioni di competenze), non convincendo tantomeno seducendo i colleghi magari incerti, confusi, indifferenti. Mi attribuisco la mia quota di colpa, sebbene da “esterno” mai veramente coinvolto.

Quando una categoria accetta le logiche delinquenziali dei prepensionamenti piegandosi vergognosamente ai diktat di editori e comitati di redazione, si è scavata la fossa da sé. E chi ha osato opporsi, o mettere in discussione le loro iniziative, è stato doppiamente emarginato e demonizzato.

Non si tratta più di esprimere un parere (tipo quello che ho letto in una chat: “a vostro giudizio è un bene o un male?”), giacché la risposta ineluttabilmente banale ma anche senza alternative è: ci è andata bene, senza più soldi in cassa chi avrebbe erogato le pensioni e le pre-pensioni allegramente concesse?

Perché era evidente che l’evoluzione demografica – ossia l’invecchiamento dei giornalisti in pensione – sottraeva risorse al fondo previdenza, un fenomeno conclamato, ma ignorato dai vertici INPGI e dal sindacato che ha accolto i ricatti degli editori, sovraccaricando le casse dell’Istituto e portandole al collasso. Un’operazione non solo sconsiderata ma finanziariamente sconcertante. Ed impunita, questo il vero scandalo.

Macché. Tutto è stato tollerato. Chi denunciava queste manovre veniva zittito. E imbavagliato. Inutile svelare i redditi percepiti dagli amministratori dell’INPGI, nonostante il tracollo, roba da razza padrona, o i compromessi sempre più radicali che hanno governato il nostro mondo.

Nessuno ha mai fatto mea culpa quando gli editori assumevano a go-go, senza tener conto dell’evoluzione del mercato, salvo poi sbarazzarsi dei giornalisti in sovrappiù obbligando le casse INPGI a sostenerne gli oneri. E neppure quando nascevano come funghi testate e testatine cartacee, radio e tv, effimere e serbatoi inesauribili di precariato, buone a succhiar soldi pubblici e a scaricare sugli organi giornalistici il peso di colleghi sfruttati e abbandonati.

Ora, a prescindere da velleitarismi, recriminazioni e rinfacci, credo sia finalmente venuto il tempo di rifondare il giornalismo italiano, a costo di scissioni e di feroci contrapposizioni, che poi sono il fulcro delle dinamiche politiche.

Non dobbiamo temere di ricominciare, dobbiamo temere semmai la forza compatta di chi non vuole un risanamento della nostra professione. Per questo, dobbiamo essere consapevoli che ci attendono sfide ragguardevoli, e lotte senza tregua contro le prepotenze degli editori e dei loro vassalli.

In questa situazione, si potrebbe – io azzardo: si dovrebbe – concepire e realizzare il progetto di una testata giornalistica indipendente (il web lo consente, se pensiamo ai costi), coraggiosa, capace di far fronte alle pressioni ed alle ingerenze di chi ha nel mirino la professione del giornalista, la tenacia del reporter, la capacità investigativa degli inchiestisti, il rifiuto alla compiacenza e all’affiliazione. Una testata che smascheri la disinformazione, gli odiatori e i seminatori di caos e violenze che vogliono destabilizzare il Paese.

Dobbiamo, per prima cosa prendere coscienza del nostro potenziale professionale, recuperando il nostro spazio, così come venne ipotizzato e definito nella Dichiarazione dei doveri e dei diritti dei giornalisti, adottata a Monaco di Baviera nel 1971. Dobbiamo riappropriarci di questi principii universali fondati su valori di indipendenza nei confronti dei poteri, che essi siano politici, economici o di altro genere.

Rielaborali, aggiornati, in una sorta di Carta o Memorandum. Una guida da sottoscrivere, ed alla quale attenersi, in cui siano imprenscindibili direttrici della professione valori etici come l’onestà, la trasparenza, l’oggettività nella raccolta delle informazioni e delle testimonianze.

Non bisogna accontentarsi di rituali affermazioni sul giornalismo libero e indipendente, su cui tutti, a parole, concordano. Dobbiamo rispettare anche altri canoni: quello della credibilità, innanzitutto: della competenza; dell’affidabilità.

Esercizi fondamentali per assicurare e fornire un’informazione di qualità. Precisa. Verificata. Equilibrata. Con sguardo critico sull’informazione e tenendo conto del pluralismo delle opinioni. E’ su questa rotta che dobbiamo tenere ben salda la barra del timone. Sia nell’esercizio della professione che nella sua tutela, ossia nella sfera sindacale.

Non dobbiamo mai dimenticare che il diritto all’informazione, alla libera espressione e alla critica è uno dei capisaldi della libertà di ogni essere umano. Ne deriva il conseguente diritto di conoscere i fatti e le opinioni, e questo ci riporta all’insieme dei diritti e dei doveri dei giornalisti. Quindi, attrezziamoci. Difendiamo tutto ciò. E diffondiamo un’informazione equa, corretta, composta nei modi e nei toni, basata sui fatti, non su pregiudizi e falsità.

Andiamo oltre l’INPGI. La cui morte, in ultima analisi, ci consente di risorgere.

Leonardo Coen

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