Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Milano, 9 dicembre 2021
Nell’ultimo incontro in saletta sindacale, prima che ci fosse vietato di entrare in azienda, i toni usati dal Cdr furono agghiaccianti. Se si escludono le inutili frasi di circostanza, Fernanda Pirani (più volte candidata di StampaDemocratica) ci rassicurò dicendo che anche nel caso fossimo stati tutti licenziati avremmo avuto diritto al mancato preavviso, lasciando intendere si trattasse di una conquista dell’esecutivo. Poi più nulla, non un minimo accenno alla convocazione di un’assemblea generale per parlare del caso, tantomeno si è mai parlato di stato di agitazione. Nel 2014 la maggior parte dei giornalisti interni l’ha vissuto come un evento esterno, ammesso che in qualche modo ne abbia sentito parlare. Fossimo stati in guerra (ma chi può dire che non lo fossimo, ieri, come oggi?) i giornali avrebbero titolato “Pattuglia in missione decimata dal fuoco amico”. Invece tutto fu insabbiato.
Abbandonati al loro destino
Un comportamento inconsueto per un sindacato, (qualcuno lo ha perfino definito antisindacale) rimasto a lungo incomprensibile fino a quando, anni dopo, il colloquio con uno dei membri di quel Cdr ha chiarito ogni dubbio. Innanzitutto, nel più totale silenzio, ci hanno abbandonati al nostro destino perché qualcuno (resta ancora da capire chi) ha suggerito loro si trattasse di un fallimento, senza nessuna possibilità di trattare con i liquidatori. In realtà sarebbe bastato informarsi, come ogni giornalista dovrebbe fare, per capire che era più semplicemente una peraltro legittima liquidazione anticipata, chiesta da un socio deciso a chiudere i rubinetti nei confronti di chi lo ha spremuto per più di 10 anni.
Colpevole ignoranza
Ben più grave è tuttavia la dichiarazione seguente, il cui contenuto era pressappoco questo. “La Alg sapeva tutto, sapeva più che bene quello che stava succedendo. ACI Mondadori era un’altra società, pertanto due vertici della Lombarda ci chiesero, come mai voi siete anche Cdr delle consociate? Non dovreste…” Detto, fatto, bastava solo il via libera. Se quel collega ha detto la verità, e non cercato una facile uscita dall’angolo scaricando la responsabilità su chi era al vertice, tutto ciò è molto preoccupante.
Ma d’altronde non c’è motivo di dubitarne, visto che da quel momento anche il minimo interessamento nei nostri confronti è stato azzerato, alla faccia della coerenza sindacale. In Associazione Lombarda millantavano di sapere tutto, in realtà per sapere non serviva molto, solo leggere la prima pagina dell’integrativo in vigore a quella data, che recita: “Tra Arnoldo Mondadori Editore (Divisione Periodici Italia, di seguito indicata come DPI e Divisione Digital Publishing Italia, di seguito indicata come DDP), Hearst-Mondadori spa, Mondadori-Rodale spa e Aci-Mondadori spa, e l’Esecutivo del CdR, in rappresentanza dei giornalisti assunti all’interno delle divisioni e società sopra citate, si è raggiunto il seguente accordo in merito al rinnovo dell’intesa aziendale”.
L’alibi fallimento
Il fatto che sia stato sfruttato come alibi un fallimento, che tale non è, conferma la strategia collaudata di sviare l’attenzione dal punto focale del problema. Il sindacato non avrebbe dovuto intervenire per impedire a un socio di scappare in anticipo dopo un’esperienza traumatica, avrebbe dovuto lavorare per ottenere l’assorbimento o il riassorbimento dei giornalisti licenziati. Un trattamento da sempre previsto per i colleghi assegnati a consociate, partecipate e controllate. Riservato peraltro qualche tempo prima quando tre grafici, giudicati esuberi, furono passarono da ACI Mondadori e Mondadori, per lasciare il posto a un service che si occupasse dell’impaginazione a costi che non è dimostrato fossero inferiori, ma andava bene così.
Che cosa avrebbe dovuto fare un sindacato che possa definirsi tale? Quello che avrebbe fatto qualche anno prima, con altre persone al comando; confrontarsi con l’azienda e richiedere il reintegro dei sei lavoratori. Non era una missione impossibile, tre di loro avevano una garanzia forte, incontestabile, ad altri due si poteva applicare il decreto Lotti, un diritto che derivava dall’uscita di otto colleghi prepensionati. Per i sesto si imponeva una trattativa. Invece è stato più comodo lasciar fare l’azienda, che abilmente ha mischiato le “tre tavolette”, la cosa che sa fare meglio, cancellando con l’inganno (smascherato) tutti i diritti, più o meno vincolanti. Salvo poi farne rientrare due su sei che si erano affidati ai legali di Alg, con modalità ancora tutte da chiarire.
Colpevole ignoranza
Per rinnegare e cancellare le garanzie sono arrivati anche ad aggirare le richieste dei giudici di fornire documentazioni, ma questa è un’altra storia. Il vero problema è la totale incapacità con cui gli esponenti di StampaDemocratica hanno affrontato quell’emergenza. Se una persona non sa, non parla. Invece si sono permessi di abbandonare al loro destino i colleghi che avrebbero dovuto difendere a priori, non solo perché in regola con i versamenti delle quote all’Associazione e al Cdr. Certo, credere alla versione – falsa – di Mondadori è stato molto più semplice e ha risparmiato uno scontro. È evidente che un simile comportamento lascia aperta una serie di interpretazioni: che vanno dall’inadeguatezza a certe mansioni, a considerazioni ben più pesanti, che non mi è concesso esprimere, ma che nessuno può impedirmi di pensare, in quanto sono i fatti a parlare.
L’aspetto più agghiacciante è che molte delle persone che sette anni fa mi hanno trasformato da capo servizio a disoccupato (anzi, freelance, perché disoccupato è il metalmeccanico che perde il lavoro, il giornalista è promosso freelance) sono ancora pronte a dettare strategie che non si scostino dai desideri dell’azienda. Non sono le parole, ma i fatti a confermarlo. Conferme che non arrivano solo da quell’episodio, sono numerosi gli esempi di assistenze di successo ai colleghi Mondadori. Si va dal presunto salvataggio di Tu Style e Confidenze dalla vendita all’editore croato Aleksic, ottenuto sacrificando una buona fetta della retribuzione dei giornalisti.
La vendita di Panorama
Un sacrificio che avrebbe garantito loro la salvezza, ma solo fino al successivo trasferimento alle redazioni di Maurizio Belpietro. E come dimenticare l’avventura della vendita, sempre a Belpietro, di Panorama. Sarebbe servita un’azione unitaria, invece lacune e silenzi hanno favorito una doppia trattativa, collettiva e individuale che ha determinato garanzie e trattamenti diversi. Una strategia che non ha certo favorito l’azione legale tardiva, conclusa con una sconfitta su tutta la linea, come ha ammesso lo stesso sindacato. Tra gli ultimi esempi, in ordine di tempo, c’è il presunto accordo con l’azienda per lo smaltimento delle ferie che prevede l’utilizzo non solo di quelle maturate, ma anche quelle future.
La sensazione è che manchi una prospettiva almeno a medio termine degli effetti di quelle che dall’azienda sono prospettate come semplici formalità senza alcuna ricaduta. In realtà gli effetti dei cambiamenti prospettati e di fatto imposti, come quelli degli ultimi giorni, possono essere pesanti. L’abbandono delle postazioni fisse, come a Il Giornale, e il cambiamento del sistema operativo non sono semplici sperimentazioni, sono il cavallo di Troia per introdurre cambiamenti ben più radicali.
Le scelte editoriali
Ma per capirlo servirebbe una visione più ampia, come quella che avevano i Cdr alla fine degli anni Ottanta, quando hanno saputo gestire la non difficile transizione dalla macchina da scrivere al computer, (e dagli Olivetti di De Benedetti ai Mac all’inizio degli anni Novanta che fu oggetto di lunghe trattative) ponendo le basi di una struttura che ha retto, pur con qualche incrinatura, all’impatto con l’asteroide Internet. E non significa essere contrari al progresso, piuttosto valutare i possibili risvolti, per evitare di essere travolti.
Conterà forse anche la scelta editoriale dell’azienda? In quegli anni a Segrate c’erano Panorama, Epoca, Storia Illustrata, testate che stimolavano l’impegno sociale di colleghi. Oggi che è il gossip di Chi a dominare, c’è il rischio che si scambi per realtà quella che si svolge all’interno della casa del Grande Fratello. Così diventa più comodo per tutti, soprattutto per Mondadori, tenersi stretto un Cdr scaduto e molto malleabile. Perché, parafrasando Giuseppe Tomasi di Lampedusa, è meglio non cambiare nulla perché tutto resti così. Non sia mai che qualcuno abbia il coraggio di alzare la testa. L’obiettivo, non dichiarato ma evidente, è quello di puntare alla rappresentanza a vita; un privilegio riservato a re, papi e ai “capi di Stato” di quelle che si definiscono repubbliche democratiche.
Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com
(2 – fine)
La prima puntata la trovate qui:
Da Il Giornale a Mondadori: il boomerang delle accuse di Stampa Democratica
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