Questo articolo di Simona Fossati e del gruppo Salviamo l’Inpgi,
è stato pubblicato nel 2015, ma lo riproponiamo oggi perché è ancora attuale.
Infatti le cose non sono cambiate, se mai sono peggiorate,
nell’insipienza di una dirigenza che non ha a cuore il futuro dei giornalisti e del giornalismo
ma vuole solo mantenere lo status quo attuale con stipendi astronomici e finanziamenti alla FNSI
Speciale per Senza Bavaglio
Simona Fossati
23 luglio 2015
L’argomento che in questo momento provoca le più accese discussioni nella categoria è l’INPGI. La riforma verrà approvata definitivamente il 27 luglio dal CdA. Una riforma annunciata ai quattro venti e sostenuta alla grande dalla Giunta FNSI (c’erano dubbi?). Di fatto comunque mette le mani in tasca ai giornalisti: pensionati e attivi. E, soprattutto, fomenta la guerra tra generazioni, facendo circolare la voce che sono gli attivi a pagare “le pensioni (presunte) d’oro” dei colleghi. Falso: chi ha la pensione se la è guadagnata con i contributi che ha versato.
Una riforma che elimina prestazioni, riduce in modo consistente la reversibilità, toglie soldi ai pensionati passando lo scippo come “contributo di solidarietà”, tanto per mettere in condizione i pensionati di non reagire, onde evitare di essere tacciati di egoisti.
In realtà mi risulta che la solidarietà sia qualcosa di volontario non di imposto.
Però nessuno pensa di aprire un confronto con il Governo sul Welfare.
Infatti la spesa per gli ammortizzatori è aumentata in modo talmente vertiginoso e impressionante da aver bisogno di un capitolo a parte negli ultimi bilanci INPGI. Qualche anno fa l’esborso era di poche centinaia di migliaia di euro oggi è uno sproposito di milioni di euro.
Solo nell’ultimo anno: più 2 per cento per la disoccupazione (pari a 17,45 milioni); più 24,29 per cento per la cassa integrazione (pari a 5,49 milioni; più 34,22 per cento per i contratti di solidarietà (pari a 16,10 milioni. (Dati Inpgi: assestato 2014 rispetto a consuntivo 2013). E per il 2015 è previsto un ulteriore aumento della spesa.
Tra l’altro, la colpa di questo incremento è ancora una volta in buona parte dei vertici sindacali che, togliendo ogni paletto alla possibilità per un editore di dichiarare uno stato di crisi (due contratti fa), hanno fatto sì che le aziende, dopo aver incamerato lucrosi guadagni, abbiano dichiarato veri e meno veri stati di crisi per usufruire dei soldi dello Stato, e, soprattutto, per eliminare gran parte dei giornalisti attivi.
In cambio però il numero di assunzioni sbandierato dai dirigenti Inpgi e Fnsi, fa ridere i polli. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la crisi del nostro Istituto. Minori contributi in entrata, maggiori uscite in pensioni.
I dirigenti della categoria (tutti, tranne l’Ordine, è bene sottolinearlo) cercano di far passare il concetto che la “colpa” è dei pensionati e delle loro pensioni, (tanto per fomentare la lotta intergenerazionale). Tutti nascondono il fatto che la vera débâcle è invece provocata dall’ingente spesa per la Cassa integrazione, per la solidarietà, per la disoccupazione, ecc.
Insomma il Welfare costa e allora perché non caricarlo come sarebbe giusto, almeno in parte, sullo Stato? Beh, probabilmente perché bisognerebbe impegnarsi, faticare e fare un gran lavoro di contatti, diplomazia e lobbing. Molto più semplice fare quattro conti a tavolino e trovare dove recuperare i soldi, a danno dei colleghi naturalmente.
Critichiamo ogni momento i nostri politici che tartassano i cittadini ma non riducono i loro benefit di un euro. I nostri dirigenti fanno proprio la stessa cosa.
Ma la Giunta della FNSI oltre a sostenere la riforma proposta alle parti sociali dall’INPGI, fa di peggio. Tra i correttivi enunciati “in una logica generale di equità e sostenibilità” tira in ballo pure gli autonomi.
C’è scritto in un documento: “E’ opportuno accompagnare la riforma con la definizione di misure sulla gestione separata, che diano chiaramente il segnale che si sta operando a fronte di una evoluzione complessiva del mercato del lavoro. A questo proposito è indispensabile riprendere l’operazione di riallineamento delle aliquote sui Cococo come prevede il decreto Damiano del 2007”.
Tradotto significa aumentare le aliquote a carico dei Cococo, cioè portarle dall’attuale 26,72% – ripartito 2/3 a carico dei committenti (17,82%) e 1/3 a carico del giornalista (8,91% ) – al 30,72%.
Forse la Giunta non sa che aumentare di 4 punti le aliquote significa solo gravare i colleghi di un ulteriore fardello. Infatti, gli editori (a differenza dei committenti degli altri cittadini italiani autonomi) pagano ai cococo un forfait omnicomprensivo, quindi fanno finta di pagare il loro 2/3 di aliquota, ma il tutto fa parte del compenso pattuito con il giornalista.
Morale il contributo per la pensione è pagato dal giornalista, che incassa sempre meno. Ancora peggio se si volesse uniformare all’INPS anche l’aliquota dei liberi professionisti (oggi arrivata al 27%, noi siamo al 10% più il 2% a carico dei committenti che gli editori nella maggioranza dei casi, con una scusa o l’altra, evitano accuratamente di pagare).
Speriamo che il Cda dell’Inpgi (di solito miglior conoscitore della realtà del mercato dei liberi professionisti) non osi metter mano anche alle tasche di freelance e cococo.
Altra questione, come mai il sindacato vuole aumentare le aliquote dei cococo invece di cancellarli dalla faccia della terra e procedere alla stabilizzazione? Infatti, se proprio vogliamo dirla tutta, il decreto Damiano del 2007 prevedeva per il nostro Istituto (art. 80 comma b) “forme di incentivazione per la stabilizzazione degli iscritti alla propria gestione separata in analogia a quanto disposto dall’articolo 1, commi 1202 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, stabilendo le relative modalità.”
In effetti ci sono stati vari sgravi e agevolazioni contributivi per incentivare nuove assunzioni (con scarsissimo successo) ma nulla ha fatto la FNSI per stabilizzare.
Possibile che dall’alto del loro sapere nessuno si sia accorto che, una volta sbattuti fuori gli assunti, gli editori stanno utilizzando i cococo proprio come lavoratori subordinati?
Il lavoro di un cococo è infatti quasi indistinguibile da quello di un giornalista subordinato ma questo tipo di contratto consente di non pagare contributi, ferie e tredicesima e di licenziare liberamente il lavoratore. Nel nostro caso questo si traduce anche in un pericoloso attentato alla libertà di stampa. Quale giornalista potrà fare seriamente il proprio lavoro quando rischia di perderlo?
E allora, una delle poche cose utili che ha stabilito il job act è proprio la soppressione dei cocopro e cococo che andranno trasformati in contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti. Ma restano fuori dalla riforma proprio le professioni intellettuali e gli iscritti agli Ordini professionali. Bella fregatura!
Quindi bisogna attivarsi con forza per stabilizzare chi oggi ha un contratto cococo, utilizzando le forme che, tra l’altro, il contratto nazionale permette.
Infine, INPGI, CASAGIT e FNSI sbandierano ai 4 venti la nascita di “un nuovo sistema di Welfare”. I toni trionfalistici dei vari interventi, Lorusso e Camporese in testa, fanno sobbalzare: vuoi vedere che finalmente si occupano seriamente di chi è fuori dalle redazioni?
Leggo, studio, cerco e invece scopro che non è gran cosa. Si tratta solo di una microba copertura sanitaria, apparentemente riconducibile all’attuale profilo 4 Casagit (quello dei poveri). A meno che, una volta approvata la delibera dai Ministeri vigilanti, non si pensi a un nuovo profilo, ma con i 500 euro annui stabiliti per iscritto non ci si potrà discostare più di tanto. Resta comunque quasi un’elemosina, che per di più doveva essere (come da contratto) a carico degli editori.
Basta leggere l’articolo di Maria Giovanna Faiella (collega esperta di sanità) che circola sui social, per capire di che cosa stiamo parlando.
Giornalisti non dipendenti, copertura sanitaria Casagit e… “pensioni” da mille euro (forse) L’ANNO
Ma possibile che con tutto il disastro del mercato di lavoro, non venga in mente a nessuno di pensare davvero a un vero Welfare per i freelance?
Tre milioni di euro (la spesa presunta per questa operazione, 500 euro per 6.000 iscritti aventi diritto) per creare una sorta di TFR o di sostentamento momentaneo a chi perde il contratto di cococo o una collaborazione fissa magari ventennale ed è privo di ammortizzatori sociali? Oppure trovare modalità alternative per incrementare quella misera pensione che i colleghi prenderanno dopo anni di duro lavoro e di versamenti contributivi?
Nelle modifiche statutarie del Fondo di previdenza complementare è prevista l’apertura anche agli autonomi. Peccato che il contributo dovrà essere a totale carico di chi vorrà iscriversi, l’accordo tra le parti sociali (FNSI/FIEG) prevede che sugli editori non pesi nulla.
Cioè non pagheranno la loro parte come per gli attivi, non sia mai per carità! In questo caso sì che potrebbe intervenire l’INPGI 2, un modo per migliorare le misere pensioni dei suoi iscritti.
Mattia Motta, presidente della Commissione lavoro autonomo Fnsi, afferma trionfante: “Oggi giornalisti precari e autonomi si sentono più forti e meno soli.”
Io credo invece che la realtà sia diametralmente opposta: si sentono invece sempre più deboli e sempre più soli. Con un’aggiunta: si sentono anche presi in giro.
Tra l’altro Motta farebbe bene a occuparsi in fretta di Equo compenso. Ha suscitato gran scalpore l’annuncio di un piccolo gruppo editoriale che cercava giornalisti collaboratori e proponeva un compenso di ben 250 euro mensili.
Dov’è tutto ’sto scandalo, se 3.000 euro l’anno (cioè 250 euro al mese) è proprio la cifra stabilita dall’ultimo contratto nazionale? Purtroppo quell’accordo permette, tra l’altro, all’editore di avere il diritto di non vergognarsi della sua offerta. Sono i dirigenti sindacali, invece, che dovrebbero vergognarsi per aver permesso questo sconcio.
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