Ordine e FNSI: elezioni subito per salvare l’INPGI, se stessi ma non i giornalisti

Speciale per Senza Bavaglio
Massimo A. Alberizzi
Milano, 13 settembre 2020

Tutto sta crollando, la libera informazione nel nostro Paese è stata spazzata via. I giornali sono diventati strumenti di lotta politica, l’indipendenza dei giornalisti è solo un ricordo. I posti di lavoro sono una chimera, gli ultimi contratti hanno penalizzato il mondo dell’informazione e i suoi operatori. È tutto uno sfacelo ovunque si guardi, eppure il sindacato dei giornalisti continua una lotta di potere che in questa situazione è insensata e fuori luogo. La FNSI sta conducendo una anacronistica battaglia e sta forzando la mano perché le elezioni dell’Ordine si tengano immediatamente, alla faccia del coronavirus e del distanziamento sociale. Perchè un comportamento così profondamente irresponsabile?

In politica, come nel sindacato, i dirigenti dovrebbero avere – ed esercitare – la dote della chiarezza e della limpidezza ed evitare ogni confusione e opacità. E invece no: nessuno si perita di spiegare il perchè di alcuni comportamenti e prese di posizione. Al popolo dei giornalisti, che spesso rifiutano di occuparsi di queste cose, viene solo chiesto di eseguire obbedienti gli ordini di scuderia. E troppo spesso il popolo esegue e non si cura delle conseguenze, talvolta assai perniciose.

E allora cerchiamo noi di rispondere alla domanda: perché correre così tanto verso la tornata elettorale, minacciando ricorsi, sfracelli e ritorsioni? Certo esistono sempre inconfessabili appetiti di potere, molto personali e dei quali ci si dovrebbe vergognare (basti pensare che uno dei membri dell’esecutivo dell’Ordine nazionale ha percepito tra rimborsi e indennità oltre 39 mila euro per 4 mesi di lavoro, cioè 10 mila euro al mese, un altro addirittura più di 16.000 euro per soli 24 giorni di lavoro) ma esiste una strategia ben precisa che mira, attraverso l’Ordine, a salvare l’INPGI e, quindi, il sindacato.

Da sinistra: Raffaele Lorusso, segretario della FNSI, Carlo Verna, il presidente dell’Ordine che vogliono defenestrare, Marina Macelloni la presidente dell’INPGI

Per sopravvivere il nostro istituto di previdenza sta cercando di imbarcare i cosiddetti comunicatori. Per raggiungere quest’obbiettivo, i comunicatori dovrebbero essere iscritti all’Ordine, all’interno del quale però ci sono forti resistenze. Resistenze che quindi, secondo loro, devono essere spazzate via al più presto. Come? Procedendo con nuove elezioni e sostituendo quella parte del gruppo dirigente che si è mostrata riottosa e refrattaria al pensiero unico. I disobbedienti e i ribelli vanno schiacciati ed eliminati.

L’INPGI poi oggi finanzia il sindacato per oltre 2,5 milioni di euro all’anno (alle Associazioni Regionali di Stampa e alla FNSI con l’escamotage del rimborso di servizi forniti) se dovesse crollare, vista la continua emorragia di iscritti, scomparirebbe in un attimo tutto il sistema.

Invece di correre ai ripari chiedendo a tutti i giornalisti, compresi quelli dell’opposizione, di serrare le fila e studiare assieme una strategia necessaria ad affrontare il momento tragico che vive l’informazione, si preferisce demonizzare chi non accetta il pensiero unico.

Così, invece di fermarsi a riflettere si collezionano errori e cantonate, come quelle commesse alla Mondadori e alla Hearst o l’entusiastica approvazione del contratto USPI e poi la sua successiva denuncia, solo per fare qualche  esempio, e si abbandonano fette importanti della categoria come i collaboratori e i precari ai quali il sindacato ha negato gli strumenti per essere difesi.

Ma non solo: al suo interno si tollerano comportamenti eticamente irresponsabili come quello di caparbiamente negare addirittura agli iscritti gli accessi ad atti importanti – come nel caso dell’INPGI – nonostante le sentenze della magistratura. La casa di vetro tanto sognata e promessa è invece diventata una fortezza senza finestre.

Massimo A. Alberizzi

Condividi questo articolo