Peroccupante aumento delle querele contro i siti che danno fastidio ai potenti

Le chiamano cause S.l.a.p.p. (acronimo per Strategie Lawsuit against Public Participation, cause strategiche contro la partecipazione pubblica) e sono un fenomeno in crescita da anni in tutto il mondo. In Trentino il caso di Athesia contro salto.it

da Questotrentino
Laura Mezzanotte
Trento, 4 maggio 2023

Le chiamano cause S.l.a.p.p. (acronimo per Strategie Lawsuit against Public Participation, cause strategiche contro la partecipazione pubblica) e sono un fenomeno in crescita da anni in tutto il mondo. Sono cause che dal nostro punto di vista di comuni cittadini spesso sono palesemente “assurde” e consistono in richieste esorbitanti di danni o di sanzione penale per cose che sono dette o fatte in piena legittimità.

Una di queste cause è stata recentemente lanciata come un maglio contro il portale d’informazione bolzanino Salto.bz da parte della corazzata mediatica Athesia, che lamenta di essere stata danneggiata moralmente dagli articoli scritti da Salto nel corso degli ultimi anni su Athesia stessa e sul suo padrone, Michl Ebner.

Con l’avvocato Nicola Canestrini, difensore di Salto, abbiamo approfondito il funzionamento di questo meccanismo che distorce la democrazia fin nella sua essenza. “Le cause S.l.a.p.p. – spiega Canestrini nel nostro ordinamento sono più note come ‘querele bavaglio’ in campo penale e come ‘liti temerarie’ in campo civile. Perché una cosiddetta causa S.l.a.p.p. non mira ad ottenere il rispetto dei propri diritti. Si definisce invece in virtù della funzione che vuole avere e viene usata come deterrente rispetto ad un dibattito pubblico. Tipicamente ne vengono colpiti i difensori dei diritti fondamentali. Che possono essere ambientalisti, sindacalisti, giornalisti, avvocati, ovvero categorie di persone che per lavoro sono i guardiani della democrazia”

Quali effetti specifici producono le cause Slapp? ” Questo tipo di cause hanno due effetti. In primis sul singolo giornalista o attivista, che a quel punto ci penserà due volte prima di continuare nelle sue azioni scomode; in secondo luogo quello che si chiama chain effect (effetto a catena, n.d.r.) che è una funzione deterrente generale, sulla collettività”.

In Trentino abbiamo avuto recentemente un esempio estremo di causa S.l.a.p.p., quella fatta contro l’ex sindaco di Riva, Mosaner, che gli ha impedito, per tutta la durata del procedimento, di votare in Consiglio comunale e fare dichiarazioni sul tema per il quale era stato chiamato in causa.

Questo tipo di effetti ci sono anche nella causa contro Salto? “Non conosco la vicenda del sindaco Mosaner. Ma il pericolo è sempre l’autobavaglio. Perché, per non aggravare la propria situazione, la persona presa a schiaffoni (to slap in inglese vuol dire esattamente dare uno schiaffone, n.d.r.) ovviamente dice: aspetta un attimo, mi hanno già fatto causa per quella cosa che ho detto, adesso non è che la vado a ripetere ancora, sennò mi fanno causa un’altra volta. L’idea di chi fa le cause S.l.a.p.p. è dire: ‘Voglio che questo tema non venga più dibattuto’. Che sia in Consiglio comunale, che sia sui giornali o altro. Ce ne sono anche in Trentino: io personalmente ne ho alcune in corso”.

E sono tutte rivolte a giornalisti o attivisti? “Oltre a Salto, in questo momento ho una causa S.l.a.p.p. che tratta la questione della pista da sci a Bolbeno, in cui un normale cittadino si impegna per dire: ‘Non può essere che si ampli una pista a 700 metri di altitudine ai danni della collettività’ e quindi viene colpito per silenziare il dibattito su questo tema. Poi ne ho un’altra contro un sindacalista che ha scritto al datore di lavoro dicendo che non sono rispettati i diritti del lavoratore e siccome ha messo in copia anche l’Agenzia del lavoro è stato querelato. Queste due sono cause penali per diffamazione”.

Un altro aspetto riguarda specificamente i giornalisti. Le risulta che negli ultimi anni ci sia la tendenza a fare causa civile piuttosto che querela penale per diffamazione? “C’è stato uno spostamento negli ultimi vent’anni dal penale al civile. Le ragioni sono più di una. Il civile mediamente ‘rende’ di più come risarcimento danni e soprattutto non ci può essere una richiesta di archiviazione molto veloce. Questo è un problema in tutta Europa.

C’è una proposta della Commissione Europea di aprile 2022 per fare una direttiva europea su questo tipo di cause. Purtroppo recentemente il Consiglio europeo ha depotenziato molto questa proposta di direttiva rendendola di fatto inutile.

Questo a dimostrazione di quanto questo tema muova le lobby. Uno dei rimedi che si sono sempre indicati e che era previsto nella proposta della Commissione era la possibilità, per le parti, di chiedere al giudice una corsia preferenziale nel caso in cui una causa venga definita S.l.a.p.p. Perché il problema essenziale in questi casi è la durata del procedimento: è questo l’effetto deterrente, obiettivo primario delle cause S.l.a.p.p. Più dura nel tempo e meglio è.

Nel penale invece può capitare che la Procura della Repubblica chieda subito l’archiviazione. A quel punto la causa diventa un boomerang per chi l’ha fatta. Una causa civile costa un po’ di più, è vero, ma chi fa le cause S.l.a.p.p. normalmente rappresenta un qualche tipo di potere per cui i soldi non sono un problema.

Al contrario, chi viene schiaffeggiato dalla causa, normalmente Questotrentino attivisti dal punto di vista economico soffre molto le spese di difesa. E la causa civile evita il rischio che dopo pochi mesi il Pm chieda l’archiviazione. Il processo civile, che in Italia dura in media sette anni nei tre gradi di giudizio, si presta molto di più perché chi fa causa controlla la tempistica. Ad esempio: se adesso voglio citare QT perché non voglio che parli più di cause S.l.a.p.p., io faccio causa e fisso la prima udienza fra un anno.

Poi dopo ci sono le scansioni procedurali che non possono essere modificate. Quindi QT vivrà con questa spada di Damocle sulla testa. In Europa è stata creata anche una coalizione di associazioni, che si chiama C.A.S.E. (Coalition Against Slapp in Europe) che è nata anche per iniziativa di una causa S.l.a.p.p. sudtirolese, quella dei sui pesticidi, e comprende una quarantina di associazioni.

Alcune di primissimo livello in cui ci sono giornalisti, difensori dei diritti eccetera. Il soggetto più forte tra queste è la Fondazione Daphne Caruana Galizia (la giornalista maltese uccisa con un’autobomba per le sue inchieste scomode). La Coalizione lavora perché si limitino questo tipo di cause, perché si riconosca che sono un crimine contro la democrazia. Di fatto, impedendo l’espressione pubblica viene frustrato quel dibattito pubblico che è componente essenziale di ogni democrazia. Senza dibattito pubblico la democrazia è un guscio vuoto”.

È un potere prepotente quello che usa in questo modo gli strumenti giudiziari e nei casi più eclatanti il nostro ordinamento riconosce e sanziona questo uso distorto della giustizia. Ma la materia è ancora fluida e in questi tempi di arretramento della democrazia sostanziale la battaglia non sarà facile. Se voi, affezionati lettori, volete fare un piccolo gesto, andate sul portale di Salto (https://www.salto.bz/it) e firmate l’appello lanciato dalla redazione.

Perché, lo sappiamo, i comportamenti di padron Ebner riguardano il Trentino tanto quanto il Sudtirolo. L’impudenza del potere Parliamo della coppia di imprenditori Heinz Peter Hager e Paolo Signoretti, che a Riva del Garda, da qualche anno, hanno ingaggiato una battaglia all’ultima carta bollata contro l’ex amministrazione del Comune.

Nel 2019 avevano trascinato in causa l’allora sindaco Mosaner perché non voleva concedere il diritto di costruire su un loro terreno che però urbanisticamente non era edificabilce. Causa persa pesantemente già in due gradi di giudizio (vedi QT di febbraio e marzo) e che ora hanno portato perfino in Cassazione.

Ma nel 2021 – quando il cambio di amministrazione al vertice del Comune aveva già girato l’aria a loro favore – avevano fatto causa anche ad uno dei consiglieri comunali più attivi contro il loro progetto edilizio. Contro Alessio Zanoni (PD) avevano avviato una lite – chiedendo 55mila euro di danni morali – sostenendo che alcune sue dichiarazioni in Consiglio comunale erano diffamatorie. Che cosa aveva detto Zanoni? In sostanza il consigliere, citando il caso “Perfido”, aveva dichiarato che nella Busa si aggiravano interessi illeciti.

Senza fare né nomi, né collegamenti impliciti ai due imprenditori. E, ciliegina sulla torta, pretendevano che le sue dichiarazioni venissero rimosse dai verbali del Consiglio comunale. Poi, in alcuni post su Facebook, Zanoni aveva fatto dichiarazioni, del tutto legittime, sulla sua contrarietà al progetto dei due imprenditori, mai collegando però la questione a profili di illegalità. Ma queste due cause rivane ci fanno riflettere su quanto l’asticella dell’impudenza dei poteri si sia alzata negli ultimi anni.

L’attacco al livello istituzionale contro le istituzioni democratiche, perché non corrispondono ai propri interessi, e farlo con il preciso scopo di silenziare voci critiche, lascia basiti. Una buona mobilitazione pubblica, a Riva, aveva a suo tempo “difeso” efficacemente il consigliere Zanoni che non ha smesso di dire la sua.

Ma in altre situazioni politicamente meno vivaci cosa sarebbe successo per tutto il tempo in cui la causa è rimasta pendente? E chi altro ha rinunciato a dire la sua, vista l’esperienza di Zanoni? Risuona qui di nuovo un antico detto: “Colpirne uno per educarne cento”. E una volta sfondata la soglia dell’impudenza, la prossima volta di quanto si alzerà l’asticella, soprattutto se la società civile non è attenta e non si attiva per fermare questa deriva antidemocratica?

Laura Mezzanotte

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