Il giornalismo muore distrutto da conventicole che cercano potere, privilegi e prebende

EDITORIALE
Giovanna Tatò
Roma, 4 marzo 2023

L’attività sindacale continua. Chi crede che il giornalismo sia un impegno serio continua. È l’impulso di una vita e trova ancora la sua strada. Malgrado tutto, malgrado le mentite spoglie sotto cui dilaga un abbandono. .

Tutt’intorno si vedono solo “si salvi chi può” mascherati: il giornalismo non crede più in sé stesso e si arrocca in conventicole che hanno il solo scopo di perpetuare sé stesse e i suoi membri nella ricerca arrogante di potere, privilegi e prebende.

Si formano gruppi autoreferenziali, si saldano legami di do ut des, la notizia diventa un optional o la sua stesura assume colori e sfumature a seconda del reale scopo per cui viene data.

Il lettore, il telespettatore, il radioascoltatore non sono più il primo destinatario ma il secondo, laddove il primo, il padrone, viene occultato. E al secondo destinatario non viene fornito materiale per informarsi ma per venire addomesticato.

Nel maggio 1997, in una lezione all’Università di Torino, agli studenti che aspiravano a diventare giornalisti Indro Montanelli disse di scegliersi come padrone il lettore. Aveva ancora senso l’informazione per informare sebbene fosse ormai un po’ tardi.

La menzogna ora regna indisturbata e pochi, troppo pochi tra i giornalisti si ribellano e si ostinano a fare informazione e troppo pochi nel pubblico perseverano nel cercarla.

I giornalisti sono arrivati ad usare questo mestiere per ottenere altro. Svuotato, ne usano la lisca per mettere in pratica meccanismi di autogestione che calpestano diritti, regole e deontologia (lo abbiamo visto anche di recente), ne usano la carne per gonfiare il proprio portafoglio e il proprio ego.

Nella mia vita di giornalista, gli anni della maturità vedevano lo scontro continuo con l’editore e il direttore: la battaglia per un contratto dignitoso, per risolvere i problemi che lo sviluppo tecnologico poneva, per mantenere le opinioni distinte dai fatti, per approfondire fatti scomodi, per distinguere l’informazione dalla pubblicità.

In televisione, lo scontro si profilava per la distinzione fra informazione e intrattenimento. Il livellamento verso il degrado è stato irrefrenabile e impietoso da un lato, molto comodo dall’altro. La discesa lungo gli scalini della credibilità è tangibile.

L’imperturbabilità degli attori di questo processo, grandi piccoli e medi, continua nell’indifferenza generale di una società che cinicamente accetta tutto, volta alla piccola sopravvivenza, all’edonismo digitale, al vuoto di pensiero, a ogni genere di chiusura sopraffatta dalla paura per questo o quello spauracchio. Una deriva che fornisce un immenso materiale umano agli sfocati manovratori che si muovono al di là delle cortine fumogene della politica dei politicanti, della cultura ormai culturame, della religione ormai ritualità prosciugata e aiuto psicologico.

A smascherare tutto questo il giornalismo si dovrebbe dedicare debellando forse per prima, primissima cosa all’interno delle proprie associazioni, la strumentazione ad personam delle armi di cui il sindacato dispone ancora.

È con grande amarezza che constato che con questi dirigenti, arrivati ai vertici con pratiche perverse, il sindacato non fa che accompagnare al declino e alla scomparsa il ruolo un tempo prestigioso del giornalista.
Ma non tutti hanno abbassato le armi. Ed è per loro che il cammino del giornalismo continua.

Giovanna Tatò

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