Marinella Rossi, legge presunzione d’innocenza alimenta il mercato nero della notizia

Speciale per Senza Bavaglio
Marinella Rossi
Milano, 27 novembre 2022

Non chiamatela legge Bavaglio, sarebbe troppo. Chiamatela legge Scappatoia o Pretesto, ben vestita in quelle Procure e da quei Procuratori che negli anni hanno via via perso in sensibilità costituzionale ma acquistato in ego, e vivono l’informazione come una solenne seccatura il più possibile da scrollare via durante il proprio mandato.

Una legge Scappatoia, utile a confondere, sottostimare, eludere, precarizzare la fondante – per il diritto di sapere dell’opinione pubblica e il diritto di indagati/arrestati di usufruire del controllo sulle attività giudiziarie a loro carico – azione di tutela collettiva operata dall’informazione.

A un anno dall’entrata in vigore della cosiddetta legge sulla presunzione d’innocenza che va (ahi lei) sotto il nome dell’illustre giurista Marta Cartabia, la nuova normativa, nata nel segno di “ce lo chiede l’Europa” (ma l’Europa non chiedeva questo), sancisce un principio ovvio e basilare del rispetto dell’individuo sottoposto a indagini e/o a misure di privazione della libertà, già ampiamente previsto nel dettato costituzionale, e in contemporanea, con la sua formulazione appannata e ambigua, apre a una giungla informativa, fatta di comunicazioni arbitrarie e a intermittenza.

 

Veline/comunicati emesse dai procuratori, se e quando emesse, generiche, fuori tempo, omissive. Sostituti procuratori apparentemente intimiditi, in realtà semplicemente inclini a indossare la foglia di fico della norma del 2006, in base alla quale è il capo della Procura a gestire i rapporti con l’informazione – e più che mai ora con la legge ultima.

E, soprattutto, un pericolosissimo sottotesto: è l’autorità giudiziaria a decidere cosa sia di interesse pubblico. Non il giornalista, che se ne assume piena responsabilità.

L’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha avviato già mesi fa un tavolo di studio sulla situazione dei palazzi di giustizia della regione e sta raccogliendo informazioni dai colleghi attivi in questo delicato settore: ne emergono situazioni di sconcertante aporia e difformità fra uffici e sedi giudiziarie.

Arresti nascosti, comunicati tardivi, diniego di informazioni generiche, e veline che, ai bei tempi del bel giornalismo, un caporedattore avrebbe infilato nella bocca del povero cronista, se avesse osato presentarcisi. Spesso sono più le mancate risposte a richieste di udienza da parte dei cronisti: l’esercizio dell’informazione, bene costituzionalmente garantito, non lo è, in forma ufficiale, nei luoghi deputati al rispetto delle leggi e della Carta.

E lo scaricabarile arriva fino agli organi di polizia cui in effetti la legge (ahi noi) attribuisce ruolo prioritario di gestore delle informazioni. Naturalmente i cronisti continuano a fare il loro lavoro: e se una legge avrebbe dovuto garantire auspicabili norme di comportamento (certo qui non si negano deviazioni improprie al corretto uso dell’informazione o addirittura inclini alla spettacolarizzazione), l’attuale norma pare sortire l’effetto contrario.

Nel togliere ai titolari dell’informazione il sacrosanto diritto di correttamente sapere e divulgare, il mercato dell’indiscrezione collaterale e clandestina diventa terreno di approvvigionamento della notizia; il circolo per arrivare a conferme e riscontri si fa labirintico, il lavoro è sempre più sottotraccia, e invece che nelle regole si opera nell’inevitabile deviazione delle stesse. Il proibizionismo genera mercato nero.

Ma come un sindacato attento, vigile, può affiancare colleghi impegnati in un lavoro così complesso, e per le ricadute sugli individui, e per la difficoltà a reperire informazioni corrette, esaustive e quindi rispettose?

Spesso, quei colleghi sono fra l’incudine delle redazioni e il martelletto delle Procure, e se un sindacato poco può fare su queste ultime, certo dovrebbe pesare con la sua autorevolezza sui meccanismi legislativi, e può e deve incidere con la sua presenza e prossimità sui meccanismi distorti che si alimentano nei luoghi di lavoro.

Non può farsi regola un’informazione affrettata e generica, per rispettare ruolini di marcia o, peggio, cavalcare le onde sui quali surfano tutti. La qualità del giornalista e del suo lavoro, più che mai nel settore dell’informazione giudiziaria, passa principalmente nel rispetto della sua professionalità e degli strumenti con la quale la può esercitare. Giornalisti sempre più “poveri”, sempre più sottostimati, non inquadrati, e sempre più “ridotti” non faranno quel giornalismo impeccabile e inattaccabile che passa per il racconto del reale solo nella sua completezza.

Marinella Rossi
Candidata per Senza Bavaglio alle elezioni della Lombarda e della FNSI
marinella.rossi1956@gmail.com
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@sbavaglio
© RIPRODUZIONE RISERVATA

*Professionista dal 1983, responsabile Giudiziaria di Giorno e Qn fino al 2016, seguendo i principali i casi nazionali, da Sindona al sequestro Abu Omar. Autrice di molteplici scoop, riceve il Premio Vergani. Eletta nel direttivo ALG e al congresso FNSI, è in commissione OdG su “presunzione innocenza e violazioni al diritto di cronaca”.

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