Il dilemma Mondadori: chiedere la grazia o chiudere Grazia?

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Bergamo, 25 marzo 2020

Signori si nasce, diceva Totò, e non è difficile capire chi “lo nacque”. Gian Luca Rana, per esempio, amministratore delegato per pastificio veronese, che ha varato un piano per premiare con incrementi salariali fino al 25 per cento i circa 700 dipendenti che stanno dando un supporto concreto in questo particolare momento. Un investimento di circa 2 milioni di euro che la dice lunga su come si deve gestire un’azienda sana, per mantenerla tale nei momenti più difficili.

Nelle stesse ore c’è chi si muove, meschinamente, nella direzione diametralmente opposta. Come una vecchia conoscenza nel settore dell’editoria, che non perde occasione per dimostrare lo spessore dei manager che la gestiscono. Abituati a creare situazioni da sfruttare a proprio vantaggio, in Mondadori hanno colto al volo l’occasione di questa emergenza per preparare un pacchetto di iniziative a dir poco sconcertanti. A cominciare dalla decisione unilaterale di affidare ai direttori delle poche testate rimaste un piano di smaltimento delle ferie, per arrivare a un cambio di periodicità del femminile Grazia, che non promette nulla di buono. Per tornare alle ferie, la comunicazione parla di un monte ore di arretrati da azzerare sulla base di un obbligo di due giorni di ferie a settimana. Ma qualcosa non quadra.

Innanzitutto perché un anno fa sono state smaltite praticamente tutte le ferie arretrate, e i piani presentati senza consultare i giornalisti vanno ben oltre i due giorni a settimana indicati. C’è chi, da qui a metà aprile, si è visto imporre cinque giorni su cinque per più settimane, che non si basa sugli arretrati, ma su ferie ancora da maturare prima della fine del 2020.

La cosa più grave è che non si tratta del primo tentativo di sottrarre fraudolentemente le ferie per liberarsi di un costo, visto che solo pochi mesi fa l’azienda aveva messo a punto una trappola con la complicità del CdR che aveva avallato l’accordo. Allora era stata posta una data limite entro la quale azzerare il monte ferie arretrate, superata la quale i giorni di riposo sono stati letteralmente scippati dalla busta paga. Un vero e proprio furto, che ha obbligato la direzione del personale a restituire il maltolto.

Sulla questione ha preso posizione l’Associazione Lombarda dei Giornalisti con una serie di precisazioni: innanzitutto “l’utilizzo delle ferie da parte dell’azienda, NON È una previsione impositiva delle norme emesse dal Governo in tema COVID-19”. Inoltre, in caso di “riduzione dell’attività produttiva, con il DPCM del 22 marzo 2020 – che recepisce il Protocollo condiviso tra Governo e parti sociali del 14/3/20 – si FAVORISCONO INTESE tra azienda e rappresentanze sindacali aziendali (CDR e fiduciari nel nostro caso) per l’utilizzo degli ammortizzatori sociali e, nel caso in cui l’utilizzo degli ammortizzatori sociali non risulti sufficiente, si faccia ricorso all’utilizzo delle ferie arretrate e non ancora fruite”.  Mentre “non è possibile imporre ai giornalisti la programmazione di ferie che devono maturare nel corso del 2020: tanto più di quelle non ancora maturate”.

La situazione è chiara, a Segrate la buonafede latita e gli attacchi si ripetono senza sosta, anche perché chi detiene il potere può contare sull’appoggio passivo di parte dei lavoratori, illusi dal fatto che assecondando le richieste si possa mantenere l’occupazione. La realtà non è questa, e anche i più aziendalisti e viscidi non sono al sicuro.

Perché le manovre non sono certo rallentate dal particolare momento (al contrario), e le sorprese non mancheranno, anche prima della fine della pandemia. Le conferme arrivano dalla comunicazione ufficiale che Spy e Il mio Papa hanno sospeso dal 18 marzo le pubblicazioni fino a data da destinarsi, che è ormai certo non verrà mai comunicata. Ma se la loro fine era annunciata da tempo, preoccupa la notizia che dal 31 marzo e per un numero Grazia passerà da settimanale a quindicinale. Per il futuro “si valuterà in relazione agli sviluppi dell’emergenza”, una frase che non promette nulla di positivo, conoscendo l’ambiente.

Tra le possibili, ma è meglio dire probabili, imminenti chiusure c’è anche ON, il “periodico senza periodicità” nato da una costola di Sorrisi e Canzoni. Una testata che ad aprile 2019 si proponeva di diventare la guida alla TV del futuro in streaming. Un’avventura iniziata con una tiratura di 160.000 copie e con l’offerta ai lettori di un abbonamento gratuito bimestrale a Infinity, che non è mai decollata. Non bisogna essere dei geni per capire il perché: i fruitori di quei canali sanno dove trovare in rete tutte le informazioni più fresche, sono giovani e non acquistano nessuna rivista. Per contro, il pubblico più maturo non si avventura nel mondo dello streaming, nemmeno se guidato passo dopo passo.

Ma evidentemente l’idea è arrivata dall’alto, dal fenomeno di turno, convinto di avere avuto l’idea del secolo. Proprio come chi, nel 1996 inventò le Pagine Utili, un doppione delle Pagine Gialle con le quali Mondadori si illuse di poter raccogliere pubblicità in grande quantità. Ben presto si rivelò un gigantesco flop, che si concluse con perdite miliardarie (c’erano ancora le lire) e con la messa in cassa integrazione di 40 lavoratori. All’epoca, però, alla guida dell’azienda c’era ancora un Mondadori; oggi le cose finirebbero molto peggio. Ed è superfluo sottolineare per chi.

Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com

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