Ordine: quando le toppe sono peggio del buco

La nuova norma è un papocchio, che ricicla, con qualche modifica, la riforma del praticantato già partorita dalla stessa maggioranza e bocciata dal ministero della Giustizia.

Speciale per Senza Bavaglio
Alessandra Fava e Laura Verlicchi
Milano 30 marzo 2023

La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni: la riforma dell’accesso alla professione giornalistica, varata dal Consiglio nazionale dell’Ordine, ne è un esempio. Le buone intenzioni sono all’inizio: “far fronte ai cambiamenti che hanno interessato il giornalismo negli ultimi anni”.

Quindi la maggioranza che governa l’Odg ha ritenuto necessario rivedere le linee interpretative dell’art.34 della legge professionale relativi all’iscrizione al registro dei praticanti.  E qui ci ritroviamo un papocchio, che ricicla, con qualche modifica, la riforma del praticantato già partorita dalla stessa maggioranza e bocciata dal ministero della Giustizia. Insomma la toppa preparata dall’Ordine è peggio del buco creato dai cambiamenti del giornalismo.

Leggiamo infatti che “I consigli regionali dell’Ordine, nella loro autonomia, potranno procedere  all’iscrizione al Registro dei praticanti a seguito dell’accertamento del lavoro giornalistico svolto”, a seguito di domanda di iscrizione che “dovrà documentare la continuità dell’attività giornalistica, esercitata in maniera sistematica con particolare riferimento alla produzione giornalistica, e alla certificazione della retribuzione del lavoro, anche senza il vincolo della subordinazione, con la percezione di un reddito professionale indicativamente equiparabile al minimo tabellare lordo previsto per il praticante con meno di 12 mesi di servizio”.

Un testo ambiguo e poco chiaro, a partire dal termine “attività giornalistica” quantomai generico: manca infatti una definizione precisa e univoca, ad esempio Attività svolta per una testata, cartacea o on line, con la presenza di un direttore responsabile.  Senza parlare del rischio concreto di possibili commistioni con pubblicità, marketing e simili.

Veniamo ora alle indicazioni per lo svolgimento del praticantato, su cui sarebbe l’Ordine regionale a svolgere l’attività di vigilanza, anche attraverso la designazione di un tutor, mentre la formazione deontologica sarebbe affidata a 36 ore di corso.

A conclusione dei 18 mesi di praticantato, il presidente dell’Ordine regionale, acquisita la relazione finale del tutor e verificati i requisiti di “attività giornalistica”, rilascia la dichiarazione di compiuta pratica.  Quella che normalmente viene rilasciata dal direttore responsabile, a meno che non si tratti di praticantati d’ufficio: quelli sì, garantiti dall’Ordine, ma, appunto, si tratta di casi particolari e documentati.

Qui, invece, si sceglie ancora una volta una strada ambigua, che non garantisce uniformità di trattamento agli aspiranti giornalisti.  Già ora infatti in materia disciplinare le decisioni sono difformi da un Ordine all’altro, pur in presenza di un codice deontologico preciso.  Un problema che inevitabilmente si riproporrà in caso di una gestione dell’accesso affidata esclusivamente al giudizio degli Ordini regionali.

Una riforma che vuole includere i “nuovi giornalisti” dovrebbe piuttosto riflettere su : -Chi fa informazione oggi – Per quali media/piattaforme lavorano e o collaborano i  nuovi giornalisti – Che tipo di inquadramento hanno.

L’Ordine dovrebbe fare una ricerca approfondita per individuare queste caratteristiche, inclusi i pagamenti che queste persone ricevono.  Solo a questo punto, in base ai dati raccolti, si può pensare ai meccanismi di accesso.

In conclusione: il giornalismo è cambiato, e nessuno può negarlo. Ma modificare un dettaglio legislativo, come il praticantato, senza una strategia e una visione globale sulla nuova professione – cominciando, magari, dalla lotta al malcostume del lavoro gratuito – non ha senso. A meno che non sia un sistema per far cassa, facendo rientrare dalla finestra i cosiddetti comunicatori. Che però non hanno nessuna intenzione di entrare: né dalla finestra, né dalla porta.

Alessandra Fava (alessandrafava.privacy@gmail.com)
Laura Verlicchi (verlicchilaura7@gmail.com)

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Le iconografie del sito di Senza Bavaglio sono di Valerio Boni
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