Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Milano, 10 dicembre 2022
Si dice che i numeri non mentano, 1 + 1 è uguale a 2. Sempre, o quasi, perché anche i numeri si prestano a essere interpretati e i risultati possono essere manipolati assimilando tra loro elementi di differenti natura.
Ciò significa che un’arancia più un’arancia darà come risultato due arance, ma se a un’arancia si somma una cipolla si avranno due “oggetti”, che tuttavia saranno sempre un frutto e una verdura.
Aritmetica manipolata
La premessa è doverosa, perché spesso si manipola l’aritmetica per rendere credibili affermazioni che altrimenti non starebbero in piedi. Succede con i bilanci delle aziende, a cominciare dagli editori che riescono da un giorno all’altro a mostrare scenari opposti, da presentare ai lavoratori o agli azionisti, e capita in politica, dopo ogni elezione.
E, naturalmente, è un fenomeno dal quale non sfuggono i giornalisti, quando sono impegnati in votazioni per il rinnovo delle varie cariche. Un peccato originale che non poteva non ripetersi anche dopo i quattro giorni di elezioni in Lombardia.
Prima di entrare nel merito dei risultati ottenuti dalle varie forze in campo in Lombardia, è doveroso prendere atto che prima ancora dello spoglio delle schede (e già alla vigilia del voto) c’era già un perdente: il sindacato. Nel 2018 i giornalisti professionali iscritti alla Alg erano 3.618, mentre nel 2022 si sono ridotti a 3.416, con una perdita di 202 unità.
E ancora peggio è andata ai collaboratori, che da 701 sono scesi a 625, 76 in meno rispetto a quattro anni fa.
Sconfitta pesante
Una sconfitta che diventa ancora più pesante se si considera l’affluenza in calo, dal 47,95 al 42,79 per cento per i professionisti, dal 35,81 al 33,71 per cento per i pubblicisti. Il messaggio è chiaro, i giornalisti hanno perso la fiducia in un’istituzione che non è in grado di rappresentarli come meriterebbero. Una condizione che è aggravata dal fatto che molti dei colleghi non più iscritti sono vittime della gestione di una maggioranza vissuta di rendita fino a ieri.
Perché oggi Stampa Democratica comincia a pagare la mancanza di idee e strategie. Sono i numeri a parlare: 88 voti in meno (il 16%) rispetto al 2018 nel Consiglio Direttivo, e ancora peggio per quanto riguarda i delegati al Congresso, dove l’emorragia è di 115 voti (il 20,3%), che è costata due seggi.
Un risultato che stride con i proclami di quattro anni fa: “Abbiamo 560 elettori professionali, il 10% in più (50 elettori in più) rispetto a quattro anni fa, quando peraltro eravamo candidati insieme a un’altra lista, mentre stavolta ci siamo presentati da soli”.
Ridimensionata
Stampa Democratica rimane, è vero, la prima forza in campo, ma esce ridimensionata dal confronto, che peraltro ha portato alla riconferma dei soliti nomi, che non hanno intenzione di modificare le strategie.
Nel 2018 Stampa Democratica faceva riferimento all’incremento di voti ottenuto “ballando” da sola (numeri peraltro persi con gli interessi nel 2022) senza il supporto di una lista collegata.
In questi giorni non parla invece di alleanze Non Rubateci Il Futuro, che sottolinea la crescita “da 213 a 295 voti nell’elezione Alg e da 237 a 282 in quella per il Congresso Fnsi: rispettivamente +38,5% e +19%. Le altre forze hanno avuto una flessione che va dall’11 al 48% in Alg e dal 6 al 28% in Fnsi”.
Collaborazione non citata
In nessun punto del comunicato si cita la collaborazione con Stampa Libera e Indipendente, che portava in dote 81 voti del 2018 per il Consiglio Direttivo.
Tirando le somme, l’accordo è fruttato un voto in più, che non è certo un risultato da buttare considerando i 202 votanti in meno, ma con questa chiave di lettura il risultato è sicuramente meno eclatante di quello sbandierato.
E un fenomeno simile si è verificato nei conteggi relativi all’elezione dei Delegati al Congresso, dove i voti dell’alleato (che non presentava una lista nel 2018 e in questa tornata) sono chiaramente stati fatti confluire sulla coalizione amica. Tutto lecito, sia chiaro, ma i miracoli sono un’altra cosa.
Senza Bavaglio è riuscita a mantenere voti (con 2 elettori in più) e seggi nel Consiglio Direttivo, e a contenere la perdita di votanti, che non ha influito sul numero di rappresentanti al Congresso: restano otto.
Se gli esiti del voto evidenziano una situazione desolante per i giornalisti professionali, la situazione è quantomeno drammatica per i collaboratori, che è lampante non si considerano rappresentati da un sindacato che per loro non ha mai fatto alcun passo degno di nota.
Bisogna inoltre aggiungere che le classificazioni non rispondono nemmeno più alla realtà, in quanto proprio grazie alle scelte di Stampa Democratica sono molti i professionisti rimasti in mezzo a una strada e oggi sono obbligati a elemosinare collaborazioni malpagate, se non a cambiare lavoro.
Realtà cambiata
Dall’altra parte, invece, non sono certo rari i casi di pubblicisti che a tutti gli effetti svolgono funzioni di redattori (ma anche caposervizio e caporedattore), senza contratto e pagati come stagisti, con il benestare dei Cdr e delle ispezioni farsa della buonanima dell’Inpgi.
La realtà è cambiata, ma la maggioranza non ha alcuna intenzione di rendersene conto, e la conferma arriva dal fatto che si astiene dal presentare liste a sostegno dei peones del settore. L’unico interesse rimane la difesa dei privilegi di quei pochi, che anche grazie all’inettitudine diventano ogni giorno di meno.
Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com
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