Speciale per Senza Bavaglio
Leonardo Coen
Milano, 22 novembre 2022
Ricordo che giovani eintellettuali nel Sessantotto (comunque lo si voglia considerare, rappresenta il crinale storico della nostra società con un “prima” e un “dopo”), accusavano il mondo dell’informazione di reticenza e complicità col potere perché le notizie diffuse erano censurate e poche, rispetto a quello che avveniva in altri Paesi (soprattutto in quelli anglosassoni e in Francia).
Si sospettava, non a torto, che venissero filtrate dai giornali e dalla Rai, allora gli unici a monopolizzarle, tant’è che nacquero diversi collettivi di controinformazione, saggi in cui si analizzava spietatamente l’arretratezza del settore in Italia, la collusione con la politica, la mancanza di una stampa indipendente. Un retaggio che continuiamo a portarci appresso, purtroppo.
Solo che oggi il problema è un altro. L’esatto opposto di sessant’anni fa. Siamo infatti vittime di infobesità (scusate il neologismo). Siamo cioè sommersi da valanghe di notizie, a getto continuo, senza soste, ogni istante della nostra esistenza uno tsunami di sovrainformazione si abbatte su di noi, sovente fine a se stessa o maliziosamente diffusa per alimentare confusione e contraddizioni.
Troppe notizie, infatti, si rivelano manipolate o false. Non c’è tempo per verificarne l’origine e garantirne l’autenticità. Rimbalzano da un social network all’altro, vengono riprese dai siti d’informazione, internet si rivela micidiale nello spalmare news e in questo gioco perverso delle parti, si alimenta un mondo mediatico parallelo e pericoloso.
Quando irruppe il web nella nostra vita, speravamo che Internet potesse diventare luogo (sia pure virtuale) di riconquista della libertà di parola e quindi dell’informazione, tanto attendibile quanto affrancato dalle tutele e dagli abbracci del potere politico, economico e finanziario perché le notizie ci arrivavano quasi in tempo reale, anche con immagini e video.
Ci sentivamo tutti un po’ militanti del pluralismo dell’informazione libera, abbacinati dalla possibilità di interagire coi lettori (evocando sofisticati approcci metalinguistici), creando una mentalità mediatica in cui applicare costantemente l’etica di un giornalismo sano, onesto, mai fazioso. Fu un’illusione.
Proprio il costante afflusso di news ingolosì i poteri forti, sfruttando la constatazione che la gran parte degli internauti non era in grado di approfondire ciò che scorrevano frettolosamente. Internet e le sue derivazioni mediatiche hanno invece amplificato l’effetto “curva” dell’informazione, in cui le intrusioni e le manipolazioni sono ormai sempre più evidenti e capillari.
Per questo è necessario ripensare il giornalismo e la sua funzione di guardiano della democrazia e delle istituzioni. Il giornalismo italiano attraversa un grave momento di crisi e di difficoltà oggettive che ne minacciano l’esistenza, o peggio, ne compromettono la credibilità.
Deve affrontare nuove sfide in un contesto sempre più complesso ed interconnesso, in cui differenti hardware (computer, portatili, tables, smartphone, etc.) sono al contempo concorrenziali e complementari. Linguaggi e tecniche di narrazione sono mutati in fretta, in maniera esponenziale: le piattaforme di testo e multimediali continuano ad evolversi.
L’intelligenza artificiale (AI) obbliga i media a navigare in un “paradigma di consumo completamente diverso”, come ha scritto Francesco Marconi nel suo saggio Newsmakers edito dalla Columbia University Press nel 2020, incentrato sull’AI e il mondo del giornalismo. Per inciso, Marconi è uno dei più grandi esperti mondiali di tecnologia, automazione, intelligenza artificiale applicate ai media.
L’informazione è sempre più ibrida, deve reinventarsi per non perdere lettori ed utenti in un pianeta virtuale in cui la concorrenza è spietata e gli interessi in ballo colossali.
Questa epoca di transizione non ammette treni in ritardo. L’intero flusso di lavoro giornalistico è stato trasformato dall’AI. Per semplificare: le redazioni richiedono un apprendimento e una formazione quasi costanti per rimanere aggiornate a causa del ritmo frenetico impresso dallo sviluppo tecnologico.
Internet, infatti, ha sconvolto l’industria dei media, ma questa (ennesima) rivoluzione è scoppiata “solo quando persino gli utenti più sprovveduti l’hanno finalmente adottato”, spiega Marconi, “con una massa di consumatori online, le organizzazioni di notizie sono state costrette a introdurre nuove pratiche di produzione digitale e aggiornare i loro modelli di business”.
L’attenzione al web soverchia quella sul cartaceo, settore tradizionale e vitale dell’informazione, ma il discorso dell’uno si riverbera su quello dell’altro. Cartaceo e web sono ormai indissolubilmente legati (e collegati). Semmai, da qualche tempo il cartaceo sta cercando di attribuirsi una funzione differente: dimostrare la propria autorevolezza e garantire la qualità del prodotto, con approfondimenti e originalità.
Diventare “fonte” a sua volta. Affiancare le piattaforme digitali creando prodotti alternativi, rendendoli indispensabili per la completezza dell’informazione.
Sono consapevole che non abbiamo la formula perfetta, non a caso alcune organizzazioni sono riuscite nei loro sforzi di trasformazione digitale e nella riqualificazione professionale dei loro dipendenti, mentre altre – la maggioranza – hanno continuato a subire l’erosione dei ricavi, a causa dell’incapacità (o dell’oggettiva impossibilità) di adattarsi rapidamente alle esigenze del pubblico e all’aumento della concorrenza.
Noi possiamo intervenire in questa cesura mediatica. E come? Trovando uno spazio didattico che consenta ai giornalisti di padroneggiare l’innovazione tecnologica e di creare, sfruttando gli strumenti basati sull’AI, un giornalismo “sostenibile” in grado di operare nel web dove i giganti della tecnologia vorrebbero monopolizzare l’informazione, con piattaforme indipendenti in cui ottimizzare le strategie di pubblicazione.
Rovesciamo lo schema invecchiato delle scuole di giornalismo che prevedono un lungo tirocinio storico e teorico a scapito della pratica. Partiamo dal prodotto giornalistico – digitale, per ovvi motivi economici – in cui gli allievi siano costretti fin dall’inizio a produrre contenuti, inizialmente testi, in seguito audio e infine video, ripartiti secondo settori e tematiche di volta in volta decisi durante una vera e propria riunione di redazione. Esercitarsi con e in un sito reale, addestrandosi e assimilando le dinamiche quotidiane del giornalismo.
Durante queste “lezioni”, i docenti impartiranno anche le nozioni necessarie ed indispensabili e ne verificheranno così il loro appprendimento. Insegnando soprattutto a verificare l’origine delle notizie, la loro attendibilità, riconoscendo le derive che stanno inquinando l’informazione in disinformazione sistematica (gli algoritmi che diffondono fake news).
Nel web, ahinoi, il principio di coerenza non esiste, prevale spesso una pseudo libertà (sovente trasgressiva, quindi più contagiosa…) che è infedele ed aggrega, senza controllo, notizie già manipolate in partenza. Insomma, smascherarle è un esercizio difficile, e qui il ruolo dell’esperienza e della serietà professionale è fondamentale, sia nella fase propedeutica che in quella pratica.
Progetto ambizioso? Utopia? Niente affatto. E anche se così fosse, meglio tentare che soccombere. Saranno le nostre Terre Promesse. Ciò che conta di più non sono, poi, le terre…ma le promesse.
Leonardo Coen
Candidato nelle liste Senza Bavaglio alle elezioni della ALG e della FNSI
Milanese, 74 anni, dunque pensionato. Ma non ancora in disarmo. Anzi. Cronista, inviato, corrispondente. Senza tessere, né padrini. Lunga gavetta ed esperienze (Il Milanese, Avvenire, Quotidiano dei Lavoratori, Giorno, Repubblica (ex corrispondente da Mosca), Fatto). Crede in un giornalismo sano, coraggioso, indomito.
leonardovalentinocoen@gmail.com
twitter @sbavaglio
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