Tutelare giornalisti e giornalismo: gli insegnamenti smarriti di Giorgio Santerini

Otto anni fa se n’è andato l’ultimo grande segretario della FNSI. Da allora tutto è precipitato e nessuno degli attuali dirigenti ha voluto raccogliere la sua eredità

Speciale per Senza Bavaglio
Massimo A. Alberizzi
Milano, 14 settembre 2021

Oggi è l’anniversario della morte di Giorgio Santerini, avvenuta otto anni fa. Giorgio è stato per sei anni, dal 1991 al 1996, segretario della Federazione Nazionale della Stampa. E per 12 anni presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti.

Giorgio, leader della corrente di Stampa Democratica (che peraltro oggi si è scordata di ricordarlo, ndr ),è stato l’ultimo grande sindacalista dei giornalisti e il protagonista dell’ultimo contratto serio nel mondo dell’informazione. Per chiudere quella trattativa con gli editori era stato aiutato e sostenuto da quello che allora era il suo vice, Giuseppe Giulietti.

Obiettivo chiaro

Ma la guida del negoziato l’aveva tenuta saldamente in mano lui: proponendo, discutendo, indietreggiando e poi riavanzando. Rischiando di rompere e anche bluffando. Ma sempre avendo chiaro un obbiettivo: il bene dei giornalisti ma anche quello del giornalismo.

Per raggiungere quell’obiettivo all’interno del sindacato si era alleato con persone che non la pensavano propriamente come lui, ma che gli avevano consentito, in cambio di una libertà di manovra sul piano locale, di muoversi liberamente contro gli editori e il loro strapotere.

Allontanato in Silenzio

Giorgio sapeva che non avrebbe potuto continuare per sempre e alla fine del suo mandato di segretario, al Congresso della FNSI a Villasimius, nel maggio 1996, dopo la sua relazione, il dibattito e la sua replica prima delle votazioni e l’elezione di Paolo Serventi Longhi si era allontanato in silenzio.

Aveva lasciato alcune disposizioni che i suoi fedelissimi di Stampa Democratica si sono ben guardati di eseguire. Non parlo né di Maria Grazia Molinari, né di Maurizio Andriolo ma di una serie di personaggi ambigui che, mossi da ambizioni personali e di gruppo, hanno tradito i suoi insegnamenti.

Tornato al lavoro

Era tornato a lavorare al Corriere della Sera dove era caporedattore. Altra tempra e altro carattere rispetto ai sindcalisti di adesso che non intendono tornare a lavorare alla conclusione del loro incarico e si riciclano all’infinito in qualche posto di sottopotere giornalistico in eterno permesso sindacale fino alla pensione.

All’inizio del 2000 aveva convocato me ed Edmondo Rho e ci aveva esortato a lasciare Stampa Democratica e a fondare un gruppo nuovo, autonomo e dinamico che potesse portare nuova linfa sindacale nelle vene di un’organizzazione che galoppava a passi veloci verso l’asfissia, i giochi di potere e la corsa all’occupazione delle poltrone.

Io e Rho fondammo così Quarto Potere che durò grosso modo un paio d’anni. Poi litigammo perché avevamo una diversa visione del mondo sindacale. Rho cercava una collocazione che gli desse potere e denaro (infatti sarebbe bello che spiegasse quant’è l’ammontare di compensi e gettoni di presenza incassati durante gli anni).

Il suo amico inossidabile

E chissà cosa direbbe Giorgio se venisse a sapere che il suo vecchio amico, l’inossidabile Marco Volpati, occupa la posizione di amministratore unico dell’Immobiliare Circolo della Stampa dal 1989! Pochi sanno che l’Associazione Lombarda dei Giornalisti – caso unico in Italia – possiede alcuni beni immobili.

Per me l’impegno sindacale si doveva realizzare invece come un servizio per migliorare l’esistenza dei colleghi senza perdere di vista la funzione del giornalismo in un sistema democratico. Con altri colleghi – tra cui mi piace ricordare la compianta Marilisa Verti – fondammo Senza Bavaglio. Con lo stimolo di Giorgio, con noi scese in campo Paolo Murialdi.

Chi può pensare che questa possa essere una ricostruzione di parte può parlare per chiedere lumi alla  persona che più è stata vicino a Giorgio, sua moglie Priscilla, che conosceva i suoi segreti, le sue debolezze e i suoi punti di forza, che lo consigliava, lo spronava e talvolta, quando era il caso, lo frenava.

Giurì dell’informazione

Con Giorgio eravamo in sintonia su diversi temi, che rompevano gli schemi cristallizzati del mondo dei giornalisti.

Ricordo, per esempio, che prima di varare un giurì dell’informazione che avrebbe dovuto giudicare su eventuali misfatti perpetrati nei e dai giornali mi chiese un parere. Gli proposi che nella rosa delle cinque persone da nominare come giudici i giornalisti fossero in minoranza, e che accanto a due dei nostri colleghi sedessero un avvocato, un magistrato e un cittadino qualunque.

Mi diede retta ma il Gran Giurì poiché intaccava profondamente i rapporti di potere fu formalmente varato ma non funzionò mai boicottato da tutte le parti.

Ricordare Santerini nell’anniversario della suo scomparsa non vuol essere una mera operazione di maniera. Vuole essere un richiamo – rivolto al suo compagno di tante battaglie, Beppe Giulietti,  presidente della FNSI – perchè ritrovi quella antica lucidità e quel modo di ragionare, essenza stessa del sindacato, tanto cara a Giorgio: la tutela dei giornalisti e del giornalismo e non delle clientele e delle caste.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
Twitter #sbavaglio
www.senzabavaglio.info

Condividi questo articolo