Eclisse totale nella previdenza italiana: la cassa dei giornalisti sta per fallire

Riccardo Sabbadini
Milano, 29 giugno 2021

E’ una sorta di eclisse totale nel mondo della previdenza. L’Inpgi, l’ente di previdenza obbligatoria dei giornalisti italiani, sta per fallire. Ha chiuso in rosso gli ultimi bilanci, quello del 2020 per 242 milioni. Quel che è peggio, i suoi rapporti tecnici sono divenuti insostenibili. Se, ancora nel 2009, i contributi di 3 giornalisti in attività bastavano per pagare la rendita ad un pensionato, nel 2018 (dove arriva l’ultimo bilancio analizzato dalla corte dei conti) poco meno di 10mila rendite (9568, delle quali 2329 di reversibilità) riposano sulle spalle di appena 14.731 giornalisti in attività.

E’, appunto, una eclisse totale perché raramente si assiste ad un simile sfacelo. E’ l’effetto della crisi dell’editoria che ha colpito il settore negli ultimi anni, ciò che ha spinto gli editori a disfarsi in tutti i modi dei giornalisti, per alleggerire i costi. Tra prepensionamenti e dimissioni incentivate le redazioni si sono rattrappite, la qualità della stampa è peggiorata, chi vi lavora è pagato di meno e fa turni insostenibili. Quelli ormai in quiescenza temono per la loro pensione.

Come si è arrivati al default? Tutto ha origine da una sciagurata legge (dlg.509/94) che nel 1994 ha privatizzato alcuni enti previdenziali obbligatori di categorie professionali. L’Inpgi è l’unico, tra l’altro, ad essere interamente sostitutivo dell’Inps. Svolge una funzione pubblica, i suoi bilanci sono vigilati dalla Corte dei Conti, nel Cda e nel collegio sindacale i ministeri sono rappresentati in gran numero ma la gestione è, appunto, privata. Il perché quella legge sia sciagurata è presto detto.

L’incessante progresso tecnico fa si che, nella storia, vi siano categorie di lavoratori che si sviluppino ed altre che invece deperiscano. Se oggi vi fosse la cassa dei maniscalchi quante pensioni riuscirebbe a pagare? Pertanto è necessario che la previdenza obbligatoria pubblica, il cosiddetto primo pilastro, poggi su un’unica cassa comprendente tutti i lavoratori, così da ammortizzare i movimenti che si svolgono al suo interno. Lo capirebbe un bambino ma semplici verità sono spesso sopravanzate da furbizie di corto periodo.

Quando ai giornalisti fu chiesto di esprimersi in un referendum se rimanere all’Inpgi o ad entrare nell’Inps, a quel tempo avevano pensioni migliori e i loro editori pagavano contributi inferiori. L’esito di quel referendum era già scontato in partenza. Negli anni questo gap si è progressivamente assottigliato ed oggi c’è, nei fatti, soltanto un aspetto che differenzia le pensioni dei giornalisti dalle altre.

I giornalisti possono andare in quiescenza a 62 anni (invece dei 67 canonici) con una sorta di pensione di vecchiaia anticipata. Ma quella norma, a ben vedere, piace soprattutto agli editori desiderosi di ridurre gli occupati il più rapidamente possibile. Se fosse per loro i giornalisti rimarrebbero tranquillamene nelle redazioni a fare il proprio lavoro.

La disciplina in vigore prevede che in caso di conti insostenibili, attestati da una “cassa” insufficiente a pagare almeno 5 anni di spesa pensionistica, l’ente debba essere commissariato. Peccato che una leggina successiva abbia cristallizzato al 1995 la spesa pensionistica da esibire per quell’attestazione! Una delle tante idiozie dei nostri legislatori. Utilizzando una legge successiva che ha certificato lo stato di crisi strutturale dell’Inpgi lo stato potrebbe tuttavia già decretare la gestione straordinaria dell’istituto. Se non l’ha fatto finora è perché le corporazioni, per così dire, sono al lavoro.

Presidente e dirigenti dell’Inpgi non vogliono la confluenza nell’Inps perché attualmente godono di compensi e retribuzioni significativamente superiori a quelle in vigore nell’ente pensionistico pubblico. Si spiegano anche così le fantasiose proposte di rilancio presentate in questi anni (come quella aggiungere anche i “comunicatori”, peraltro indisponibili, agli iscritti dell’istituto così da rimpolparne le entrate). Poi ci sono gli editori che in questi anni hanno largamente approfittato di un ente tagliato a misura delle loro esigenze.

Altro che efficienza della gestione privata! In questa sgangherata governance il vaso di coccio sono proprio i giornalisti, quelli in attività ed i pensionati. In questi giorni è attesa una nuova scadenza. Un articolo del decreto crescita del 2019 (legge 58/2019) attribuisce al governo di decidere il da farsi sulla base di un nuovo bilancio tecnico dell’istituto da presentare entro il prossimo 30 giugno. Può commissariare l’Inpgi e prolungare l’attuale agonia. La speranza è che si incammini con decisione nella prima strada, cancellando non soltanto l’Inpgi ma anche la legge che l’ha partorito come organismo privato.

Riccardo Sabbatini

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