Julian Assange, vittima di un sistema che non fa prigionieri. E non è il primo

Speciale per Senza Bavaglio
Germana Leoni
Milano, 27 aprile 2019

La festa della Liberazione ha visto sfilare a Milano oltre 60.000 persone, una lunga colonna al cui interno svettava in più punti l’immagine di Jiulian Assange con la bocca tappata: più di chiunque oggi l’emblema del bavaglio imposto alla stampa, di una vera e propria censura che imbriglia ormai in modo soffocante anche l’ultima mistificazione di democrazia. Ormai solo un abbaglio…

Come sono lontani i tempi dei “Pentagon Papers”, un dossier che l’economista ed ex analista militare americano Daniel Ellsberg consegnava al New York Times nel 1971: 7000 pagine di documenti coperti dal segreto di Stato fotocopiati. Rivelavano la strategia americana occulta in Indocina, esponevano le menzogne somministrate dall’Amministrazione Johnson al popolo e al Congresso e imbarazzavano l’Amministrazione Nixon, che conseguentemente tentava di bloccarne la pubblicazione.

Parzialmente riprese dal Washington Post e da altri media, avrebbero fatto scandalo e suscitato l’indignazione dell’America civile al punto che il giudice federale William Matthew Byrne avrebbe deciso di non procedere contro Ellsberg, il primo famoso “whistleblower” (termine intraducibile in italiano, ma che vuol dre più o meno “chi informa su una persona o un’organizzazione impegnata in un’attività illecita”) della storia recente, l’Edward Snowden degli anni settanta che oggi grida il suo sostegno ad Assange.

All’epoca accusato di spionaggio e crimini affini e definito da Henry Kissinger “l’uomo più pericoloso che esiste in America”, è stato invece insignito di vari riconoscimenti.

Aveva dichiarato Ellsberg: “Come americano responsabile, ho ritenuto di non poter più nascondere le informazioni al pubblico americano. L’ho fatto a mio rischio, e sono pronto a pagarne le conseguenze”. Oggi, come per sua stessa denuncia, sarebbe stato etichettato “terrorista” e  avrebbe fatto la fine di Julian Assange e di Chelsea Manning, analista dell’intelligence che, secondo il Dipartimento di Stato, avrebbe fornito documenti segretati a Wikileaks, gli stessi che Assange avrebbe poi esposto.

Ma oggi non è più il crimine di Stato ad essere perseguito, ma colui che lo denuncia. Oggi l’uso della menzogna è stato elevato a sistema: un sistema strumentale alla gestione di un potere che ha nella stampa un organo di diffusione di propaganda, e non certo di verità. Una stampa strumentale alla creazione dell’uniformità del pensiero tramite la manipolazione dell’informazione, a sua volta funzionale alla fabbrica del consenso. Un sistema che non contempla più l’esistenza di un Daniel Ellsberg, che costringe l’ex agente della Cia e consulente della Nsa Edward Snowden alla fuga in Russia, imprigiona i vari Assange e Manning e costringe al silenzio i tanti come loro, solo diffamati o emarginati nel migliore dei casi.

Ma in un sistema che reprime il dissenso, della democrazia resta solo un abbaglio.

Germana Leoni

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