Dissesto del giornalismo di qualità: appello del Consiglio d’Europa a 47 Stati

Romano Bartoloni
Roma, 21 febbraio 2019

Grido d’allarme del Consiglio d’Europa sullo stato di dissesto finanziario del giornalismo di qualità, con il lancio di un appello di pronto soccorso ai suoi 47 Stati membri. In una dichiarazione approvata il 13 febbraio 2019 dal Comitato dei ministri del CdE, si sollecita i governi a “garantire la sostenibilità finanziaria del giornalismo di qualità”, un bene pubblico vitale per la democrazia e che “svolge un ruolo essenziale nel consentire alle persone di formarsi e poter esprimere la propria opinione”. E, pertanto, “Gli Stati sono tenuti – si sostiene nel documento – a garantire l’indipendenza dei media e ad adottare misure che permettano l’effettivo esercizio della libertà di stampa, garantito dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con azioni positive come regimi fiscali vantaggiosi, programmi di sostegno finanziario, possibilità per gli editori e i giornalisti di operare come organizzazioni non profit e ricevere donazioni di programmi filantropici”.

Ormai non solo in Europa, i modelli tradizionali dei mass-media basati sulla pubblicità sono stati scardinati dal mondo diventato digitale e che vive immerso nel social network, nuovo pendolo dell’opinione pubblica, e che scandisce il proprio tempo attraverso la messagistica WhatsApp. Il Consiglio d’Europa, però, ne denuncia l’altra faccia oscura della medaglia che provoca una situazione drammatica per la stampa e che si traduce in perdita di posti di lavoro, ridotta copertura delle notizie, deterioramento delle condizioni di lavoro dei giornalisti, e mancanza di pluralismo.

Uno stato di crisi che rende i giornalisti più vulnerabili, esposti a rischi di ricatti e intimidazioni in un clima di censura e di autocensura. E poi il CdE mette il dito sulla piaga dell’invadenza e dell’inaffidabilità delle piattaforme online, spesso veicoli di disinformazione e di fake news. Sono veri e propri imperi economici inattaccabili, oggi più ricchi e potenti dei nababbi delle piattaforme petrolifere; e che, oltretutto, si impadroniscono delle notizie raccolte da altri senza pagarle o dire grazie.

In Italia, la cenerentola economica dell’Europa, la crisi ha colpito più duro il settore editoriale. Negli ultimi 10 anni oltre il 20 per cento dei giornalisti professionisti, in età matura ma a stragrande maggioranza ancora in gamba, è stato mandato a casa, in pensione, in prepensione, licenziato, in cassa integrazione, lasciandosi alle spalle la palude di un precariato sottopagato e ricattato.

Nella sua relazione di apertura, al recente Congresso Fnsi di Levico, il segretario Raffaele Lorusso, ha documentato il crollo dell’occupazione e l’esodo massiccio dai posti di lavoro. Ecco i dati forniti sulla crisi del settore: nel 2008 gli occupati erano 18.866, nel 2018 15.016 con un saldo di 3.850 esodati, pari al 20,4 per cemto. Nello stesso periodo, il numero dei giornalisti pensionati è cresciuto in modo preoccupante del 58,7 per cento: da 4.256 del 2008 al 7.240 del 2018, precipitando il rapporto con i giornalisti in attività a 1,56, cioè nemmeno 2 attivi per ogni pensionato.

Cosicché il ricorso al pensionamento si è imposto come il principale ammortizzatore sociale, peraltro, spesso forzando la legge. Se i pensionamenti hanno evitato licenziamenti e operazioni di macelleria sociale, in altri casi si è trasformata in un escamotage legale per alleggerire i bilanci delle aziende e trasferire i costi sul dissestato sistema previdenziale dei giornalisti.

Da noi sembra proprio che l’unico modello che abbiano in mente gli editori preveda lo svuotamento delle redazioni e l’aumento del lavoro precario, provocando una vera e propria emergenza democratica nell’editoria.

Negli ultimi 10 anni è anche cambiata la dieta mediatica degli italiani. Impressionanti sono i dati forniti dal rapporto Censis 2018 sulla comunicazione. Mentre Internet, i social e WhatsApp dominano l’80 per cemto della piazza nazionale, persino la televisione registra una flessione di telespettatori, determinata dal calo delle sue forme di diffusione più tradizionali.

Continuano a crescere le tv via internet e la mobile tv. Uno dei cambiamenti più rilevanti dello scorso anno è proprio l’incremento degli utenti dei servizi video digitali. Inquietante il crollo della carta stampata. Nel 2007, i quotidiani erano letti dal 67 per cento della popolazione, nel 2018 si sono ridotti al 37,4. Il calo non è stato compensato dai giornali online, dove gli editori hanno perso la sfida del riscatto. Ormai anche nei giardinetti appaiono una rarità i vecchietti che sfogliano i giornali, ovunque domina la frenesia del digitare mortificando i rapporti sociali.

Romano Bartoloni

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