“Rete 8”: licenziata per i contenuti di una conversazione privata con una “collega”

Speciale per Senza Bavaglio
Alessio Algeri
Pescara, 5 febbraio 2019

 “Sono sempre stata certa che la giustizia mi avrebbe restituito ciò che mi è stato tolto da chi non ha esitato a tradire la mia fiducia, po’ un mio sfogo personale e confidenziale al mio editore, il quale, per questo, mi ha licenziata. Oltre al profilo morale, oggettivamente esecrabile, quella delazione ha un profilo personale penale di cui chiederò conto”.

Così Barbara Orsini, giornalista professionista di Rete 8, la più grande emittente televisiva abruzzese, licenziata in tronco dopo 15 anni di lavoro a causa di una messaggio vocale inviato su whatsapp: in esso la giornalista affidava uno sfogo personale a una collega del settore commerciale di Rete 8, che Orsini riteneva un’amica. Nel messaggio la giornalista fa cenno alla sospensione di un servizio da parte dell’azienda a lei e solo a lei inflitto, penalizzandola, esprimendosi in alcune parti con un linguaggio colorito, come si usa tra amici. Un dialogo avvenuto fuori dall’orario di lavoro e dalla sede di lavoro, ma la presunta amica si è fatta parte diligente nell’informare tempestivamente l’editore. Tre pronunce processuali parleranno di “Sfogo poco elegante, ma certamente non ingiurioso né diffamatorio, poiché svoltosi nell’ambito di una conversazione con una collega-amica… non costituente offesa diretta al dirigente aziendale, ma solo un commento colorito espresso dalla lavoratrice in un contesto del tutto confidenziale, peraltro frutto di un sentimento di rabbia per l’ingiustizia subita”. Ma procediamo con ordine.

Chieti, 28 Marzo 2017 – Redazione della principale emittente televisiva dell’Abruzzo (RETE 8). Ore 14.30, un consulente del lavoro consegna una busta chiusa a una redattrice storica dell’emittente: Barbara Orsini, dal 2002 assunta a tempo indeterminato. Due suoi servizi sono appena andati in onda al tg. Sono gli ultimi, perché da quel giorno non rimetterà mai più piede in quella che, ancor prima che una redazione e un posto di lavoro, la giornalista avvertiva come un ambiente amichevole e familiare.

Orsini reagisce, pur nello sgomento e nella disperazione, affidandosi ad un legale e rispondendo alla lettera di contestazione. Viene correttamente richiesto un incontro con l’editore, Luigi Pierangeli. Barbara si presenta accompagnata da Marco Patricelli, Consigliere Nazionale della FNSI. In questa occasione viene rimarcato dal sindacalista come la vicenda non abbia alcun appiglio giuridico e che un provvedimento disciplinare sfocerebbe in un contenzioso nel quale l’azienda soccomberebbe, appunto per la pretestuosità della contestazione. Per tutta risposta Orsini viene sospesa dal lavoro per ben 50 giorni, anziché i 20 massimi previsti dalla legge. A fronte della reazione del suo legale, il Cda ne delibera il licenziamento.

La collega Orsini si rivolge allora al Tribunale di Chieti: il giudice Ilaria Del Prozzo dichiara la nullità del licenziamento e ordina l’immediato reintegro della collega. Rete 8 ricorre contro l’ordinanza. All’udienza testimoniale i due testi dell’azienda non si presentano in aula. Il 18 settembre 2018, il giudice Laura Ciarcia conferma: licenziamento nullo, immediato reintegro e immediato risarcimento.

Barbara Orsini

L’azienda, invece di ottemperare (i dispositivi delle sentenze di lavoro sono provvisoriamente esecutivi) ricorre in appello, ma anche stavolta finisce soccombente su tutta la linea. Alla corte basta una sola udienza per ribadire, il 13 dicembre 2018, l’illegittimità del licenziamento e, in virtù della nullità già riconosciuta dalle due precedenti pronunce, dispone l’immediato reintegro-risarcimento, senza che nessun punto di appello venga accolto. La società editrice di Rete 8 a questo punto dispone per Barbara una visita medica di idoneità, da effettuarsi proprio nella clinica dell’editore Pierangeli. Il 7 gennaio 2019, la collega viene dichiarata idonea al termine di una “non visita”.

A questo punto Barbara, non reintegrata sul posto di lavoro come ordinato da ben tre provvedimenti, viene, invece, raggiunta dalla comunicazione dell’azienda che ha disposto per lei le ferie obbligate per 28,5 giorni, ossia fino al 15 febbraio 2019. Il legale della giornalista non può che diffidare editore e azienda a ottemperare alla sentenza di appello, sollevando altresì l’assurdità dell’imposizione delle ferie (peraltro monetizzate dalla sentenza d’appello quindi non usufruibili). Fino a oggi, senza seguito alcuno. E la collega è costretta a rimanere a casa. Come se le sentenze di giudici e tribunali fossero carta straccia.

Alessio Algeri

algerialessio2@gmail.com

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