Speciale per Senza Bavaglio
Pino Nicotri
Milano, 16 novembre 2018
La polemica della Federazione e dell’Ordine nazionale dei giornalisti col vice premier Luigi Di Maio, nonché ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, per le sue frasi offensive verso i colleghi non tiene conto di quello che potrebbe essere il fatto più grave. A Di Maio è stato ribattuto che è un giornalista anche lui, sia pure non professionista ma solo pubblicista. E il presidente Carlo Verna dell’Ordine gli ha risposto duramente concludendo: “Da presidente dell’Ordine dei giornalisti gli chiedo di valutare seriamente la possibilità di lasciare spontaneamente la nostra comunità, nella quale ha diritto di stare, ma in cui chi si comporta così non è assolutamente gradito”.
Che Di Maio abbia “diritto di stare” nella “nostra comunità” non è del tutto certo. Stando alle sue dichiarazioni dei redditi presentate al parlamento non si nota traccia né dei redditi, per quanto minimi, relativi agli articoli pubblicati e PAGATI per gli almeno 24 mesi necessari per potersi iscrivere all’Ordine, nell’Albo dei pubblicisti, né dei redditi degli articoli necessari negli 11 anni successivi per poter non essere cancellato dall’Albo.
A differenza dei giornalisti professionisti, i pubblicisti vengono cancellati se non proseguono la loro attività pubblicando articoli PAGATI. Ed è piuttosto strano, se non decisamente scorretto, che l’Ordine della Campania non abbia mai risposto alla mia mail PEC avente per oggetto “Iscrizione all’Ordine come pubblicista dell’onorevole Luigi Di Maio” inviata il 27 ottobre alle ore 13:31 per chiedere se Di Maio risulti ancora iscritto. Per non essere tacciati di essere delle puttane anche noi, cosa che peraltro non ci turberebbe neppure un po’, documentiamo ora con pignoleria quali sono le regole fissate dal’Ordine Nazionale dei Giornalisti per diventare pubblicista e restare tale:
“Per l’iscrizione occorre: […] 2) presentare gli articoli, a firma del richiedente, pubblicati in giornali e periodici e i certificati dei direttori delle pubblicazioni, che comprovino l’attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni; […] 4) presentare la documentazione dei compensi percepiti negli ultimi 24 mesi, che devono essere in regola con le norme fiscali in materia”.
Di Maio è diventato pubblicista il 4 ottobre 2007: ciò significa che ha iniziato a pubblicare articoli “regolarmente retribuiti” nell’ottobre del 2005. E a quanto ha detto Verna è ancora pubblicista. Se in questi 11 anni non è stato cancellato dall’Albo significa che ha continuato a pubblicare articoli e che questi gli sono stati “regolarmente retribuiti”. Ma nella dichiarazione dei redditi presentata al Parlamento non ne fa nessun cenno. E per quanto riguarda il reddito precedente la sua prima elezione, quella del 2013, quando pubblicava già da otto anni articoli “regolarmente retribuiti”, cosa ha dichiarato al parlamento? Che si sappia, ha dichiarato reddito zero: cosa strana, perché per poter diventare giornalista pubblicista era necessario, come abbiamo visto, che gli articoli scritti nei 24 mesi precedenti, quindi anche nel 2012, fossero stati “regolarmente retribuiti” e non pubblicati gratis. Si tratterà certo di cifre minime, ma perché tacerle? Anche nel caso che Di Maio rientrasse nei casi esonerati dall’obbligo della dichiarazione dei redditi perché tacere?
In ogni caso, Di Maio una volta eletto, nel 2013, non poteva certo più rientrare tra gli eventuali esonerati. Ma nella dichiarazione presentata al Parlamento quest’anno non figura neppure un centesimo percepito dal 2013 in poi per attività giornalistica. Perciò i casi sono due:
– Di Maio è un evasore fiscale, per quanto piccolo piccolo, perché non ha dichiarato al Fisco i redditi giornalistici, per quanto minimi;
– Di Maio non è un evasore fiscale perché dal 2013 non ha guadagnato neppure un centesimo da pubblicazioni di articoli. Nel qual caso deve essere cancellato dall’Albo, cosa che l’Ordine della Campania avrebbe dovuto provvedere a fare già da un pezzo.
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