Il decreto Sacconi – frutto dell’accorso tra FNSI e FIEG – e lo sciagurato contratto lo consentono: si può intervenire con le varie forme di ammortizzatori sociali o con gli strumenti previsti per il taglio dei costi, anche se si hanno i conti in utile. E nel caso della Condé Nast, addirittura in miglioramento rispetto al recente passato.
La controllata italiana del colosso editoriale americano, è noto, vuole drasticamente tagliare il personale (a fine 2014 i dipendenti erano 465, dei quali 176 giornalisti) per “sanare” i conti (che sono in utile) e affrontare al meglio la crisi, che impazza sul mercato editoriale italiano dal 2008-2009. Una cura tardiva evidentemente o un modo per l’azienda di trovare la scusa buona per sfoltire gli organici?
Il dubbio sorge spontaneo se si analizza il bilancio del 2014 della Edizioni Condé Nast. Se è vero che il fatturato complessivo è leggermente calato, da 153 a 148,4 milioni, è altrettanto vero che i margini sono sensibilmente migliorati e i profitti ulteriormente saliti. Il margine operativo lordo è balzato infatti da 5,76 a 9,09 milioni (per un margine del 6 per cento sui ricavi che di questi tempi è manna dal cielo). L’utile netto, poi, si è più che duplicato, passando da 1,95 a 4,06 milioni. Grazie anche al costo del personale, calato dal 2013 al 2014 a 42,9 milioni.
Fieno tenuto in cascina dai soci, pardon dal socio unico Condé Nast International Ltd, che al momento di approvare il documento contabile ha deciso di non distribuirsi il dividendo. Tanto il consiglio d’amministrazione della branch italiana, guidato dal presidente e amministratore delegato Giampaolo Grandi, aveva deciso lo scorso 22 settembre, di staccare un bel dividendo di 7 milioni allo stesso azionista made in Usa.
Un regalo d’autunno, prima che si aprissero le danze dei tagli e delle pressioni sistematiche sui dipendenti. Che dire: non certo un bel gesto di democrazia per il personale, magari tenuto all’oscuro della mossa finanziaria che ha favorito solo l’azienda capogruppo d’Oltreoceano.
E anche a livello di solidità patrimoniale la Condé Nast non se la passa male: il patrimonio è di 61,2 milioni quasi il doppio del debito complessivo (38 milioni, 20 milioni dei quali nei confronti dei fornitori, e 0 nei confronti delle banche).
Come mai quindi Grandi ha fatto la voce grossa con la FNSI, con il sindacato regionale, con i comitati di redazione e con i giornalisti? L’azienda prevede di risentire della crisi. E quindi vuol applicare la regola: prevenire è meglio che curare. Ma con questi numeri non c’è bisogno del medico. La stabilità è garantita dal bilancio. Anche se è vero che il gruppo dipende in maniera esagerata dall’andamento degli investimenti pubblicitari: ben il 79 per cento del giro d’affari consolidato deriva dagli introiti da advertising.
Ma c’è da dire, come certifica da mesi la Nielsen, che i periodici, seppure ancora con segno meno, se la passano decisamente meglio dei quotidiani. E la Condé Nast ha solo mensili e settimanali (oltre a siti internet).
Nonostante questo l’editore non fa sconti a nessuno. Ha individuato 70 giornalisti da sfrondare, quasi il 40 per cento del totale, oltre ad altri 30 dipendenti. Per fare presto, bypassando ogni forma di accordo sindacale, ha proposto scivoli (due annualità nette di stipendio) a chi volesse cogliere al volo la palla e levare le tende. Finora hanno accettato questa opzione ben 23 redattori, non pochi.
Senza Bavaglio consiglia ai colleghi che non hanno intenzione di lasciare il loro lavoro di non accettare le proposte aziendali. Meglio farsi licenziare, suggerisce il nostro avvocato. Infatti le due annualità offerte dall’azienda sono nette, senza tredicesima, senza redazionale e, soprattutto, senza i contributi. Moltiplicate cioè il vostro stipendio netto, cioè quello che vi entra in tasca, per 24 e otterrete la cifra che vi verserà l’azienda.
Chi invece riceverà la lettera di licenziamento (e non è detto che la riceva) avrà: 8 mensilità lorde (cioè compresi i contributi e le trattenute) di mancato preavviso, un anno di disoccupazione lorda (cioè con contributi, trattenute, tredicesima, redazionale eccetera), un anno di disoccupazione netta (senza i contributi) e la possibilità di impugnare il licenziamento.
Ma si può fare qualcosa di più. I colleghi della Condé Nast dovrebbero trovare una guida nel sindacato che ha il compito di coinvolgerli, magari organizzando riunioni non all’interno dell’azienda ma da qualche altra parte, per esempio nella sede dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti o al Circolo della Stampa al sabato. Le pressioni che sta esercitando l’azienda intimidiscono i colleghi, impauriti a tal punto d’aver paura persino a partecipare alle assemblee nei locali aziendali. E questo i sindacalisti dovrebbero saperlo bene e dare forza ai colleghi e sostenerli. Non è sufficiente mettersi l’anima in pace organizzando un’assemblea in redazione e poi commentare: “Alla Condè Nast non hanno coscienza sindacale, non reagiscono. In assemblea sono venuti in pochi”.
La situazione in quell’azienda non migliora. E se la FNSI ha in calendario un nuovo incontro a breve con la casa editrice, i manager hanno iniziato un secondo round di “moral suasion”, dopo quella fatta nei mesi scorsi dai direttori delle singole testate. Ora è lo staff della direzione del personale a cercare di persuadere con ogni mezzo i giornalisti che ancora non hanno detto sì. Una sorta di bastone e carota: “Ti potremmo licenziare, invece ti vogliamo bene e ti offriamo 24 mensilità nette”. Un’offerta scandalosa per un’azienda assai ricca. Un’offerta – lo ripetiamo – che va respinta.
Scelte e atteggiamenti aziendali inaccettabili per la categoria, perché sviliscono il mestiere di giornalista e snaturano il ruolo del sindacato. Occorre una presa di posizione forte della Lombarda e della FNSI che devono mettere in atto modalità di difesa del lavoro e dei lavoratori.
E, colleghi, se avete dei dubbi e domande scrivete a Senza Bavaglio. Se il sindacato non lo fa cercheremo di aiutarvi noi.
Senza Bavaglio
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