Julian Assange, né spia, né eroe, solo un giornalista. Ma con tiepidi difensori

Speciale per Senza Bavaglio
Adele Marini
Roma, 15 aprile 2019

Alla fine lo hanno catturato. Julian Assange, un giornalista, anzi, uno dei padri del giornalismo (ai suoi Leaks o fughe di informazioni hanno attinto quasi tutti i giornalisti politici del mondo libero) è stato portato via di peso dagli agenti di Scotland Yard dal luogo in cui viveva, considerato un rifugio sicuro: l’ambasciata dell’Ecuador a Londra.

Nel suo miniappartamento, nel cuore della rappresentanza diplomatica situata nella City, l’11 aprile scorso sono entrati sette poliziotti di Scotland Yard e lo hanno trascinato fuori, creando, oltretutto, un pericoloso precedente per dissidenti e perseguitati politici di tutto il mondo. Ora tutti sono avvertiti: se siete inseguiti, i luoghi meno sicuri sono gli spazi extraterritoriali delle legazioni, rispettati anche dalle terribili polizie dell’impero sovietico e satelliti. Il GPU, la CEKA, il KGB, la STASI, perfino le SS si astennero dal varcare quei confini e se centinaia di ebrei si sono salvati lo si deve all’ospitalità di diverse ambasciate, compresa quella dello Stato Vaticano nella Roma occupata.

Di quale orrenda colpa si era macchiato Assange, di cui è stato mostrato il volto che è apparso ben diverso da quello del giovane biondo e belloccio di pochi anni fa, perché venisse abbattuto questo sacro principio di inviolabilità?
In Inghilterra nessuna. Solo la violazione del rilascio su cauzione. Gli inglesi lo ricercavano solo per non essersi presentato davanti a un giudice che lo aveva convocato per rispondere alle domande su un presunto, vecchio reato sessuale che avrebbe commesso in Svezia. In pratica, una rogatoria.

Il reato che gli era stato contestato riguardava un comportamento che è penalmente perseguibile solo lassù: due donne, maggiorenni e consenzienti, lo avevano accusato di aver avuto con loro rapporti sessuali senza il preservativo. Dunque, suona ridicolo e pretestuoso il dispiegamento di forze per catturalo dentro l’ambasciata che gli aveva concesso asilo politico nel 2012, sette anni fa, per poi di colpo, senza preavviso, in aperta violazione del diritto internazionale, revocarglielo, trasformando il suo rifugio in una trappola. Tanto più che il reato per il quale era accusato in Svezia è stato archiviato il 9 maggio 2017, senza contare che ci sarebbero prove di subornazione da parte della polizia svedese nei confronti di una delle presunte vittime perché tenesse duro con la denuncia e la caricasse di accuse, mentre l’altra donna l’avrebbe addirittura ritirata.

Ma è inutile girarci attorno: la vera colpa di Assange è di aver violato, nel 1991, come hacker, gli archivi segreti del Dipartimento della difesa statunitense, regalando al mondo oltre 251.000 documenti diplomatici, molti dei quali classificati come confidenziali e segreti. E di aver dato vita a quella maxifonte di notizie imbarazzanti per il governo americano che è WikiLeaks, cui sono chiamati a collaborare con documenti e filmati tutti gli hacker e tutti gli attivisti del mondo.

Documenti, dispacci e filmati dentro ai quali, negli anni delle guerre e della lotta al terrorismo islamico, si sono lette e viste cose agghiaccianti sulle ingerenze degli americani negli affari interni degli altri Stati sovrani, alleati e no. Nemici e no. Soprattutto filmati sulla sistematica violazione dei diritti umani, rilanciati dalle agenzie di tutto il mondo, che provano il compimento di atti disumani dell’esercito statunitense contro le popolazioni in Iraq e in Afghanistan, come il celebre video “Collateral Murders” ripreso in prima persona da Chelsea Manning, ex militare americano ed ex agente di intelligence, diventata attivista antimilitarista, accusata di aver trafugato migliaia di documenti da far accapponare la pelle per consegnarli a WikiLeaks, fra i quali, appunto, “Collateral Murders”, in cui si vede un elicottero americano Apache sparare e uccidere dodici persone, compresi i due giornalisti della Reuters.

Dunque, nonostante le polemiche che si susseguono, la vera colpa di Assange è quella di aver aperto, fondando Wikileaks, una nuova frontiera del giornalismo d’inchiesta: una pista seguita da altri finiti nel mirino dei poteri forti, come l’informatico Edward Snowden. Ora è stato catturato e tutto fa pensare che verrà presto estradato negli Stati Uniti come un pacco dono dell’Ecuador a Teresa May la quale, in difficoltà per la Brexit e chiaramente in cerca di alleanze, lo girerà all’amico Trump, in barba alle norme che regolano la professione del giornalista e diverse “quisquilie” del diritto internazionale.

Una notizia, quella della cattura, che avrebbe dovuto suscitare indignazione e mobilitare intellettuali e giornalisti del mondo libero. Dare vita a raccolte di firme e a tutte le iniziative che sorgono sempre in questi casi. Perché da qualunque parte la si guardi, è un duro colpo inferto alla libertà di informazione e al diritto dei cittadini di essere informati. E invece, poco più di nulla, almeno in Italia.

Julian Assange è subito scomparso dai media. Mentre è stata tiepida la reazione della Federazione Nazionale della Stampa Italiana: poche righe che sarebbe un eufemismo definire caute: “Arresto Assange. La Federazione Internazionale dei Giornalisti apra un’inchiesta. “Ciascuno può avere il giudizio che crede su Julian Assange e sulla vicenda WikiLeaks, ma quello che non è accettabile è che ad Assange venga all’improvviso revocato l’asilo politico e che il giornalista sia stato prelevato dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra e corra ora il rischio di essere estradato e processato negli Stati Uniti, mentre tutti coloro che hanno mentito all’opinione pubblica, falsificato documenti, truccato i dossier internazionali che portarono alla guerra in Iraq e che hanno tentato di imbavagliare la libera informazione non sono mai comparsi né mai compariranno di fronte ad alcun tribunale. La FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) chiederà alla Federazione Internazionale dei Giornalisti di aprire un’inchiesta indipendente che faccia luce su quello che è accaduto, a tutela della libertà di informazione e del diritto dei cittadini ad essere informati”, affermano, in una nota, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

Questo fiacco comunicato non esprime indignazione anche se ha il merito di definire Julian Assange “giornalista”, status che diverse testate e molti commentatori, proni ai desiderata dei signori atlantici della guerra, gli negano, chiamandolo “hacker” se non addirittura “spia”, quando giornalismo significa raccogliere e divulgare le informazioni senza altri scopi che quello di informare, cosa che egli ha fatto.

Assange, australiano di origine, 47 anni, cofondatore di Wikileaks, di cui è caporedattore, aveva ricevuto asilo nel 2012 dall’ambasciata ecuadoregna, concesso dall’allora presidente Rafael Correa e revocato oggi dal successore Lenin Moreno. Doveva sfuggire a un mandato di cattura britannico rimasto in piedi solo per una violazione della “burocrazia giudiziaria” e ora, se verrà estradato negli Stati Uniti, cosa più che probabile, rischia la vita. Perché questo voltafaccia?

Stando a indiscrezioni, pare che Moreno abbia voluto vendicarsi per la pubblicazione recente, tramite WikiLeaks, di documenti su uno scandalo di corruzione e trasferimento d’ingenti somme in paradisi fiscali, nel quale il presidente e suoi familiari risulterebbero pesantemente implicati. Una decisione, questa, che, se fosse confermata, farebbe di lui, un piccolo eroe dell’informazione. Un giornalista con la schiena dritta. Altro che spia!

Adele Marini

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