Indurre paura (ultimamante anche sui media) per trarre potere e guadagni

Qualcuno crea ad arte una paura e poi ne offre l’antidoto. Ad esempio, suscitare il bisogno di sicurezza per poi offrire sicurezza e guadagnarci in potere e in denaro. La vera soluzione: pensare con la propria testa, farsi una cultura ed approfondirla

Speciale per Senza Bavaglio
Giovanna Tatò
9 aprile 2023

Creare paura è da sempre uno strumento che accompagna l’esercizio del potere, un suo fedele alleato e un’affidabile arma per irrobustirlo. Nel grande e nel piccolo, chi usa il potere di cui si è appropriato (o che ha ereditato ad esempio da una tradizione culturale) in modo palese come fino al Medioevo o occulto come nel nostro tempo di ordinamenti democratico-costituzionali (attraverso, ad esempio, misure contro il terrorismo o contro pandemie o contro il cambiamento climatico, ecc.), impersona il potere stesso e sa che servirsi del sentimento naturale della paura è un ottimo modo se non il principale per moltiplicare e irradiare sé stesso laddove sarebbe impossibile arrivare, perché respinto dalla ragione e dai diritti acquisiti, o troppo dispendioso.

La paura del dolore, la paura della morte (costantemente esorcizzata in Occidente) e la paura che incute il potere stesso in sé sono certamente le principali paure che possono catturarci, potenti perché possono annullare volontà, dignità e forza dell’essere umano che di fronte ad esse può sentirsi disarmato e venirne tratto facilmente in balia, totipotenti perché da esse germinano tutte le altre.

A volte, qualcuno crea ad arte una paura e poi ne offre l’antidoto. Ad esempio, suscitare il bisogno di sicurezza per poi offrire sicurezza. È uno schema che si ripete in diverse tradizioni, anche criminali, uno schema in cui la “protezione” è una falsa soluzione dato che il bisogno è stato falsamente indotto: la sua trama è percorsa da un fiume carsico di denaro e/o dal rafforzamento-specchio dell’immagine del potente.

Di fronte a otto miliardi di esseri umani, secondo le ultime stime ufficiali probabilmente approssimate per difetto, il potere, ovunque si annidi con il suo disprezzo, vede grandi opportunità per sé stesso, le prepara e procede per grandi sistemi.

Suscitare paure ed offrire soluzioni ad hoc è un gran bel sistema: ad essere avvantaggiato dalla “protezione” non è l’indebolito bersaglio ma l’autore-programmatore della paura.

Dolore, morte: sono due potenti catalizzatori di terrore. Richiamano la gestione della propria salute ovvero la possibilità e la qualità del vivere, e l’aspetto sanitario del welfare pubblico che dovrebbe essere a disposizione ma lo è sempre meno.  È questo il terreno principale su cui coltivare paure cieche. Chiunque, inerme su un letto di dolore, pagherebbe chissà cosa, se potesse, per venire risparmiato anche solo dalla prospettiva di entrambi.

La fragilità del corpo umano, della psiche umana, spesso delle condizioni di vita, sono le basi più a portata di mano per scatenare paura e panico, per portare a chiudersi in sé stessi, a subire qualsiasi imposizione magari per amore dei propri cari. Il vantaggio? Smorzare qualsiasi volontà ed esercizio di pensiero individuale non conforme al dettato stabilito dalle “regole” e farne uscire rafforzato l’esercizio del potere.

La recentissima pandemia da virus SARS-CoV-2 (agli inizi denominato HCoV-19) ha fornito una piattaforma esemplare di strumentalizzazione della paura: paura della malattia e del dolore, paura dell’altro (a cominciare dai vicini), paura di fare del male a chi si ama, paura di essere inadeguati di fronte al nemico sconosciuto con conseguente affidamento a chi si presenta come adeguato, paura di trasgredire la coercizione in nome di una rivendicazione alla libertà di espressione che si teme venga punita, paura di morire.

Chi trasgrediva veniva tacciato come “untore” perché metteva “in pericolo” gli altri: socialmente, nessuna considerazione sull’opportunità di un comportamento diverso da quello stabilito dal dictat veniva ritenuta efficace. La paura chiudeva occhi e orecchie, toglieva la parola.

Con la paura di un virus “mortale” (che invece era possibile padroneggiare, almeno in larga parte, intervenendo tempestivamente con adeguate linee guida scientifiche, protocolli e procedure volutamente messi sotto silenzio come stanno dimostrando gli studi che ora fanno capolino o con il riascolto delle voci rimaste allora isolate) il potere si è appropriato del grimaldello che ha fatto saltare tutti i limiti che si contrapponevano alla sua forza, cioè i diritti costituzionali e le libertà entrate nella vita di tutti i giorni, costate sangue e tanto altro per ottenerle.

Sotto il nome di “protezione”, di “sicurezza” (una parola magica per tutti) ha inglobato esercizi autoritari di violenze fisiche e psicologiche, ha rovinato andamenti economici di aziende e famiglie. Le misure anti-pandemiche hanno trasformato la pandemia in sindemia: chi viveva modestamente è diventato povero, chi era povero è diventato più povero, chi era ricco, più ricco.

Più il governo (o qualunque potere esercitato per sua delega) aumentava la “protezione”, la “messa in sicurezza”, il “salvataggio” attraverso misure legislative e grancassa mediatica più gli inviolabili diritti costituzionali di movimento e di pensiero venivano cancellati dietro la rassicurazione di un’azione “in nome del bene comune”, più la situazione economica dei molti precipitava incentivando la già diffusa paura del domani.

Negli ultimi tempi, la speculazione e l’inflazione hanno preso il galoppo (per motivi aggiuntisi, tra cui il davvero poco tempestivo rialzo dei tassi della BCE), il risparmio generale è calato, l’indebitamento complessivo aumentato.

Creare debito crea automaticamente catene di sottomissione, impoverisce chi vi ricorre e ne circoscrive giocoforza gli ambiti di azione (un meccanismo che vale non solo per gli individui ma anche per gli Stati come ad esempio il nostro). Costringere all’indebitamento (attraverso PNRR, MES e altro o il ricorso alle banche per i singoli) diventa una forma di controllo, con l’accettazione generale spesso addirittura inconsapevole di tutte le implicazioni insite.

Manovrare gli algoritmi dell’intelligenza artificiale di nuova generazione fa il resto: i comportamenti leggeri o spauriti e il loro rilevamento hanno rimpinguato i database dell’intelligenza artificiale e i bilanci delle industrie.

Lucrare su farmaci che avrebbero combattuto il nemico invisibile, che avrebbero protetto dalla malattia fra balenanti atrocità varie, che avrebbero sottratto alla morte stessa capitata al vicino, è stato facile e impunito. Basta guardare il fatturato delle aziende implicate: triplicato, decuplicato. I responsabili rimangono nell’ombra, l’algoritmo è invisibile. La stampa, non tutta fortunatamente, ha avuto il suo ruolo in questo risultato.

La giustificazione del potere è stata: “è un’emergenza”, un’emergenza sanitaria internazionale proclamata dall’autorità mondiale OMS, dobbiamo buttarci nella mischia e menare fendenti, siamo in grado di affrontare l’emergenza ma dobbiamo abbattere un po’ di regole. Un ricatto basato sulla menzogna: non era vero che la strada scelta per affrontare l’ondata virale fosse davvero quella corretta ma è stato semplice ed è riuscito.

Ed è stato su vasta scala. L’alibi dell’emergenza ha consentito “legalmente” l’uso della costrizione e l’imposizione di obblighi generalizzati caratterizzanti una lesione dei diritti costituzionali. I diritti dell’uomo stabiliti dalla nostra Carta e da altre Carte Internazionali sono stati fatti a pezzi, la “protezione” dello Stato, delle Istituzioni, dell’Autorità, ha fagocitato il midollo osseo di chi si è trovato in mezzo senza poter reagire, pena costi umani altissimi e per la maggior parte inaffrontabili.

L’emergenza è l’altro nome della strumentalizzazione di qualsiasi paura, è lo stato di ricatto in cui il potere può far piombare interi popoli e intere nazioni per affermare sé stesso e i pilastri economici e “legali” su cui si poggia. Lo fu già nel periodo del dilagare del terrorismo politico dei cosiddetti “anni di piombo”.

All’epoca, in nome della protezione individuale e collettiva si adottarono soluzioni di emergenza che dovevano essere temporanee e che, partendo dagli stessi diritti costituzionali, divennero il cavallo di Troia con cui la conculcazione della libertà si attestò ben oltre il periodo di emergenza: lo scardinamento delle regole democratiche lasciò uno strascico di “regole” eccezionali divenute normali per un periodo che eccedeva l’emergenza stessa.

Ma la stessa parola “emergenza” ha cominciato a perdere da anni i suoi contorni di eccezionalità ed è diventata sempre più normalità: emergenza rifiuti, emergenza immigrazione, emergenza pandemia, emergenza economica, emergenza criminalità, emergenza clima. In questo modo, lo Stato abdica alla propria funzione gestionale e di garanzia e consegna tutto all’abbandono, alle scorribande dei vari gruppi d’interesse, all’improvvisazione di un provvedimento tampone che chiude gli occhi sulle cause a monte liberandosi così dall’obbligo di elaborare una strategia di intervento a lungo termine. Ma non è solo una questione di etica o di diritto: in tutto questo, qualcuno guadagna. Più d’uno.

Il problema di avere denaro è strettamente legato al problema di avere potere. È una sorta di loop: disporne in partenza (non importa come) per farne in aggiunta, mettere la nuova acquisizione a disposizione dell’obiettivo di rifarne nuovamente. E così via.

Diffondere paura si rivela un mezzo molto efficace per piegare e silenziare le masse (rappresentate elettoralmente da un Parlamento, da associazioni, da istituti, ecc.) liberando il potere da “intralci” come il rispetto della legalità o come il dissenso ostruttivo e, contemporaneamente, per fare denaro, qua e là magari anche sottobanco. E, come si sa, con il denaro si acquista tutto, anche il potere.

Inutile qui accennare alla corruzione, va da sé.

In più occasioni, però, si fanno sentire voci dissonanti. Vengono attaccate e isolate ma sono il germe della soluzione. La vera soluzione: pensare con la propria testa, farsi una cultura ed approfondirla, non cedere al ricatto e agire di conseguenza. È quanto di più temuto possa esservi per chi comanda.

Giovanna Tatò
giovanna.tato@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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