Sindacato al capolinea: l’immarcescibile classe dirigente ne ha segnato il destino

Speciale per Senza Bavaglio
Massimo A. Alberizzi
Milano, 21 novembre 2022

Che il sindacato dei giornalisti si stia avviando a passi spediti verso il capolinea, è ormai sotto gli occhi di tutti. Non se ne accorgono soltanto coloro che non vogliono vedere perché si sono piazzati due fette di prosciutto davanti agli occhi, ma anche chi non conosce la situazione e chi spera ancora di ricavare qualcosa di personale dal sindacato.

Per risollevarne le sorti serve un moto d’orgoglio, una doccia fredda che risvegli i dirigenti e li metta davanti alla realtà. Ma per questo dovrebbero rinunciare alle loro ambizioni e ai loro propositi. Rinunciare a fare i sindacalisti di professione e riacquistare il piacere di fare i giornalisti. Saranno pronti a un passo che comporta la rinunce a piccole prebende e piccole onorificenze?

Uno dei motivi che hanno provocato la malattia cronica del sindacato risiede nell’immarcescibilità e inamovibilità della classe dirigente. Alcuni sono incollati alla loro poltrona da decenni e non intendono rinunciarci. Altri hanno semplicemente uno strapuntino ma si accontentano di quello e trovano probabilmente soddisfazione a utilizzarlo.

Il tutto è cominciato un paio di decenni fa quando si accettò che i contratti di lavoro, che avevano scadenza biennale si allungassero a quattro anni. Allora fu anche ammesso, quasi senza fiatare dai più, che i congressi nazionali del sindacato assumessero una scadenza quadriennale. Pochissimi, tra cui il sottoscritto obbiettarono che la durata dei mandati era eccessiva e non si poteva pretendere poi che un segretario o un presidente nazionali potessero tornare a lavorare dopo quattro anni (facilmente raddoppiabili in otto) di permesso sindacale.

L’apoteosi di questa nefasta organizzazione si raggiunse con Franco Siddi che passò da due mandati da presidente a due mandati da segretario. Come si poteva pretendere che dopo 16 anni di permesso sindacale (più vari altri precedenti come membro della Giunta esecutiva) lontano dalla sua scrivania alla Nuova Sardegna poi tornasse a lavorare? Infatti, alla fine del secondo mandato, dopo aver firmato due contratti di lavoro nefasti per i giornalisti e il giornalismo, trovò una collocazione degna per un leader sindacale: il consiglio di amministrazione della Rai. Un’apprezzabile carriera, in fondo!

Voi credete che qualcuno obbiettò qualcosa? Nessuno ebbe da ridire; nessuno emise un gemito di protesta e la sua corte si genuflesse in suo onore.

Durante il suo secondo mandato da segretario, ricordo un mirabile e increscioso Consiglio Nazionale della FNSI di cui facevo parte. Siddi prese la parola e con voce suadente e accattivante, con consumata lentezza con il suo marcato accento sardo, arringò la platea, più o meno così: “Io ho un sogno…, un sogno bellissimo e appagante per tutti. Vorrei che ogni giornalista potesse scrivere quello che vuole, quello che sente. Che sia libero da vincoli, laccetti e censure. Che, in piena libertà, risponda solo alla sua coscienza, alla sua cultura e ai suoi sentimenti”.

Immediatamente dopo di lui, indignato per come aveva ridotto la professione, chiesi la parola e velocemente ribattei: “Anch’io Franco ho un sogno”. Feci una lunga pausa; “Vederti lavorare dopo 24 anni di permesso sindacale”. Rispose urlando comprensibilmente stizzito: “Ma io lavoro per voi”.

Ma quello che mi colpì fu l’atteggiamento degli spettatori, i consiglieri nazionali, che non capirono che quello era il primo passo verso la catastrofe. Cortigiani che plaudirono al capo senza critiche,

Siddi, per altro, con il secondo contratto da lui firmato nel 2014 (il primo lo firmò nel 2009) mise una pietra tombale al nostro lavoro. A nulla valsero le proteste di chi lo supplicava di non firmare un accordo capestro che avrebbe svuotato le redazioni, tagliato fino alla fame gli stipendi dei nuovi assunti e ridotto in schiavitù freelance e precari lasciati in balia degli editori.

P.S. Immagino già l’indignata levata di scudi dei miei critici: “Ma anche tu sei consigliere nazionale da una vita”! Certo ma non ho mai avuto né voluto un ruolo esecutivo e, soprattutto, ho sempre lavorato come giornalista e voluto sempre lavorare.

Massimo A. Alberizzi
Candidato nelle liste Senza Bavaglio alle elezioni della ALG e della FNSI

massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @sbavaglio
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore Africa ExPress. Ex Corriere della Sera, corrispondente di guerra, sequestrato in Somalia e artefice della liberazione in Nigeria di due tecnici Eni. È stato consulente Onu sul traffico d’armi. Ha lavorato per Reuters. Libro Bandits. Fondatore Senza Bavaglio, membro di opposizione della Giunta FNSI. Per i suoi articoli ha una condanna a morte in Eritrea.

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