Assange, atto finale di un’infinita persecuzione

Negli USA il redattore capo di WikiLeaks dovrebbe fronteggiare una sorta di ergastolo: basandosi su una legge contro lo spionaggio – risalente alla I guerra mondiale – l’accusa chiede una condanna di 175 anni di carcere.

Speciale Per Senza Bavaglio
Costanza Troini
Roma, 17 marzo 2022

Giornalista e cofondatore di WikiLeaks nel 2006, Julian Assange si è ora visto confermare dalla Suprema Corte del Regno Unito (the Supreme Court, tribunale per l’ultimo appello dei casi civili e penali) la sentenza favorevole all’estradizione negli Stati Uniti, contro la quale si era appellato nel gennaio scorso. Gli avvocati della difesa erano in un primo momento riusciti a fare ricorso, riattivando la speranza di fermare una vicenda complicata e infinita che ha tutto il sapore della persecuzione ad personam.

Carcere duro

Entra davvero nella sua fase finale la procedura legale nel Regno Unito, dove il giornalista australiano ha trascorso sette anni rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, e tre nella prigione di Belmarsh. La quale è chiamata la Guantanamo inglese: edificato nel 1991 a sud-est di Londra, il penitenziario si guadagnò questo sinistro appellativo dopo l’11 settembre 2001, quando la struttura fu utilizzata per recludere sospetti stranieri imprigionati senza accuse formali. Assange è qui detenuto, nell’unità di massima sicurezza, alla stregua di terroristi e stupratori seriali, dall’aprile del 2019.

Un’accusa da 175 anni di detenzione

Proprio nel 2019 si mette in moto il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti che a maggio di quell’anno aggiunge diciassette capi d’accusa a quello già spiccato per pirateria informatica, in virtù delle leggi antispionaggio. Immediatamente dopo si fa sentire però l’Onu, per voce del relatore speciale sulla tortura, Nils Melzer: dopo una visita al giornalista in carcere, l’inviato afferma che le sue condizioni manifestano “tutti i sintomi della tortura psicologica” e che “la sua vita è in pericolo”. Un’impressione confermata nell’ottobre dello stesso anno, quando Assange si presenta in tribunale in stato confusionale.

Intanto la magistratura svedese ritira l’accusa di violenza sessuale per mancanza di prove.

Per contro all’inizio del 2020, la giustizia britannica inizia a esaminare la richiesta presentata dagli Stati Uniti. Mentre la pandemia rallenta le procedure legali, le Ong di tutto il mondo si schierano dalla parte di Assange, chiedendone l’immediata liberazione. In USA però diciotto capi di accusa per spionaggio e pirateria informatica possono farlo condannare fino a 175 anni di carcere.

“Fuga” di notizie cruciali

Ricordiamo in questa sede brevemente che cosa è WikiLeaks (https://wikileaks.org/), sito del quale Assange è tra i promotori dal 2006, e del quale si definisce redattore capo. “WikiLeaks nel corso degli anni pubblica documenti da fonti anonime e informazioni segrete; tra questi notizie riservate sui bombardamenti nello Yemen, sulla corruzione nel mondo arabo, sulle esecuzioni extragiudiziarie da parte della polizia keniota, sulla rivolta tibetana in Cina (2008), sullo scandalo petrolifero in Perù e le e-mail del governo turco dopo le purghe del governo Erdoğan nel 2016.

WikiLeaks giunse all’attenzione internazionale nel 2010 quando fece trapelare una serie di notizie fornite da Chelsea Manning. Queste notizie comprendevano il video Collateral Murder (Uccisione Collaterale) (aprile 2010), diari della guerra in Afghanistan (luglio 2010), i diari della guerra in Iraq (ottobre 2010), e CableGate (novembre 2010). Dopo le fughe di notizie del 2010, il governo degli Stati Uniti avviò un’indagine su WikiLeaks.

Il 28 novembre 2010 WikiLeaks rende di pubblico dominio oltre 251.000 documenti diplomatici statunitensi, molti dei quali etichettati come confidenziali o segreti.” (Da Wikipedia)

Il futuro di Assange

Purtroppo la decisione della Corte Suprema inglese non lascia molto spazio alla speranza di una soluzione rapida e indolore dei guai di Julian Assange. Rimane quasi una formalità: si aspetta che la giudice Vanessa Baraitser (che inizialmente aveva rigettato la richiesta di estradizione per motivi di salute) mandi il dossier al ministro dell’Interno, Priti Patel, donna con particolare fama di durezza.

L’imputato, sfinito e provato fisicamente come psicologicamente, è sostenuto da associazioni internazionali come Amnesty International e Reporters Sans Frontiers, che da anni ne denunciano la persecuzione – ovviamente verso il personaggio scomodo; anche  gli psichiatri interpellati hanno constatato il rischio di suicidio, soprattutto se, come sembra, Assange dovesse affrontare il durissimo processo penale che lo aspetta oltreoceano.

A questo punto si proverà forse a presente il caso alla Corte internazionale dei diritti umani. Rimane importantissimo l’impegno dei mezzi d’informazione affinché la storia di Julian non sparisca nell’ombra, e il giornalista australiano non venga sepolto vivo per aver reso noti fatti mantenuti accuratamente nascosti.

Costanza Troini
ctroini@gmail.com
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