Fallito l’assalto dell’INPGI con querele temerarie contro due giornalisti

Speciale Per Senza Bavaglio
Marinella Rossi
Milano, 8 ottobre 2021

Chissà se all’Inpgi, intesa non come entità astratta, ma come sua gerenza, fatta di dirigenti e studio legale annesso, sanno cos’è il diritto di cronaca. Pare di no, pare ci sia voluto un tribunale (civile) a rammentarglielo.

Eppure sono giornalisti, diamine, gli uomini e le donne dell’Inpgi, e certo sapevano quel che facevano quando, con imbarazzante e feroce pervicacia agirono legalmente contro due colleghi di un blog (giustiziami.it e nelle persone di Frank Cimini e Manuela d’Alessandro) per una pretesa diffamazione fatta passare (guarda caso, proprio come fanno i ricconi) per le maglie del tribunale civile, con una richiesta di risarcimento per presunti danni all’immagine dell’istituto. Settantacinquemila euro il quantum, e l’offesa si sanava: 75mila euro chiesti dall’Istituto di previdenza dei giornalisti a due giornalisti di un blog.

Ecco, appunto, l’offesa: da ricordare brevemente per dovere di cronaca. Nel marzo 2015 il blog che si occupa di giustizia nel palazzaccio milanese dà conto del processo a carico dell’allora presidente dell’istituto Andrea Camporese per truffa ai danni dell’istituto (Camporese verrà assolto, l’Inpgi, fiduciosa del suo comportamento, non si era al momento costituita parte civile). I due giornalisti scrivono del fatto, con la sintesi di un blog, e si pongono la questione su perché, allo stato degli atti, la cassa di previdenza non avesse ritenuto opportuna la sua costituzione come parte lesa dell’ipotizzato reato.

I due giornalisti facevano cronaca, mettevano il lettore di fronte alla libertà del dubbio e delle interpretazioni. Ma l’Inpgi non apprezza: aspetta la piega dei processi e nel 2018 li querela – e chiede i dané.

Ieri, dopo tre anni, é stato un buon giorno per Cimini e D’Alessandro, e per il giornalismo, direi; il tribunale civile di Roma li ha assolti e ha condannato l’Inpgi al pagamento delle spese di processo. E qui finirebbe (bene) la storia, se non ci fossero, sotto, tante altre sottostorie, tutte rimarchevoli di vera attenzione.

A parte la solidarietà di colleghi e amici, allora che fa il sindacato dei giornalisti? Come vive la contraddizione di un istituto di categoria dei giornalisti che querela due giornalisti per avere fatto i giornalisti? La ignora. La butta sotto il tappeto.
Si arriva infatti al XVIII Congresso Fnsi, Levico, 12-14 febbraio 2019, quello de “L’informazione non é un algoritmo”, quello che parlare di fake news fa glamour.

Un manipolo ristretto di delegati, di cui impropriamente facevo parte, la cosiddetta “minoranza”, cerca di porre alcune questioni articolate al vasto consesso, per scontrarsi con la più corriva delle realtà: qualsiasi mozione si presenti, se da parte della minoranza, parte un passaparola da Trieste in giù con l’alzata di mano contro. In genere non sanno nemmeno cosa votano, ma il capoclaque dà l’input e la negazione é, quasi, plebiscitaria.

Ma non nel caso di una mozione specifica, che insieme al mio gruppo, composto da me, Fabio Cavalera, Eugenio Gallavotti, Costantino Muscau, Massimo Alberizzi e i suoi senza paura di Senza Bavaglio, nonché da Unità Sindacale, presentai, e che riguardava lo strano caso della querela dell’Inpgi verso due colleghi nell’esercizio delle loro funzioni. In quel caso non ci fu un passaparola annoiato e automatico, ci fu molta attenzione, soprattutto nel tavolo della presidenza.

La mozione chiedeva di essere votata per fare sì che l’Fnsi si facesse parte attiva presso l’Inpgi (parliamo di entità sorelle se non più affini) per ritirare una querela, se non temeraria, dissonante, stonata, utile solo a porre inquietanti quesiti sull’istituto di previdenza dei giornalisti e la sua idea di giornalismo.

La mozione non fu subito recepita dal tavolo: si chiesero limature (censure le chiameremmo noi) e modifiche sostanziali dei toni. Era un po’ come se il tuo datore di lavoro finisce sotto inchiesta e tu, giornalista, ne puoi scrivere, forse, poche righe, ma anche no.

Riveduta e corretta la mozione fu letta da me in un silenzio raggelato: il tavolo presidenziale mi guardava con una sorta di ribrezzo stupefatto. Poi partirono parecchi fischi, soprattutto dall’ala destra del palazzetto, la claque napoletana più affezionata alla maggioranza, lasciandomi a sciogliere il rovello sul se fossi a un congresso di firme o nella curva B del San Paolo.

Poi però il tono si elevò, perché come relatore contro una mozione che chiedeva di chiudere una vertenza obbrobriosa e imbarazzante, prese la parola il delegato Guido Besana, uomo di maggioranza in re ipsa, che, con tono curiale, espresse nonsense tendenzialmente filosofici, se uno intendesse la filosofia come quella cosa che, con la quale o senza la quale, tu rimani tale e quale.

Risultato: apoteosi di voti contro. Contro due colleghi che avevano fatto i giornalisti. Voti contro che venivano da giornalisti sul campo, duri e puri, magari presunti combattenti il giornalismo anticamorra, gente da sotto copertura, non fosse che ogni tanto sotto la copertura c’é una bolla o una balla.

Ma non é finita. Qualche tempo dopo, con maggior successo, riproprosi la questione (con il mio gruppo) nel corso dell’assemblea dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, ottenendo la rassicurazione da parte dell’imbarazzato presidente Paolo Perucchini (l’imbarazzo in questa storia è una costante quando non peggio) di farsi parte attiva nei confronti dei vertici dell’Istituto per ritirare la querela paradosso.

Perucchini assunse l’impegno coram populo, ma, o le sue parole sono suonate flebili alle orecchie giuste o, forse, non trovò la strada per le orecchie giuste.

Fatto sta che si, la querela paradosso si é chiusa: non per il buon senso dell’attore della causa, non per il senso di giustizia del sindacato tutto (nazionale e non), più sparring partner dell’attore che suo pari. Si é chiusa non grazie ai giornalisti, ma grazie ai giudici. E chi potrà dire che sarà un bene. Perciò, si, capisco quando D’Alessandro ringrazia con nomi e cognomi in diversi e dedica un grazie, anche, a “una parte molto minoritaria del sindacato” (sono per indole minoranza). Quella parte minoritaria, vorrrei però ricordare, ogni giorno ha, nel suo e in molti altri casi, ben chiaro un fatto: non basta sembrarlo, giornalisti bisogna esserlo. Ricordiamolo a Inpgi e Fnsi (finché sono maggioranza).

Marinella Rossi
marinella.rossi1956@gmail.com

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