Speciale Per Senza Bavaglio
Cristiana Cimmino
3 agosto 2021
La campana stavolta è suonata per il più grande giornale del Sud. Ma, come ammoniva il grande Hemingway, amici e colleghi giornalisti, non chiedetevi per chi suona la campana. Perché è una campana a morto per tutta l’informazione italiana.
Ieri, dopo 134 anni, la “Gazzetta del Mezzogiorno” ha cessato le pubblicazioni, vittima di una gestione ambigua ma anche di un sindacato a dir poco distratto. La Federazione Nazionale della Stampa, sindacato unico e non unitario, dei giornalisti italiani, esprime sorpresa, sconcerto, stupore e scarica sugli imprenditori brutti sporchi e cattivi la responsabilità di questo decesso.
Sono passati più di 10 anni, da quando, giornalista della Gazzetta, partecipai agli Stati Generali dell’Informazione, e misi in guardia il sindacato, esortandolo a “tenere gli occhi sui giornali del Sud, perché su di essi maggiormente si esercita la pressione della malavita organizzata”.
Allora i nomi al vertice della Fnsi erano altri ma stessa era ed è la corrente sindacale di maggioranza che da decenni gestisce e domina il sindacato dei giornalisti.
Cui prodest? A chi giova, un’informazione sempre più svilita al Sud, a chi giova la morte del più importante giornale del Mezzogiorno. Purtroppo la risposta non è difficile: alle tante mafie che scorrazzano nelle regioni meridionali. E’ vero che il grande business criminale si fa al Nord. Ma è al Sud che la malavita organizzata detta legge.
La Puglia e la Basilicata perdono un’informazione storicamente e orgogliosamente localizzata e divengono colonie di giornali che al Sud non hanno radici. Meglio eliminare una grande memoria scomoda. Meglio lasciare La Gazzetta del Mezzogiorno nelle grinfie di piccoli imprenditori senza troppi scrupoli.
Muore un giornale ed è solo l’inizio di un’emorragia che porterà via la stampa così come la conosciamo. L’informazione perde un primo pezzo, preparandosi ad altri lutti. Ha ragione Carlo Verna, presidente dell’Ordine dei giornalisti, a parlare di “un pugno nello stomaco per chi ha a cuore le funzioni della stampa”.
E la politica che fa? Cosa fa il sindacato dei giornalisti? La prima brilla per assenza. E dire che i politici del Sud sono tanti. Peccato si voltino dall’altra parte. Silenzio e indifferenza sono la cifra che contraddistingue anche le Istituzioni in terra di Puglia.
La Federazione Nazionale della Stampa, invece, sta a guardare e si dice “sorpresa” per le cessate pubblicazioni della Gazzetta. Sorpresa? Da cosa? Da un evento che ha le sue radici nella cessione del giornale alla Edi Sud di Mario Ciancio Sanfilippo, già editore della Sicilia, avvenuto oltre 15 anni fa? Il suddetto editore è protgonista di alcune inchieste giudiziarie come raccontato da parecchi giornali.
La Gazzetta poi era rientrata in un sequestro milionario e da allora aveva imboccato un percorso inarrestabile che l’ha porteta a cessare le pubblicazioni il 1 agosto del 2021.
A me sorprende che il sindacato dei giornalisti sia sorpreso. Chissà dov’era mentre la Gazzetta diventava la pedina di un gioco al massacro che ne determinerà la morte prematura. Eppure Raffaele Lorusso, leader della Federazione è un pugliese di Bari, che ha fatto carriera nella Gazzetta prima di passare a Repubblica.
Il gruppo dirigente cui appartiene si chiamava Autonomia e solidarietà. Poi ha cambiato nome, trasformandosi in Controcorrente, ma restando all’insegna delle simpatie pseudo-politiche e del più smaccato interesse personale.
Quella che fu la gloriosa Federazione Nazionale della Stampa Italiana, si è trasformata in un gruppo di persone che intende il sindacato dei giornalisti come un trampolino di lancio. E più in alto lanciano i pochi adepti, più si dimenticano che dovrebbero tutelare tutti i colleghi. Invece li lasciano sfruttare, assecondando persino la messa in discussione di diritti inalienabil dei lavoratori, come il trattamento di fine rapporto, il TFR.
Vi spiegherò ora, come mi trovai a dover accettare un Tfr rateizzato in ben dieci rate, insieme a tutti gli altri colleghi, una ventina, che vennero prepensionati insieme a me nel giugno del 2018. Varia solo il numero delle rate, alcuni addirittura ne accettarono quindici.
Nell’agosto 2018, data della prima rata del Tfr, all’estate del 2019, ricevetti, non esattamente con regolarità (il versamento doveva essere mensile), i bocconcini smozzicati della mia cosiddetta liquidazione, decurtata con un’aliquota pazzesca (oltre il 30 per cento). Eppure non ce n’era traccia in quel verbale che firmai, nel giugno 2018, a sugello della mia dipartita professionale dalla Gazzetta del Mezzogiorno e dalla Edisud. In effetti su quel documento non c’era un solo numero. A parte il numero delle rate del TFR.
Eppure, quel verbale è stato firmato nella sede centrale del giornale, a Bari, alla presenza, del segretario dell’Assostampa Puglia, già membro del comitato di redazione della Gazzetta. Un collega con cui ho lavorato per anni, una di fronte all’altro. Con cui ho scambiato preoccupazioni e risate. Ma non è un fatto personale, uno strano atteggiamento nei miei confronti.
Era accaduto lo stesso con gli altri “sfigati” che, insieme a me, andarono ad ingrossare la moltitudine silenziosa dei giornalisti italiani rottamati.
Il nostro karma, particolarmente iellato, consisteva nell’essere prepensionati al tempo del processo che condannò il nostro editore per mafia. Il sequestro e il commissariamento del giornale che seguirono fecero sì che l’Edisud , nel settembre del 2019, smise di pagare le nostre liquidazioni. A me sono state pagate sette rate, agli altri qualcuna di più o di meno. Finora l’intera liquidazione è rimasta una chimera. E pensare che il Tfr è un dritto inalienabile del lavoratore.
Vi ho raccontato questa storia perché è emblematica di come agisce il sindacato dei giornalisti. Il collega che ha avallato la rateizzazione della liquidazione è l’attuale segretario di Assostampa Puglia e delfino del leader della FNSI. Sono quelli stessi che oggi si sorprendono di fronte alla fine del più importante giornale del Sud. Come se questa fine non venisse da molto lontano.
Sono coloro che difendono un INPGI indebitato e sfacciatamente mal amministrato. Semplicemente perché la Federazione è nutrita dall’INPGI. Anomalia tutta italiana, un sindacato dei giornalisti che vive sulle spalle dell’Istituto Previdenziale dei suoi iscritti. Ma ha ancora un senso tutto questo? E’ giusto mettere a repentaglio le nostre pensioni, soprattutto quelle dei colleghi più giovani, per nutrire e difendere una Federazione che non rappresenta più da tempo gli interessi della categoria?
Il mio parere di giornalista di lungo corso, dopo 35 anni di professione, è No. Non può essere giusto mantenere una dirigenza sindacale che ormai non difende, o non è in grado di difendere, più né i diritti di tutti i giornalisti né la libera informazione. Un gruppo che ha cambiato nome forse per la vergogna di definirsi autonomo e solidale, cercando di far dimenticare cosa avrebbe dovuto essere e cosa è diventato.
Cristiana Cimmino
cimminocristiana@gmail.com
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