La privacy non può essere usata contro la democrazia

Speciale per Senza Bavaglio
Raffaello Morelli
Livorno, maggio 2021

Negli anni è andata sempre più distorcendosi l’applicazione del principio di rispetto della libertà privata di ogni cittadino. Oggi si sta sfiorando l’assurdo nei campi più vari. Non è un caso. Il rispetto della libertà privata è un tipico principio liberale, che però viene gestito, sia quando si sono redatte le norme quadro sia quando si attuano, da persone assai lontane dalla cultura liberale se non addirittura antiliberali. E che perciò le interpretano in una maniera dannosa (sotto più versi) per la libertà individuale e per il corretto rapporto tra il singolo cittadino e le Istituzioni. Basta esaminare alcune tipologie concrete.

Cominciamo da un caso in cui si usa una distorta idea di privacy  per esercitare il potere. I  gruppi dirigenti di certe associazioni  si rifiutano di rendere noti ad ogni loro socio i nominativi ed  il recapito degli altri soci perché sarebbero dati protetti dalla rispettiva privacy.

Solo che quando fa parte di un gruppo di conviventi (a qualsiasi livello, dalla cittadinanza ad una associazione) il cittadino individuo non è configurabile come un mondo  completamente isolato, perché la sua libertà è definita e protetta dalla legge. Dunque il suo vivere e i suoi dati di relazione ordinaria (tipo cognome, nome, sesso, età, residenza) sono costituzionalmente pubblici, cioè conoscibili da ogni individuo cittadino.

Nel caso di un’associazione, ogni socio ha diritto di sapere chi sono gli altri soci (specie in periodi di elezioni interne)  ed è un comportamento contrario alla libertà costituzionale di associazione (oltre che senza senso) usare la privacy come scusa per nascondere i dati inerenti le nomali relazioni di vita. In realtà, nascondere quei dati è un trucco per privare ogni socio richiedente di notizie a lui dovute e ciò al fine di impedire la libera discussone e il libero confronto tra gli iscritti (così favorendo il potere del gruppo dirigente).

Prendiamo poi un caso in cui la privacy viene evocata a sproposito. Quello del velo integrale in uso tra le donne musulmane. Dal punto di vista della libertà delle donne e dei cittadini in genere, i veli si dividono in due grandi categorie: la categoria di quelli che non consentono di vedere la faccia (Burqa) oppure fanno vedere solo gli occhi attraverso un pertugio (Niqab), e la categoria di quelli che coprono più o meno il corpo ma che non coprono il volto (Chador e Hjiab).

La prima categoria viola un principio base della convivenza libera, la riconoscibilità di ciascuno nei luoghi pubblici. Quindi la prima categoria non è ammissibile in pubblico e non è accettabile pretendere che sia ammessa adducendo la libertà di religione privata della donna: in uno stato liberaldemocratico la libertà di religione è sacra ma solo nell’ambito di una convivenza rispettosa delle leggi, non quando vorrebbe imporsi sulle leggi (rendendo irriconoscibile  un cittadino).

Invece la seconda categoria di velo rientra nella libertà privata di vestirsi come si crede e non deve essere considerata un abbigliamento scandaloso per il comune sentire. Da sottolineare che quanti vorrebbero permettere in pubblico il primo tipo di velo islamico, affermano di voler favorire lo spirito privato individuale, ma in realtà sono contro a questo spirito. Sono pericolosi fautori di una concezione del convivere fondata sui gruppi e sulle comunità che soffoca la libertà delle relazioni individuali tra tutti i cittadini fuori e dentro quel gruppo o  comunità. Perciò, evocare la privacy a sproposito cela il desiderio di affossarla.

C’è inoltre il caso in cui il diritto ad uno spazio privato si maneggia in modo da far crescere le zone di influenza dei controlli burocratici  e da  imbrigliare le libere relazioni aperte. L’esempio viene dalle dicerie sull’invio di mail di gruppo. Si dice che l’invio di mail a più persone deve essere preventivamente autorizzato da ciascuna delle persone destinatarie.

Qui si fa una indebita confusione tra il diritto di informazione politico culturale e il diritto  di propaganda commerciale.  Non è necessaria alcuna autorizzazione preventiva per informare  a proposito di iniziative e tesi politico culturali. La ragione è che la libertà di esprimersi e di comunicare questa espressione, è stabilita dalla Costituzione (al più si può discutere sull’opportunità di inviare nuove mail informative ad una persona che in precedenza ha già detto al mittente di non essere interessata a riceverne).

Viceversa è concepibile chiedere un’autorizzazione preventiva per inviare mail commerciali a più persone, siccome la propaganda commerciale non è un diritto costituzionalmente protetto fuori dell’ambito pubblico (e previa autorizzazione).

Ci sono poi i casi in cui si nega il diritto al privato, dissimulandolo dietro l’annunciare in pompa magna che negarlo garantisce la trasparenza pubblica. Succede quando si vuole che una persona eletta nelle istituzioni sia obbligata a dichiarare le associazioni cui è iscritta e in particolare l’iscrizione alla massoneria. Sarebbe come imporre di dichiarare le proprie preferenze sessuali  o le tipologie dei propri rapporti intimi. Una cosa esclusa dal principio di diritto all’avere una vita privata, che è parte della diversità individuale.

Si dice che è giusto far conoscere ai cittadini elettori  ogni specifica caratteristica di una persona impegnata in cariche pubbliche. Non è così. E’ un grave errore dimenticare che, come afferma l’art.3 della Costituzione, “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Dunque non si può chiedere ad un eletto o a chi aspira ad esserlo, di fare dichiarazioni inerenti aspetti di vita privati di per sé estranei alla propria attività politica. Se si pensa necessario che l’elettore venga rassicurato in generale circa le attività di chi si candida od è stato eletto a cariche rappresentative, si può al massimo esigere da lui una esplicita dichiarazione che tra le attività private da lui svolte non ce ne è alcuna  rientrante nella fattispecie di società segrete dì ogni tipo.

Perché una società segreta è cosa del tutto differente dalla fisiologica riservatezza della vita privata (tra cui l’iscrizione alla massoneria). In ogni caso è lui a valutarlo, non i terzi elettori. Se in seguito un processo provasse  che la dichiarazione  sulla società segreta è mendace,  saranno   ovvie le conseguenze penali (quando ci sono) e di giudizio degli elettori.

Infine va osservato che l’intero settore del diritto al privato è affidato al Garante della Privacy, il quale controlla l’applicazione delle norme del ramo da parte delle varie branche istituzionali. Il Garante è abbastanza presente (anche nell’esigere la richiesta del previsto parere obbligatorio), seppure tenda a darne un’interpretazione di tipo formale.

Cioè il rispetto del diritto al privato in termini giuridici piuttosto che di comportamento culturale (che è assai più penetrante). Comportamenti adeguati sono indispensabili specie in epoca di pandemia, quando vi è stretta connessione tra il privato di tutti i vari conviventi e il privato singolo ( ad esempio l’eccesso di rilievi sull’app di Stato Immuni ha finito per contribuire all’insuccesso presso i cittadini). E quanto al processo di approvazione del certificato verde di movimento nella UE da parte del parlamento europeo, ci auguriamo non si determinino cortocircuiti  burocratici tra la funzione politica decisionale e le strutture di garanzia .

Tutti gli esempi ora fatti su concezioni ed uso distorti che più o meno non rispettano la libertà privata individuale, segnalano la diffusa propensione nella società italiana a rifiutare l’importanza delle relazioni tra i singoli cittadini nel far evolvere la convivenza. In Italia, purtroppo, è via via dilagata la moda del pensare che i problemi della vita si affrontano tanto meglio quanto più si riesce  a diffondere il bene comune che qualcuno stabilisce quale sia e che i cittadini devono applicare come soldatini ubbidienti.

E’ un puro mito. La realtà sperimentata delle cose che avvengono nel mondo, dimostra l’esatto  contrario. I problemi si affrontano al meglio affidandosi alla libertà dei cittadini diversi che si esprimono nel rispetto della legge da loro scelta secondo le procedure rappresentative. Per questo, è essenziale avere un’idea chiara e coerente  dell’importanza del principio di rispetto del diritto al privato di ciascun cittadino.

Tale rispetto, in particolare, deve averlo il giornalista professionista. Spesso è alle prese con personaggi di ogni campo, che fanno di tutto al fine di essere citati e di apparire. Ebbene, anche in questi casi è opportuno che il giornalista non cada nella trappola del pensare che quel personaggio se la è cercata. Il giornalista, che per professione è tenuto a far conoscere le notizie, nel fornirle  deve essere il più geloso custode del confine tra l’aspetto pubblico e l’aspetto privato di quello che fa una persona. Ciascuno, da chi fa politica a chi lavora nello spettacolo, maschi e femmine, in qualsiasi attività svolta, ha il diritto di conservare la dimensione privata, che costituisce la misura  reale di quanto sia effettivamente matura una convivenza. Far mancare il privato è  l’avvio dell’avventura totalitaria comunque mascherata.

Raffaello Morelli
raffaellomorelli@me.com
Vuoi contattare Senza Bavaglio? Manda un messaggio whatsapp con il tuo nome e la tua regione
al numero 345 211 73 43 e ti richiameremo

Condividi questo articolo