L’ultima frontiera ai danni dell’INPGI: esodi incentivati travestiti da licenziamenti

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Bergamo, 11 novembre 2020

Il particolare momento, i continui rinnovi della cassa integrazione e i blocchi dei licenziamenti hanno generato in qualcuno la sensazione che sotto il punto dell’occupazione le cose per i giornalisti non vadano poi così male. Tra un rinvio e l’altro, si potrebbe pensare, non sarà difficile raggiungere il 2021. In realtà la situazione è differente, perché prestiti e ristori non hanno assolutamente cancellato il piano di dismissioni e di ulteriore ridimensionamento dei costi da parte degli editori.

La sensazione di pace non è l’effetto delle bandiere con arcobaleni e “andrà tutto bene” delle prime quarantene, perché nessuno è diventato più buono. Al massimo più cinico e furbo. Per avere una conferma è sufficiente fare un appello in tutte le redazioni, per scoprire che si sono liberate delle caselle, naturalmente non destinate a essere rimpiazzate.

Se si escludono gli episodi più clamorosi, come il fresco licenziamento della collega di Metro, o l’allontanamento di Massimo Caputi dal Messaggero, la percezione è che tutto sia filato liscio, senza contrasti. Nessun altro CdR ha gridato allo scandalo e non ci sono notizie di nuove cause che si vanno ad aggiungere a quelle già avviate nei vari gradi di giudizio. Eppure i motivi di preoccupazione non mancano, soprattutto se si considera che molte delle uscite sono il frutto di un trucchetto (giusto per usare un eufemismo, visto che il termine da usare dovrebbe essere più pesante) messo a punto dagli editori nel silenzio assordante di FNSI e INPGI.

In sintesi la manovra è questa: io editore decido di alleggerire i costi delle redazioni e stanzio una quota, non troppo sostanziosa, per un pacchetto di esodi incentivati destinato a rendere meno pesante la mannaia quando termineranno i divieti di licenziamento. Proprio perché le cifre in ballo sono poco allettanti, i giornalisti disposti ad accettare l’invito sono pochi, troppo pochi, ed ecco che entrano in gioco la nostra federazione e il nostro istituto di previdenza.

A differenza di chi riceve dalla direzione del personale una lettera di licenziamento, chi accetta un qualsiasi incentivo non può avere diritto al sussidio di disoccupazione. Ma come tutte le regole, anche questa può essere aggirata, è sufficiente un piccolo gioco di magia. Ecco che spunta un documento ufficiale dell’azienda che comunica al lavoratore una qualsiasi motivazione di risoluzione del contatto, e a fianco a questa appare una lettera da firmare, contenente l’impegno a non presentare ricorso. Superata questa formalità, sul conto corrente del collega è trasferita la cifra concordata e contestualmente si apre la possibilità di presentare all’INPGI la richiesta di sussidio che sarà erogato per tutto il periodo maturato unitamente ai contributi figurativi e alla copertura Casagit profilo 1.

L’aspetto più preoccupante di questa nuova formula è la sponsorizzazione da parte del sindacato che si presta ad avallare una pratica esplicitamente contro ogni norma, senza dimenticare la tacita accettazione di un pericoloso precedente da parte dell’INPGI. Purtroppo pare che la cosa non preoccupi nessuno, a partire dai colleghi che in questo modo ottengono il massimo possibile in termini economici in questo momento. Ancora una volta, però, a festeggiare sono gli editori, che raggiungono importanti obiettivi con il minimo impegno; scaricando ancora una volta i problemi su un ente che si è accollato i capricci delle direzioni del personale, con la certezza di non doversi impegnare in fastidiose cause in Tribunale.

Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com
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