La legge 416 ha davvero causato sconquassi all’INPGI?

SOS INPGI
Pierluigi Franz

Milano, 10 febbraio 2020

Da più parti si addossa ora quasi per intero la colpa del “rosso” dei conti dell’INPGI 1 alla legge sull’editoria n. 416 del 1981. Ma se ciò è avvenuto la FNSI non può essere esente da colpe per la grave situazione che si è venuta a creare, avendo tollerato per decenni senza chiedere adeguati indennizzi e contromisure ai vari governi della Repubblica e mandando a fondo l’ente di previdenza dei giornalisti proprio per queste scelte sbagliate di politica sindacale. Dal 2011 al 31 dicembre 2019 lo sbilancio tra entrate e uscite per pensioni ha raggiunto il miliardo di euro e per il 2020 si prevede un’ulteriore chiusura in rosso di circa 200 milioni di euro, pari alla differenza tra i circa 380 milioni di euro di contributi che dovrebbero essere incassati e i circa 580 milioni di prestazioni che dovranno essere erogate. La riserva tecnica INPGI 1 che è oggi di 2,5 annualità contro le 5 di legge scenderà a fine anno a 2,2 anni. Occorre che la categoria si svegli finalmente e affronti il toro per le corna.
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Il futuro dell’INPGI 1 si gioca tutto su questa differenza che corrisponde oggi ad un “buco” di cassa di oltre mezzo milione di euro al giorno. Di fronte a queste astronomiche cifre occorre al più presto dire basta ad emendamenti o sub emendamenti. E’ necessaria e non più procrastinabile una legge di sistema dell’intero pianeta informazione che metta in sicurezza l’INPGI 1 salvandolo dal default e mettendo obbligatoriamente sotto il suo ombrello previdenziale tutti coloro che in qualsiasi forma vivono (in base alla denuncia dei redditi) facendo informazione a tutti i livelli e con tutti i mezzi tecnologici più avanzati. Solo così potrà essere garantito il puntuale pagamento delle pensioni in essere e di quelle future dando tranquillità a 10 mila giornalisti pensionati o loro parenti e a 200 dipendenti dell’ente. Innanzitutto, però, va immediatamente riformata la legge 416 sull’editoria che tra poco compirà 40 anni e che é stata abilmente sfruttata dagli editori come un bancomat nei confronti dell’INPGI con lo Stato rimasto a guardare.
Rivendico di essere stato circa 26 anni il primo a lanciare il grido d’allarme al Governo e alle forze politiche quando ricoprivo la carica di Presidente dell’Associazione Stampa Romana e di componente del Comitato Esecutivo dell’INPGI, pur essendo quella ancora un’epoca di “vacche grasse” all’INPGI 1.
Il 21 giugno 1994 (cioè pochi giorni prima del decreto legislativo n. 509 del 30 giugno 1994 del Governo Berlusconi che privatizzò l’INPGI) – come documentato sul mensile “Stampa Romana” dei mesi di giugno e luglio 1994 n. 6-7 anno XXX – si svolse nel cinema Capranichetta di Roma una grande manifestazione sull’emergenza occupazione. Tra i presenti vi erano il presidente della FNSI Vittorio Roidi, il Vice segretario della FNSI Gabriele Cescutti e il Segretario dell’Associazione Stampa Romana Paolo Serventi Longhi. Mai prima di allora si era avuta una così grave crisi dell’editoria nei quotidiani, nei periodici e nelle emittenti radio-tv. Difatti nel 1993 si era registrato il più alto numero di giornalisti disoccupati o in cassa integrazione: addirittura 800 colleghi con un costo complessivo record per l’INPGI di 10 miliardi di lire (esattamente il doppio rispetto al 1992). In quell’occasione – vox clamantis in deserto – affermai che: “L’INPGI, a costo zero per lo Stato, funge da ammortizzatore sociale per la categoria soprattutto in questo momento occupazionale. E svolge anche un ruolo di primo piano per quanto riguarda i prepensionamenti di giornalisti di aziende in crisi o in ristrutturazione in base alla legge sull’editoria”.
E precisai: “questa legge ( la n. 416 del 5 agosto 1981) dev’essere al più presto modificata dal Parlamento perché è una vera e propria mina vagante o, meglio, una cambiale in bianco sui bilanci dell’INPGI almeno fino al 2025, come ha più volte evidenziato  – anche se i ripetuti richiami sono rimasti sinora lettera morta – la maggioranza del Consiglio di amministrazione con in testa il suo presidente Orlando Scarlata. Motivo: l’applicazione pratica della 416 ha oggi letteralmente stravolto le finalità sociali per le quali era stata varata 13 anni fa. Obiettivo della legge sull’editoria era, infatti, quello di salvaguardare il diritto alla pensione dei giornalisti dipendenti da aziende editoriali fallite o, comunque, in grave crisi economico-finanziaria. Oggi la 416 è, invece, diventata uno strumento con cui gli editori possono a loro piacimento mandare anticipatamente a casa giornalisti ritenuti “scomodi” o, comunque, diventati troppo onerosi. Paradossalmente la 416 contribuisce a far riequilibrare i bilanci aziendali scaricando a circuito chiuso all’INPGI, cioè sull’intera categoria dei giornalisti, i pesantissimi costi dei prepensionamenti”.
Ricordai anche che: “le imprese editoriali risparmiano circa 80 miliardi di lire l’anno grazie alla fiscalizzazione impropria degli oneri sociali. L’INPGI incassa, infatti, un contributo assegni familiari di appena o 0,05% contro il 6,20% dovuto all’INPS dalle imprese di altri settori produttivi”.
Precisai che “la revisione della legge 416 da parte delle Camere è assolutamente indilazionabile soprattutto alla vigilia della privatizzazione dell’ente che – salvo rinvii dell’ultim’ora – il Governo dovrà attuare entro pochi giorni in esecuzione della “finanziaria” del ’94. Ma privatizzare l’INPGI senza contemporaneamente modificare l’attuale normativa sui prepensionamenti rischierebbe di mettere in serio pericolo la stessa sopravvivenza dell’ente previdenziale e quindi il puntuale pagamento dei vitalizi a migliaia di giornalisti pensionati, i quali non avrebbero più barriere di protezione, né le garanzie attualmente previste dall’articolo 38 della Costituzione. E rischierebbero di non ottenere neppure il riallineamento degli stessi vitalizi erosi annualmente dall’inflazione monetaria.”
Ed aggiunsi: “Un grido di allarme che, come presidente dell’Associazione Stampa Romana e componente del Comitato Esecutivo dell’INPGI, sento il dovere di lanciare al governo e alle forze politiche, affinché questo delicato problema venga finalmente riesaminato al più presto dal Parlamento. Ritengo, infatti, che un moderno sindacato al completo servizio dei colleghi debba prevenire con largo anticipo quegli eventi che potrebbero poi riflettersi negativamente sul futuro della categoria e quindi intaccare l’autonomia dei giornalisti cui è strettamente connessa la libertà di stampa garantita dall’articolo 21 della Costituzione (norma questa che, a mio parere, dovrebbe essere ampliata dalle Camere fino a ricomprendervi il diritto del cittadino ad essere correttamente informato).
Affermai di essere perfettamente a conoscenza che “all’interno della FNSI e anche del sindacato dei giornalisti romani c’è chi la pensa in modo diverso e ne rispetto le opinioni, perché dal libero confronto delle idee si può, comunque, trovare in comune accordo la migliore soluzione del problema. Anche la FIEG è, naturalmente, di parere opposto al mio anche se è favorevole alla modifica della legge sull’editoria, limitatamente, però, alle norme che affidano in esclusiva agli edicolanti la vendita dei giornali.  Ma, purtroppo, di fronte a dati e a cifre allarmanti e alle conseguenti non ottimistiche previsioni attuariali sui futuri bilanci dell’INPGI, non posso che ribadire la necessità dell’assoluta revisione della legge 416, affinché venga riportata a criteri di assoluta equità, opportunità e legittimità costituzionale. Il costo dei prepensionamenti, infatti si riversa interamente sulle casse dell’INPGI con danni irreversibili: in media addirittura un miliardo di lire per ogni collega che ottiene il prepensionamento anticipato, tenendo conto che al regalo di annualità di contributi figurativi va sommato il corrispondente minor introito di contributi obbligatori per la durata di molti anni “. Infine davo conto dell’assurdità dello scivolo contributivo da parte dell’INPGI di ben 15 anni in favore dei giornalisti prepensionati e della grave discriminazione ai danni delle donne giornaliste che restavano ingiustificatamente e irrazionalmente escluse dai prepensionamenti”.
Questo mio intervento del 1994 dimostra che quasi profeticamente con larghissimo anticipo avevo visto giusto e che c’è, invece, poco da fidarsi di chi oggi fa promesse elettorali a vanvera come alcuni candidati di “Controcorrente” (già “Autonomia e Solidarietà”) che, guarda caso, si dimenticano di rispondere a queste 2 semplici domande: “Che ha fatto “Controcorrente” nei 25 anni che ha avuto in mano l’INPGI e la FNSI per evitare che l’ente previdenziale finisse sull’orlo del baratro e quasi in default come anche il Fondo EX FISSA? E come è stato possibile che il Governo Conte 2 abbia dato via libera un mese fa ad altre centinaia di prepensionamenti di giornalisti con la legge 416 che in buona parte finiranno a danno dell’INPGI (anche perché per la 1^ volta è addirittura prevista l’assunzione di non giornalisti che versano all’INPS) senza stanziare, però, adeguati indennizzi per l’ente previdenziale? L’INPGI 1 è tenuto a pagare le pensioni, ma non può certamente stampare denaro per pagarle. Ecco perché è indispensabile l’intervento della politica.
Pierluigi Franz

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