Romano Bartoloni
Roma, 5 gennaio 2019
Sulla quadratura dei conti dell’Inpgi, comunque in profondo rosso, il premier Conte è stato preso in castagna dall’abile ed esperto collega Franz, ma nessuno ha battuto ciglio, tra i tanti resocontisti che hanno dato ampio risalto alla conferenza stampa del presidente del Consiglio, nessuno ha avuto da ridire sulla sua visione sovversiva del sistema informazione. Tanto silenzio per non dargli torto? Cattiva coscienza?
Per il suo governo, che pianifica una raffica di prepensionamenti di giornalisti da sostituire anche con comunicatori tuttofare, il tradizionale modello di giornalista non sarebbe all’altezza dei tempi di Internet. Pur mettendo le mani avanti con una mortificante rassicurazione “introdurre profili non giornalistici non è uno schiaffo alla professione giornalistica”, ma un turn over che “avviene nella prospettiva di una riconversione digitale e in sintonia con l’evoluzione del mercato”, dove vige “la regola della competizione e vince che si mostra più innovatore”.
In effetti, in casa nostra, specie tra le file della vecchia guardia dominante, con il pretesto che online circolano fakenews e tante notizie a bassa credibilità, si tende a sottovalutare se non a demonizzare il mondo dei social, ignorando o fingendo di ignorare che l’opinione pubblica si stia trasferendo in massa nel web. Secondo l’ultimo rapporto CENSIS, un italiano su tre si informa ovunque (da ultimo persino con la chiacchierona Amazon Alexa), il 73 per cento si aggiorna tramite smartphone, e solo il 37,4 per cento legge i giornali contro il 67 per cento del 2007.
La comunicazione hi-tech rappresenta lo specchio virtuale della nostra epoca. La maggioranza della gente scandisce la propria giornata attraverso la messaggistica whatsapp. I politici non rispondono più alle domande dei giornalisti, ma dettano l’agenda delle notizie, i loro sono monologhi senza contraddittorio. Passo dopo passo la mediazione giornalistica si è inaridita e viene sistematicamente e scientemente scavalcata dal sistema dei poteri, ormai padroni e strateghi delle tecnologie della comunicazione in filo diretto con il loro popolo. Con il quale twittano, interagiscono e dialogo realizzando l’operazione marketing della disintermediazione.
In questo stadio di mutazione antropologica, rimarcata dallo stesso premier Conte, si rischia la resa senza condizioni del giornalismo al fenomeno dirompente dei comunicatori in un mondo editoriale che, invece, di mettersi al passo con i tempi, si illude di salvare la pelle smantellando le migliori energie professionali in barba e a disprezzo della qualità dell’informazione. Diventa follia suicida restare a guardare la grande vetrina interattiva senza entrarci dentro a grandi falcate con la forza della professionalità, dell’esperienza e dell’autorevolezza del cronista.
Romano Bartoloni
candidato pensionato alle elezioni dell’INPGI
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