Pubblicare senza pagare: il vizietto di Google e Facebook

Speciale per Senza Bavaglio
Eugenio Gallavotti
Milano, 7 ottobre 2019
Preciso riconoscimento all’inviolabilità del lavoro giornalistico, la direttiva europea sul copyright recepita dalla Francia e, entro il 7 giugno 2021, dagli altri Paesi Ue – sta cominciando a dare i suoi frutti. Ovvero, com’era prevedibile, gli over the top della Rete – nel mirino per l’obbligo di retribuire gli articoli che appaiono sulle loro piattaforme – che si stanno mobilitando per correre ai ripari. E anche per cambiare le carte in tavola.
In prima linea, naturalmente, Google e Facebook, diventate negli ultimi 15 anni le imprese più ricche della storia del capitalismo, grazie anche allo sfruttamento e alla ripubblicazione gratuita del lavoro giornalistico in tutto il mondo (Cina e Russia a parte). Una gigantesca operazione, alimentata all’origine da editori poco avvertiti sul business e sulle finalità di motori di ricerca e social network, che ha messo in ginocchio la nostra professione, abituando l’opinione pubblica all’idea che l’informazione possa, anzi “debba”, essere fruita a costo zero.
Con le testimonianze emerse durante il dibattito parlamentare di Strasburgo, oggi siamo in grado di ricostruire la vera genesi della crisi che ha colpito tante nostre redazioni, i licenziamenti, i cosiddetti “contratti di solidarietà”, l’iniquo compenso ai freelance, il precariato…  E appaiono più sullo sfondo le riflessioni sulla ridotta qualità dei mezzi di informazione – chi ha paura di perdere il lavoro può svolgerlo serenamente? – e le affermazioni da bar/social tipo “i giornalisti di oggi sono meno bravi di quelli di ieri”.
Ormai anche esponenti attenti agli equilibri istituzionali si esprimono senza mezzi termini sul rapporto tra giornalismo e colossi del web: “Devono cacciare i soldi”, ha detto il segretario dell’Associazione stampa romana, Lazzaro Pappagallo, ai recenti Stati generali dell’editoria. Due settimane fa Arthur Gregg Sulzberger, giovane editore del New York Times, ha pubblicato una lunghissima requisitoria lanciando un allarme mondiale sulla libertà di stampa: “Google e Facebook sono diventati i distributori più potenti di informazione nella storia umana”. Non è abbastanza per organizzare un G8 dedicato?
Ma andiamo con ordine e cominciamo da Facebook. Per la fine di ottobre è previsto il debutto della loro nuova sezione dedicata alle news. Ma solo una parte dei 200 editori coinvolti al momento nel progetto verrà pagata. Il resto beneficerà solo della possibilità di far apparire i propri contenuti sulla piattaforma e di drenare traffico web. Uno specchietto per le allodole: sappiamo quanto si riveli insufficiente il “ritorno” sui siti degli editori di ciò che viene pubblicato su internet; è sempre la piattaforma principale a fare la parte del leone, sia in termini di lettori sia, di conseguenza, in termini di raccolta pubblicitaria.
Sappiamo cos’è Facebook. Recentemente, nel silenzio generale, ha cambiato negli Stati Uniti e in Europa lo slogan della sua homepage. La frase, che prima era “È gratis e lo sarà sempre”, è diventata “È veloce e semplice”. È stato eliminato ogni riferimento al fatto che diventare utenti del sito non costi nulla. José Antonio Castillo, avvocato ed esperto di diritto digitale, ha avanzato l’ipotesi che l’iniziativa possa essere stata presa in risposta alla direttiva Ue: in quel testo, per la prima volta, si stabilisce che lo scambio di dati e profili è in realtà una forma di pagamento. “Facebook non è mai stato gratuito perché i dati valgono molti soldi  “, ha concluso Castillo. E oggi sappiamo che lo slogan “È gratis e lo sarà sempre” era già contraddetto fin dall’inizio dalle condizioni generali del sito (quelle scritte in piccolo, per intenderci). Il punto 11 della sezione 7 recita: “Non garantiamo che la Piattaforma resterà gratuita per sempre”.
Anche Google cambia le regole in corsa. In Francia non mostrerà più le anteprime degli articoli dai siti di notizie. Proverà così a non pagare quanto è stabilito dalla direttiva sul copyright che Parigi ha già applicato. Il governo Macron ha reagito con forza parlando di comportamento «inaccettabile» e ribadendo di voler tutelare il valore dei contenuti originali di autori e giornalisti. Il presidente della Siae, Giulio Rapetti (in arte Mogol), ha aggiunto: “Bisogna assolutamente correggere questo sistema che vede pochissimi player guadagnare cifre miliardarie sulle spalle degli autori, oltre che di chi paga le tasse. È urgente riconoscere i compensi per autori, giornalisti, creativi. Senza diritto d’autore, che è il diritto del lavoro intellettuale quotidiano, l’informazione e la cultura muoiono, e con loro muoiono le società”.
Ma Google e Facebook hanno un amico in più. Nei giorni scorsi, il presidente Usa Donald Trump ha detto che potrebbe “imporre tariffe sul vino francese” in risposta alla “discriminatoria politica di Parigi” nei confronti delle società tecnologiche americane.
La battaglia per il diritto d’autore è appena cominciata. 
Eugenio Gallavotti

Condividi questo articolo