La requisitoria di Paolo Murialdi per abolire l’Ordine: la scrisse per Senza Bavaglio

Nel settembre 2002, quando Senza Bavaglio stava per compiere 2 anni,
Paolo Murialdi, che già da qualche tempo aveva manifestato le sue critiche verso l’Ordine
e frequentava le noste riunioni, ci inviò questo articolo. Lo intitolò lui stesso: “Perchè sono abolizionista”.
Lo ripubblichiamo come contributo, assai attuale, al dibattito in corso
m. a. a.

Perché sono abolizionista
Paolo Murialdi
Milano, 18 settembre 2002

Considero molto opportuna la decisione della Lombarda di avviare un dibattito sull’Ordine dei giornalisti e ringraziare per l’invito a parteciparvi.

Lo faccio riandando alle argomentazioni che esposi nel 1987, in un articolo pubblicato nel nr. 4 di “Problemi dell’informazione”.

Nella prima parte cercando di spiegare perché diventai abolizionista e nella seconda citando i motivi per cui era importante rinunciare all’Ordine e potenziare il sindacato e il contratto di lavoro. Ricordo tre momenti delle mie esperienze professionali: l’immediato dopoguerra, il periodo intorno al 1963 e gli anni Settanta.

Paolo Murialdi durante un incontro di Senza Bavaglio organizzato al “Tempio d’oro” di Milano da una dei fondatori di SB, la compianta Marilisa Verti

Subito dopo la guerra non mi posi il problema della sopravvivenza o meno dell’Albo obbligatorio istituito dal fascismo. Avevamo altro cui pensare sia sul piano nobile della libertà e della politica sia su quello della pagnotta, drammatico per quasi tutti gli italiani. Ricordo che nel congresso di Palermo della Fnsi (1946) furono soltanto 4 i delegati che votarono contro un Ordine obbligatorio.

Fra i colleghi si potevano notare due stati d’animo, quello dei giovani inesperti ma fiduciosi che la stampa diventasse realmente il”quarto potere”; e quello dei colleghi cresciuti nel mestiere durante il Ventennio.

Non pochi di loro erano molto capaci: ma in quasi tutti si avvertivano timori e cautele. L’Albo andava bene agli uni e agli altri. I primi lo consideravano uno strumento per arrivare al “quarto potere”; per gli altri costituiva una protezione. Tutti trascurammo il legame dell’Albo con il ministero della Giustizia, che poteva rappresentare un grave limite alla libertà del giornalista.

Nella seconda fase contò molto a favore dell’Ordine la questione del lavoro nero. I casi erano numerosi. A “La Notte” erano otto! L’istituzione dell’Ordine servì a combattere questa piaga.

Ma l’Ordine prometteva, inoltre, la tutela dei diritti del giornalista. L’importanza di questo impegno era accresciuto da tre fattori : una legge della stampa monca e discutibile, la sopravvivenza nei Codici di norme di stampo fascista e la notevole dose di conformismo e di contrapposizioni ideologiche che caratterizzavano i media.

La nota di Paolo Murialdi che accomagnava l’articolo

Ben presto però cominciarono a emergere alcuni limiti insiti nell’Ordine: essere un soggetto pubblico collegato al Governo: le possibilità di intervento della magistratura; necessità di essere un professionista per dirigere un quotidiano o un settimanale.
Risale, pero’ al periodo in cui si manifestarono casi clamorosi su alcuni incarichi da direttore responsabile, la decisione della Corte costituzionale di respingere il ricorso di incostituzionalità della legge sull’Ordine di fronte all’art. 21 della Costituzione.

L’articolo è stato inviato per lettera a Massimo Alberizzi

Quando fui eletto presidente della Fnsi (1974) dovetti prendere atto davanti alla grave crisi che colpiva la stampa quotidiana e al problema di riforma della Rai, che la grande maggioranza dei colleghi voleva conservare l’Ordine così come era nato.

Le prime riserve che si manifestarono riguardarono in particolare il cosiddetto esame di Stato molto discusso; ma le promesse di riformare la legge non diventarono mai concrete. Nello stesso tempo erano diffuse nella categoria le avversioni per le scuole professionali. Per anni operò soltanto quella di Milano alla cui apertura partecipai con convinzione.

Elenco ora i motivi per cui ritengo opportuna l’abolizione dell’Ordine.

1) Il vero giornalismo presuppone l’esistenza di un grado riconoscibile di libertà e di autonomia professionale. Con i diritti e doveri indicati dall’art. 21 della Costituzione e dai Codici. L’obbligo di far parte di un Ordine di natura pubblica per esercitare un diritto fondamentale di tutti i cittadini mi appare incompatibile con i diritti democratici. L’obbligatorietà è stata bocciata all’unanimità da un Congresso della Federazione internazionale dei giornalisti, poco prima che entrasse a far parte della Fnsi.

2) L’esercizio di una professione come quella giornalistica non deve richiedere una specie di patente, come per i medici, gli ingegneri, i chimici, e via elencando nei saperi tecnici. Inoltre l’assimilazione ai liberi professionisti appare assurda perché in grande maggioranza i giornalisti sono lavoratori dipendenti.

3) L’Ordine non ha dato sicura prova di intervento per la moralità del giornalismo. Di fronte a casi molto gravi – ricordo le iscrizioni alla loggia segreta P2 – le decisioni di alcuni ordini regionali differivano le une dalle altre.

4) In Italia esiste un Codice deontologico unicamente perché lo ha richiesto la legge sulla privacy. La Carta dei doveri, stilata faticosamente dall’Ordine e dalla Fnsi, non prevedeva sanzioni e, quindi i suoi dettati non hanno efficacia.

5) Un aspetto negativo è che risultano iscritte all’Ordine persone che svolgono incarichi non giornalistici, in uffici stampa e di pubbliche relazioni.

6) L’Ordine rilascia una tessera che dopo un po’ di anni diventa permanente. Non sorprende che i giornalisti italiani la preferiscano a una carta di identità professionale come accade in altri Paesi democratici.

7) Le corporazioni – e tale è l’Ordine – proteggono gli affiliati ma li ingabbiano. E vi si entra ufficialmente soltanto se dall’interno ti aprono la porta.

8) Due parole sulla preparazione professionale. E’ necessaria e in giro non se ne vede abbastanza. Sono stato favorevole alle scuole professionali, che non sono diventate fabbriche di disoccupati, e sono favorevole ai corsi di laurea nei quali insegno. Ma sono nettamente contrario all’obbligo della laurea in giornalismo per diventare professionisti. Laurea sì, ma non obbligatoria! Il contrasto con il primo comma dell’art.21 sarebbe stridente.

Concludo ricordando che la Federazione internazionale dei giornalisti svolse una ricerca sugli Ordini esistenti nel mondo nei primi anni Settanta. Esclusi per ovvi motivi i paesi del blocco sovietico risultarono esistenti 13 corporazioni nell’America centrale e meridionale, una in Africa e due in Europa. La seconda era l’Ordine della Catalogna ma infine restò soltanto il nostro perché la Corte costituzionale spagnola bocciò quello varato dal Parlamento della Catalogna.

Mi sembra che ce ne sia abbastanza per accettare l’abolizione dell’Ordine inteso come corporazione obbligatoria e pubblica.

Paolo Murialdi

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