Pronto nuovo stato di crisi alla Mondadori: i giornalisti ora pagano per lavorare

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Milano, 31 marzo 2019

Sembrava che l’imminenza delle elezioni europee potesse portare un po’ di tranquillità nell’orbita Mondadori, che non può rischiare di compromettere con le notizie di nuove operazioni impopolari la campagna di chi ha appena festeggiato i 25 anni dalla prima vittoria politica, invece alla vigilia del weekend è arrivata la comunicazione di un preaccordo per un nuovo stato di crisi. Dopo che il primo tentativo era naufragato a causa di un progetto impresentabile (non meno di molti altri sottoposti e accettati in passato) per la totale assenza di un progetto articolato, che ha creato un certo imbarazzo, la trattativa è continuata con la mediazione diretta dell’ALG. e della FNSI. Il risultato è la proposta di un nuovo contratto di solidarietà al 13 per cento, il cui obiettivo è quello di compensare per un anno con l’astensione dal lavoro di “circa” tre giorni al mese dei giornalisti la presenza di 35 nuovi esuberi, che ancora una volta non sono strutturali, ma il semplice risultato di un conto matematico.

Per domani è convocata l’assemblea per votare l’approvazione del piano, sulla base dei pochi elementi disponibili al momento, visto che il documento definitivo non è ancora disponibile. Il voto sarà quindi poco più che al buio, anche se i fatti dimostrano che di fatto cambia ben poco, vista la predisposizione di un’azienda a non rispettare gli accordi, in particolare quelli sottoscritti. Pare comunque certo che dall’assemblea uscirà un parere positivo, nonostante l’astensione dal lavoro possa risultare economicamente più pesante per i giornalisti coinvolti a causa di un’integrazione ridotta.

Il clima che si respira a Segrate è infatti sempre più pesante, e la sensazione che si voglia sfruttare ogni possibilità di rimanere per qualche ora fuori da palazzo Niemeyer. Ma avallare al buio un nuovo contratto di solidarietà, soltanto considerando che si tratti del male minore, con l’obiettivo di ottenere ulteriori 12 mesi di “ossigeno” può essere pericoloso. Perché in questo modo si riconosce una volta di più la presenza di esuberi che non sono tali, come è avvenuto puntualmente negli ultimi 10 anni.

Rispetto al passato l’assemblea sarà sempre meno unitaria, con più anime, visto che raccoglierà i colleghi formalmente rappresentati dal CdR, quelli delle redazioni che non hanno un proprio fiduciario di testata, e quelli che lavorano a TuStyle e Confidenze, ammessi al voto anche se non coinvolti direttamente in questo provvedimento, visto che hanno già fornito il loro contributo “volontario” ai bonus dei manager, con il drastico taglio alla retribuzione per evitare la vendita al sedicente editore croato.

L’ennesimo stato di crisi arriva in un momento delicato, che segue di pochi giorni la notizia del rigetto del ricorso presentato dalla Lombarda in occasione del travagliato trasferimento della redazione di Panorama alla corte di Belpietro. A oggi le motivazioni del rigetto non sono ancora note, ma appare evidente che la situazione sia molto delicata, perché da quanto scritto dal giudice dipenderà non solo la possibilità di continuare con una causa di merito, ma anche il futuro di tutto il mondo dell’editoria che si potrebbe sentire legittimato a tagliare drasticamente i compensi alla vigilia della svendita di una testata, così da rendere più vantaggiosa l’operazione.

Pur con la necessaria cautela suggerita dall’imminenza delle elezioni, non si placa la fame della Mondadori e non deve illudere il parziale dietrofront dell’azienda su uno dei temi caldi degli ultimi mesi, la soppressione dei giorni di ferie non consumati entro il 31 dicembre 2018. Si trattava evidentemente di uno scippo, avallato dal CdR che ha firmato l’accordo, così il provvedimento è stato rivisto, ma non cancellato. I giornalisti potranno riutilizzare quei giorni, che non saranno ricaricati come ferie, risulteranno disponibili come permessi, e in questo modo l’azienda avrà ancora una volta raggiunto il suo scopo, visto che sui conti economici le voci hanno un peso diverso.

Ernesto Mauri a una festa di carnevale

Il nuovo stato di crisi può rappresentare l’opportunità per cercare risolvere il problema dei collaboratori chiamati a compensare con costi più contenuti quelli che l’azienda considera esuberi. L’abusivismo non è più relegato all’interno delle redazioni, sono molti gli esterni che attualmente sono in grado di lavorare in remoto e nell’ombra grazie al sistema K4, per mezzo del quale è possibile chiudere un numero anche senza giornalisti presenti al desk. Questo è sicuramente il momento migliore per chiudere i rubinetti e riportare la situazione all’interno del perimetro delimitato dai contratti nazionali e integrativi, ma naturalmente servono controllo e impegno da parte di chi è chiamato a vigilare e fino a oggi ha sempre chiuso entrambi gli occhi senza alcun tornaconto, almeno per i giornalisti.

Tuttavia la guerra non si combatte solo all’interno del palazzo di Segrate, ormai il fronte si è esteso anche ai colleghi del quotidiano Il Giornale, ed è evidente che la lettera di trasferimento consegnata ai redattori di Roma sia solo un primo assaggio di ciò che gli illuminati manager hanno pianificato per il dopo elezioni.

Ernesto Mauri

Se nel corso del 2018, anno in cui Mondadori aveva potuto beneficiare di quei 30,4 milioni di utile dell’esercizio 2017, sono stati messi in atto provvedimenti pesanti e molto discutibili nei confronti dei lavoratori, che cosa ci si può aspettare da un 2019 che è cominciato con la chiusura di un bilancio con una perdita di 177,1 milioni di euro? Mentre RCS è in positivo, Cairo pure e distribuisce un dividendo agli azionisti, anche Mondadori avrebbe potuto contare su un utile, ma naturalmente pesa la ulteriore correzione al ribasso per 200 milioni del valore di Mondadori France, pronta alla cessione.

E la responsabilità di tutto ciò di chi è? Naturalmente dei giornalisti che continuando su questa strada prossimamente saranno chiamati a versare ogni giorno un contributo per continuare a lavorare. Mentre i manager continueranno a cercare di compensare la totale incapacità di organizzare un piano industriale efficace (l’unica strategia consolidata è la rottamazione dei lavoratori a spese dell’Inpgi) con il ricorso a stati di crisi che tali non possono essere considerati, se si considera che mentre ai giornalisti erano richiesti tagli di stipendio e contratti di solidarietà, qualcuno si è spartito bonus milionari in aggiunta a compensi da nababbi. Primo tra tutti l’amministratore delegato Ernesto Mauri che non può scaricare sui redattori le responsabilità dell’ultimo bilancio in rosso, visto che il segno negativo non nasce a Segrate. Chi, nel 2007 era direttore generale, e un anno dopo è diventato presidente della filiale parigina rilevata da Emap per la modica cifra di 545 milioni di euro, e oggi ne vale circa 70? Proprio l’attuale amministratore delegato che nel 2017 ha incassato 4.308.000 euro, 3.198.000 dei quali sotto forma di bonus.

Valerio Boni

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