I giornalisti (pochi) ai funerali delle testate Mondadori. E gli editori stanno a guardare

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Milano, 24 febbraio 2019

Sit in, flash mob, presidio, dimostrazione, funerale, sono diversi i termini utilizzati per definire la manifestazione organizzata dai giornalisti Mondadori davanti al Multicenter di piazza Duomo a Milano nel pomeriggio di ieri. Un appuntamento servito più ad alleggerire la tensione che a far conoscere ai non addetti ai lavori ciò che succede ai pochi giornalisti rimasti occupati all’interno delle redazioni di Segrate.

A limitare la portata dell’evento, che comprendeva la presenza di una vera bara rivestita con le pagine delle riviste AME, ha contribuito la concomitanza con gli appuntamenti della fashion week, ma non solo. Più che gli spazi ristretti in cui è svolto il tutto tra le 16 e le 18, i limiti derivano dalla scarsa propensione dei giornali di parlare dei problemi di esuberi in altre testate. Non è certo una novità ed è anche facile capire il perché, soprattutto in questo caso, visto che è coinvolta un’azienda che sta tracciando una strada perversa alla quale in molti si stanno accodando.

Il concetto è semplice, se fosse stato coinvolto un gruppo di metalmeccanici o di agricoltori la copertura sarebbe stata totale, qui il discorso è diverso. I giornalisti non mancavano, ma pochi di loro avranno la possibilità di raccontare nel dettaglio che cosa sta succedendo. C’era il presidente dell’Associazione Lombarda, Paolo Perucchini, c’erano diversi ex mondadoriani ormai in pensione, c’era anche Franco Abruzzo, ma solo qualche giornalista potenzialmente interessato dalla nuova ristrutturazione annunciata. Sarebbe stato lecito attendersi una partecipazione massiccia, invece il bilancio non va oltre un magro 20-25 per cento dei superstiti.

Le defezioni sono state giustificate in vario modo, c’è chi ha preso le distanze da quella che può essere definita una pagliacciata, chi aveva altri impegni, chi ancora pensa di meritarsi il paradiso non apparendo in una manifestazione che l’azienda potrebbe utilizzare per stilare una black list. Poi c’è chi non è minimamente preoccupato, perché in fondo tutto continuerà ad andare come prima, e tutto si risolverà con un nuovo stato di crisi, con un contratto di solidarietà o una cassa integrazione che consentiranno di tirare avanti ancora un paio d’anni solo con qualche piccolo danno collaterale.

Un’immagine del primo presidio in piazza Duomo a maggio 2018

La pensano così soprattutto i colleghi che lavorano nelle redazioni più solide, senza considerare che ormai le logiche utilizzate dai manager sono esclusivamente basate sui numeri. Ciò significa che, indipendentemente da come si risolva la situazione dei 35 esuberi, sarà attivata una politica per liberarsi delle posizioni economicamente più costose. Vale a dire che in queste condizioni rischia più un giornalista esperto assunto 20 anni fa, uno dei tanti (forse troppi) graduati di Segrate, di un redattore entrato in organico in tempi recenti.

Quel che è certo è che Mondadori non ha assolutamente intenzione di rinunciare al nuovo risparmio annunciato. Quello che si aspetta l’azienda è il classico suk; noi diciamo 35, voi non ci state, alla fine andiamo a firmare per 28 e siamo tutti contenti. Fino a oggi non è andata in modo molto diverso da così, a cominciare dal primo stato di crisi in occasione del quale più di un direttore ha buttato lì delle cifre a caso, sapendo che quel numero era comunque inferiore a quello dei collaboratori impiegati in modo del tutto irregolare per impaginare o “cucinare” le riviste.

Palazzo Niemeyer a Segrate

Ad occuparsi di negoziare la nuova definizione di esuberi sarà ancora una volta un CdR che non brilla certo per forza di contrattazione, che nel recente passato non ha dato l’impressione di saper difendere non gli interessi, ma almeno i diritti dei giornalisti.

Da più parti è arrivata la richiesta di rinnovare l’esecutivo, ancora strutturato ed eletto secondo i canoni di quando nelle redazioni c’erano 500 e più colleghi. Oggi ne restano meno di 200 e alcuni giornalisti non sono nemmeno rappresentati direttamente, poiché le redazioni più piccole non hanno fiduciari.

Sarebbe più corretto passare all’elezione diretta, ma pare che i tempi per sciogliere, predisporre e rinnovare non lo consentano. Ecco quindi che le sorti sembrano affidate ancora una volta a chi non ha trovato il coraggio di dire basta a un metodo di contrattazione a senso unico, quello della Mondadori. E non è certo con la rassegnazione e la sottomissione, accettando il male minore che si esce da una condizione che è ormai molto più che imbarazzante.

Gli argomenti per contrastare del tutto legalmente i soprusi ci sarebbero, e già in passato hanno funzionato. In fondo basta scavare in un passato non troppo lontano: nell’autunno 1996 a sbloccare la firma dell’accordo integrativo fu un ricorso presentato dalla ALG contro la Mondadori alla Pretura di Milano. Allora si trattava di condotta antisindacale, oggi ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta in tema di soprusi, mancato rispetto dei contratti nazionali e integrativi e violazioni di leggi varie.

Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com

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