Dal Nostro Inviato Speciale
Valerio Boni
Parigi, 21 febbraio 2019
23,5:149=100:x. Questa è la semplice equivalenza con la quale Mondadori ha quantificato in modo “scientifico” l’ennesima stima di esuberi. 35 giornalisti potenzialmente da rottamare è infatti il risultato matematico della volontà di voler ottenere un risparmio medio del 23,5 per cento. Ciò significa che questa sarebbe stata la percentuale di taglio degli stipendi (da riparametrare tenendo conto che i colleghi di Confidenze e TuStyle erano già stati colpiti da un provvedimento analogo) messa sul tavolo in occasione dell’ultimo incontro tra proprietà e CdR se il discorso non fosse stato interrotto. Ormai le mosse del quartier generale di Segrate sono talmente codificate e prevedibili da non stupire e non fare nemmeno più notizia.
Si trattava soltanto di aggiungere una data, poiché la modalità non è mai stata in discussione: un primo tentativo “morbido” per valutare fino a che punto il sindacato continua ad assecondare i capricci dell’azienda, per poi passare al ricatto. L’obiettivo da raggiungere è unicamente economico, quindi il numero degli esuberi non tiene conto delle professionalità in campo e delle necessità delle redazioni, e questo è scandaloso. Ma è la logica conseguenza di una totale assenza di controllo da parte dell’esecutivo a partire dalla seconda metà degli anni Duemila, quando Mondadori ha iniziato a tastare il terreno eludendo il rispetto di piccole norme dei contratti nazionali e integrativi.
Ora l’offensiva è totale, senza ritegno e senza alcuna vergogna, con esuberi che continuano a uscire nonostante la corte dei miracoli di Panorama sia ormai uscita da palazzo Niemeyer e l’impegno siglato nel 2018 prevedesse che gli esuberi sarebbero stati considerati azzerati indipendentemente dall’esaurimento del piano. Ma è evidente che il rispetto degli accordi non è certo una priorità, quindi ora si riparte da quota 35. Tutto questo, naturalmente, senza considerare che se fossero realmente le persone (non i loro stipendi) a fare la differenza, il saldo sarebbe ben diverso se le regole in materia di utilizzo di service e collaboratori stanziali fossero rispettate.
L’annuncio del nuovo stato di crisi virtuale è concomitante e in qualche modo legato con un’altra rottamazione che Mondadori sta portando a termine fuori dai confini nazionali. Con qualche settimana di ritardo sul previsto è ormai in dirittura d’arrivo la cessione di Mondadori France a Reworld Media.
Questo è un altro esempio delle capacità di gestione del management dell’azienda, che acquistò con progetti ambiziosi le attività di EMAP nell’estate 2006 con un investimento di 545 milioni di euro. A guidare l’impresa fu chiamato proprio Ernesto Mauri, prima come direttore generale nel 2007 e successivamente come presidente fino alla fine del 2012, prima di rientrare in Italia. Per la vendita delle testate, e dei circa 300 giornalisti, dovrebbero tornare a Segrate non più di 70 milioni di euro, e per questo motivo negli ultimi aggiornamenti dei bilanci il valore di Mondadori France sarà rivisto sensibilmente al ribasso.
Per i colleghi d’Oltralpe la situazione appare disperata perché come spesso accade nelle cessioni l’acquirente non offre particolari garanzie. E Reworld non fa che confermare questa sciagurata consuetudine. Aggravata dal fatto che per i francesi non sembra prevista alcuna forma di aiuto, mentre in Italia l’uscita dall’orbita Mondadori è stata (quasi) sempre accompagnata da una dote di 24 mesi di stipendi pagati.
Se la situazione di Parigi appare critica, a Segrate sembra esserci ancora qualche margine, almeno fino a quando i periodici continueranno a rappresentare un business che smentisce quanto dichiarato. Lo sarà fino a quando ci saranno giornalisti da spremere e fino a quando gli accordi segreti con gli stampatori assicureranno ritorni economici di tutto rispetto. Non è però possibile sopportare angherie proposte sotto le forme più diverse, compreso il recente furto con destrezza delle ferie. Non saranno certo le ultime, quindi difendersi non è solo un diritto, ma un dovere e per farlo bisogna partire da uno studio dei contratti integrativi che possono fornire spunti davvero interessanti.
Valerio Boni
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