Speciale per Senza Bavaglio
Massimo A. Alberizzi
Roma, 9 0ttobre 2018
Cari colleghi,
prima di tutto non accusatemi di aver preso spunto in questo mio messaggio dal fondo di Marco Travaglio di oggi. In realtà erano un paio di giorni che volevo scrivervi.
Il giornalismo italiano è in una fase di malattia terminale e per risvegliarlo dal coma profondo in cui giace occorre una forte dose di ricostituente che non sta per niente arrivando dalle nostre istituzioni che sono impegnate loro stesse a sopravvivere piuttosto che a ribaltare il sistema.
L’attacco di Di Maio a voi che lavorate nel gruppo Repubblica-Espresso-Stampa è vile e inopportuno. Non dobbiamo mai accettare che un politico faccia le pulci ai giornalisti. Politica e giornalismo sono e devono essere antitetici.
Questo lo devono sapere i politici, ma anche i giornalisti. Ma lo devono sapere anche il sindacato dei giornalisti e – soprattutto – il nostro Ordine.
Federica tu sei minacciata dalla mafia e so perfettamente cosa vuol dire una condizione di questo genere perché l’ho vissuta quando i servizi arrivarono al Corriere avvisando che gli eritrei volevano farmi fuori. Volevano darmi una scorta che rifiutai, nonostante avessi due figli piccoli e avevo paura più per loro che per me.
Subito dopo il mio rapimento in Somalia quando mi intervistarono varie radio e televisioni ribadii un concetto: è più difficile lavorare scrivendo di mafia e ndrangheta che seguire le guerre in giro per l’Africa.
Proprio per questo mi indigna la protesta della politica contro chi ha il giornalismo nel sangue e rischia ogni giorno la vita per esercitare al meglio la sua professione. Le minacce di un politico sono identiche a quelle di un mafioso. Forse fisicamente meno violente, ma altrettanto pericolose.
Detto questo, noi dobbiamo operare dei distinguo precisi per non essere confusi con chi fa del giornalismo uno strumento di lotta politica o peggio utilizza il proprio lavoro per fini personali. Un conto è dare una notizia sbagliata in buona fede (chi di noi non l’ha data?), un conto invece è sapere che la notizia è sbagliata e darla lo stesso per ingannare il lettore.
Il fondo di Travaglio di oggi elenca una serie di notizie date sui giornali del gruppo Gedi che risultano false e/o devianti. Di alcune sapevo, di altre meno. Non so poi se tutta la sfilza di questa lista sono stata verificata. Clamorosa però è la storia di Beatrice Di Maio e dell’articolo della Stampa servito a screditare i 5 Stelle con i quali nessuno si è scusato. Difficili da digerire anche la storia di Scafarto o la soffiata di Renzi a De Benedetti sulle banche. E l’Ordine dov’era? Se ha messo sotto inchiesta giornalisti estensori degli articoli e i loro direttori, per favore, fatemelo sapere.
Anche la difesa corporativa di un Ordine vecchio e obsoleto da parte dei dirigenti dei giornalisti va analizzata a fondo a cominciare dal dare una risposta alla domanda: perché persone che si definiscono di sinistra difendono un ente la cui organizzazione è basata sul sistema corporativo tanto caro al fascismo?
Cari amici e colleghi, credo che andare avanti soltanto utilizzando lo schema del “politicamente corretto”, sia profondamente sbagliato. Un comportamento del genere, un po’ – lasciatemelo dire – superficiale e senza un minimo di critica, rischia di far affondare ancor di più questo Paese e la sua stampa. Senza un’informazione autorevole e di prestigio saranno falcidiati i posti di lavoro dei giornalisti con la gioia di comunicatori e influencer. Ed è dai giornalisti più qualificati e intellettualmente onesti – come voi siete – che mi aspetto una voce fuori dal coro, una reazione spregiudicata: noi non siamo e non vogliamo essere strumenti di lotta politica. Noi siamo operatori dell’informazione e i nostri giudici sono i lettori, non i nostri editori e neppure i nostri politici. A proposito Carlo De Benedetti è ancora la tessera numero 1 del PD?
La difesa dei posti di lavoro è compito primario di un sindacato. Ma non possiamo non tener presente che in più occasioni il sindacato si è trovato in mezzo a legittimi conflitti di diritti. Ricordo il caso della Valsella, società del gruppo FIAT che produceva mine antiuomo. Ci furono scontri ideologico/sociali tra chi voleva chiudere la fabbrica e chi voleva salvare il proprio lavoro. Gli stabilimenti furono riconvertiti e furono salvati i posti senza più produrre i tremendi ordigni (in guerra i più micidiali, ve lo garantisco!)
Il problema che si presenta nel giornalismo italiano, fatti i relativi distinguo, è simile. Occorre salvare i posti di lavoro ma essere consapevoli che il prodotto giornale deve cambiare. Per esempio indicare solamente i siti web come produttori di fake news è un errore grossolano (e grottesco) che non giova al giornalismo. Oggi anche i giornali e le televisioni si sono scordati dell’informazione di qualità. Pubblicano senza alcun controllo o autocritica notizie false e non rispettano neppure quanto previsto dalla legge sulla stampa che all’articolo 8, tra l’altro, prevede che “per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma precedente sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono”. Avete mai conosciuto un direttore che abbia ubbidito a questa regola? Io no. E perché l’Ordine non interviene e la FNSI non denuncia questo malcostume?
Io una spiegazione ce l’ho ma mi vergogno persino di formularla. Spero solo di sbagliarmi.
Massimo A. Alberizzi
Senza Bavaglio
Consigliere Nazionale della FNSI
Sono d’accordo. Mi pare che in Italia nessuno voglia davvero cambiare le cose… E’ proprio una questione culturale.. Tutto ciò che è nuovo viene anzi guardato con sospetto; non esiste in Italia la voglia matta di “fare squadra” (nè se ne comprende l’importanza) ma di fare corporazione… questo sì.
L’Italia è il Paese che ama creare eroi: se ne costruiscono di continuo, con la stessa frequenza con cui ci si cambiano i calzini al mattino… qui diventa un eroe anche chi fa semplicemente il proprio mestiere…
Personalmente mi sono stancata delle cose di cui si parla in questa lettera aperta, e sto cercando una nuova opportunità di vita negli Stati Uniti… Sia chiaro: accetto anche il rischio di lasciare il giornalismo, un mestiere che amo ma che, a forza di non voler cambiare, riconosco essere arrivato ormai alla fine. E’ finita un’epoca, insomma .. . e molti non se ne sono nemmeno accorti! Ammetto che lasciare l’Italia non è stata una scelta che ho preso a cuor leggero, vista anche l’età, ma è una scelta che ho dovuto necessariamente fare, anche per non essermi mai piegata alle logiche che governano – e mettono in ginocchio – il nostro giornalismo..
Mi permetto di suggerire a chi di dovere una piccola cosa: se proprio vogliamo usare l’aggettivo “eroico” per alcuni coraggiosi colleghi, bè, usiamolo anche per quelli a cui le nostre categorie si disinteressano da troppo tempo.. ai giornalisti sfruttati, sottopagati, a coloro che non riescono (non per loro scelta) a svolgere questo mestiere con la dignità che esso richiede e a quanti, davanti alla mancanza di iniziative e di prospettive, sono costretti perfino – e con grande sofferenza – a lasciarlo.