L’accordo economico siglato tra le parti sociali, FIEG e FNSI, prevede un aumento salariale per tutti i giornalisti assunti pari a 105 euro lordi, nel biennio, 50 il primo anno e 55 il secondo. Un risultato appena sufficiente, date le premesse a dir poco tragiche, ma niente di più.
In cambio gli editori ottengono un ottimo sgravio contributivo, per tre anni, per assunzioni a tempo indeterminato. E’ l’INPGI quindi che rinuncia a entrate certe per favorire l’ingresso al lavoro di, si spera, un bel numero di colleghi. Cioè, chi paga in realtà, alla fine non sono gli editori ma, con una partita di giro, l’INPGI.
L’INPGI si salva grazie alla manovra vera, quella che prevede:
A) L’aumento contributivo dell’aliquota (a carico degli editori) di tre punti percentuali nell’arco di cinque anni.
B) L’aumento progressivo dell’età pensionabile delle donne nell’arco di dieci anni (in linea con le norme sull’aspettativa di vita contenute nella finanziaria), fino a raggiungere il requisito dei 65 anni stabilito per i giornalisti maschi. Le donne avranno comunque sempre l’opzione volontaria di anticipare l’età di pensionamento a 60 anni, in questo caso sarà applicato un abbattimento percentuale permanente della pensione maturata. Nel periodo transitorio 2012-2020 l’abbattimento sarà in misura ridotta, calcolata in considerazione agli anni di anticipo rispetto all’età prevista dalla nuova normativa.
Gli sgravi contributivi potrebbero essere comunque positivi anche per l’INPGI, poiché si presume che essendo a fronte di contratti a tempo indeterminato, l’Istituto non debba per questi colleghi sostenere poi i costi di due anni di disoccupazione, come accade invece regolarmente per i contratti a tempo determinato.
Tutto bene, probabilmente, se parliamo di grandi aziende. Ma quando ci si addentra nei meandri delle scatole più o meno vuote, di editori che aprono e chiudono aziende e testate a velocità del fulmine, allora qualche preoccupazione affiora.
E’ bene che si sappia che a pagare le ristrutturazioni e gli stati di crisi consentiti dal contratto avrebbe dovuto essere il fondo costituito dal 70 per cento di soldi pubblici e dal 30 per cento dei soldi versati dagli editori.
Invece questi ultimi cosa hanno fatto? Hanno utilizzato una cifra assai inferiore a quel 30 per cento per incentivare i giornalisti a uscire volontariamente dalle redazioni. Per prepensionarli è stato usato quel fondo solo in minima parte. La gran parte dei costi è rimasta a carico dell’INPGI che ha visto così depauperare sempre più le proprie casse.
Ora con questo accordo cosa succederà se i giornalisti verranno utilizzati solo per quel periodo con i contributi tagliati e poi rottamati?
Perché non si sono posti dei paletti per impedire che la possibilità offerta da quest’accordo non venga utilizzata per aprire nuove iniziative editoriali, da chiudere in tre anni, giusto il tempo per usufruire degli sgravi contributivi e poi lasciare all’INPGI l’onere della disoccupazione o degli ammortizzatori sociali? Se così fosse la perdita subita dall’INPGI potrebbe avere risultati catastrofici.
Senza Bavaglio
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