La Mondadori e la fine del sindacato: da collettiva la contrattazione diventa individuale

Speciale dal team di
Senza Bavaglio
Milano, 25 ottobre 2018

Se domani alcuni giornalisti della Mondadori si recheranno alla corte di Maurizio Belpietro sollecitando una riduzione dello stipendio pur di restare nello staff di Panorama, vorrà dire che la contrattazione individuale avrà preso il sopravvento e verrà cancellata la contrattazione collettiva. Diciamolo con grande chiarezza: sarà la fine del sindacato.

Qualcuno dei sindacalisti, non solo della Mondadori, ma anche della Lombarda e – purtroppo – della FNSI, sconfortato, ha ammesso che non si può impedire ai giornalisti di andare a contrattare personalmente e singolarmente la propria posizione. Certo che si può: con una forte azione sindacale che tuteli tutti. E si può riuscire così a convincere i colleghi che tutti assieme si può ottenere qualcosa di più di quello che si può spuntare da singoli.

Il sindacato è nato per questo, quando si è capito che il lavoratore isolato davanti al proprietario di un’azienda non aveva alcuna possibilità di ottenere il rispetto dei suoi diritti e che, invece, assieme, e riuniti, le possibilità erano molto maggiori.

Si deve riflettere e capire che oltre a quelle proposte dall’azienda ci sono altre soluzioni possibili. Altrimenti all’inferno finirà non solo la redazione di Panorama ma anche tutta l’editoria italiana. Una responsabilità enorme.

E’ bene ricordare a chi non lo sa, che la Mondadori fino all’anno scorso era in attivo. Ciononostante il sindacato ha – a suo tempo – avallato le richieste di stato di crisi presentate dall’editore, consentite da un norma varata durante la firma dell’ultimo contratto collettivo (sì, quello che ha messo in ginocchio tanti giornalisti) dall’allora ministro del lavoro Sacconi e accettata supinamente dall’allora segretario della Federazione Nazionale della Stampa (sì, Franco Siddi quel signore finito subito dopo nel Consiglio d’Amministrazione della Rai). Quel dispositivo recita più o meno così: per chiedere lo stato di crisi basta una previsione di perdita sul prossimo bilancio. Una PREVISIONE.

Se poi il bilancio non risulterà in rosso non importa: l’editore ha ottenuto una riduzione indebita del costo del lavoro e a spese dei giornalisti.

Qualcuno fa notare che anche prima di questo scellerato contratto nazionale di lavoro, si sarebbe potuto chiedere ai giornalisti di implorare una riduzione dello stipendio. Nessuno però, si è mai azzardato di proporre una cosa simile. Il sindacato avrebbe alzato le barricate e sollevato i tavoli del direttore del personale o dell’amministratore delegato e impedito che i colleghi andassero a firmare una simile innaturale richiesta. Magari facendo i picchetti davanti all’ufficio dove qualcuno, perché disperato per la sua situazione, o, chissà, in combutta con l’editore, sarebbe potuto andare a supplicare nuove condizioni di lavoro.

Per chi non conoscesse i fatti è bene fare un breve riepilogo.

Subito dopo l’annuncio che Belpietro vuole comprare Panorama ma con costi del lavoro ridotti e tagliati, all’azienda di Segrate si discute un’operazione tipo TuStyle e Confidenze; una lettera personale da recapitare ai giornalisti della redazione del settimanale che deve essere firmata motu proprio dai singoli e destinata alla direzione del personale che le avrebbe “suggerite” e preconfezionate ad personam.

Una richiesta di Fantozziana memoria. Ricordate quando rivolto al suo capo, accomodato su una poltrona di pelle umana, Paolo Villaggio con voce fioca implorava “Mi picchi lei”’?

Ecco, le lettere di cui si è discusso a palazzo Niemeyer, che i colleghi di Panorama avrebbero dovuto firmare e inoltrare alla direzione del personale, recitavano più o meno così: “Gentile direttore, per favore mi riduca lo stipendio del…” e giù la percentuale del taglio, diversa per ciascun giornalista. Applicazione della vecchio principio “Divide et impera“. Se, come trapelano le voci, si fosse raggiunta una media del 45 per cento, avrebbe voluto significare per qualcuno la decurtazione di oltre la metà dello stipendio.

E il sindacato, quello “a fianco dei giornalisti della Mondadori” che sa tutto, cosa fa? Niente. O meglio a parole protesta. Infatti, c’è di mezzo una patata bollente: le elezioni per il rinnovo degli organi sindacali della Lombarda (a fine novembre), della Romana (a metà dicembre), e il conseguente congresso della FNSI, previsto in febbraio.

Ovviamente se l’accordo con l’editore di Panorama fosse stato raggiunto oggi e i giornalisti fossero stati costretti a firmare quelle lettere della vergogna, Paolo Perucchini (presidente della Lombarda, scaduto un anno fa), Anna Del Freo (vice segretario nazionale), Guido Besana (membro di calibro della Giunta FNSI) alla Mondadori avrebbero rischiato di non prendere un voto. Meglio quindi posticipare tutto di qualche mese.

L’ipotesi di rimandare la vendita però salta perché Belpietro sa che se in Lombarda e alla Romana arriva una leadership sindacale meno arrendevole e più combattiva la sua acquisizione a costo zero rischia di naufragare e quindi vuol chiudere e in fretta. E poi in Primavera ci sono le elezioni europee e Panorama gli serve per fare la campagna elettorale a favore di Salvini e Berlusconi. Aspettare dicembre e poi le vacanze di Natale o addirittura il congresso della FNSI in febbraio danneggerebbe – forse irrimediabilmente – l’operazione politica che gli sta a cuore.

Il palazzo della Mondadori a Segrate

Allora prende in mano la situazione. Attiva un numero telefonico e invita i giornalisti di Panorama a parlargli singolarmente per sentire le proposte che è pronto a fare per facilitare il passaggio del settimanale e della sua redazione da Mondadori all’editoriale della Verità. Cioè propone: saltiamo il sindacato e vediamocela noi. Belpietro sa che i nostri colleghi sono terrorizzati al pensiero di perdere il posto e confida nel fatto che sono pronti a tutto pur di continuare a lavorare. Inoltre conosce bene le condizioni del sindacato che non è in grado (o, qualcuno sospetta, non vuol essere in grado) di reagire.

All’annuncio dell’apertura del call center da parte del direttore della Verità (una parola che in russo si traduce “Pravda”, strano vero?) sarebbe dovuto scoppiare il finimondo. Invece un sindacalista della FNSI fornisce ai giornalisti il suo parere: “Io non sono d’accordo, ma non posso impedire, a chi vuole, di telefonare”. Tradotto vuol dire: sono contro la contrattazione individuale, però se qualcuno di voi vuole trattare individualmente lo faccia pure.

Nessuno fa notare che il comportamento di Maurizio Belpietro è antisindacale.

Alla Mondadori siamo arrivati a qualcosa che un sindacato serio, combattivo e motivato, avrebbe dovuto considerare improponibile e quindi irricevibile: la convocazione dei giornalisti di un’intera redazione da parte di un presunto compratore di un ramo d’azienda.

Comunque, a questo punto alcune colleghe e alcuni colleghi della Mondadori raccolgono le firme per convocare un’assemblea ma il sindacato blocca la convocazione (ma che democrazia è mai questa? Quella di Salvini?). Alcuni paladini della Mondadori, risibilmente, sostengono che è un’operazione organizzata da “quei guastatori” di Senza Bavaglio. Il complottismo è una brutta malattia della politica che nel sindacato trova geniali emuli che scimmiottano il peggio del nostro Paese.

Poi – dopo che qualche collega ha telefonato a Belpietro e si è messo d’accordo con lui – l’annuncio: venerdì 26 ottobre i colleghi che si sono accordati andranno alla corte del nuovo proprietario e accetteranno condizioni capestro pur di dar da mangiare ai propri figli, di pagare un mutuo, la rata della macchina, la casa di riposo della vecchia mamma, l’università per i figli o gli alimenti al coniuge separato. Una sconfitta cocente per un sindacato in coma.

Come avevamo scritto, quanto è avvenuto in primavera a TuStyle e Confidenze con l’autoriduzione degli stipendi favorita dal sindacato, che infatti alla fine ha rivendicato “abbiamo salvato i posti di lavoro” (glissando ovviamente sul costo in termini umani di questa vergognosa operazione), ora la stessa tecnica la Mondadori vuole applicarla a Panorama. A metà estate sarà la volta di Grazia e Donna Moderna. Già perché l’azienda – che per altro, ripetiamo, è in attivo – vuole guadagnare sempre di più e anche se le sue testate femminili vanno bene non intendono rinunciare alla possibilità di ridurre il costo del lavoro offertagli da un contratto demenziale che il sindacato si ostina imperterrito a difendere.

Il dramma di questa vicenda è che i giornalisti (non solo quelli della Mondadori) non hanno da vedersela solo con l’azienda, ma anche con un sindacato, intento a combattere chi propone soluzioni alternative e diverse dalle loro.

Illuminante è ciò che ci ha raccontato una persona che è articolo 1 alla Mondadori: “Se il sindacato utilizzasse contro l’azienda le energie per combattere voi di Senza Bavaglio, la situazione sarebbe assai migliore. Invece con l’editore sono arrendevoli e con voi durissimi. Non c’è riunione sindacale in cui non venga colta l’occasione di denigrare e screditare Senza Bavaglio”.

Che il sindacato ci detesti è dimostrato dai fatti. Quando nel maggio scorso si discuteva del passaggio di proprietà di Confidenze e Tu Style a un sedicente editore croato, Senza Bavaglio dopo aver visitato le inesistenti sedi della società che voleva acquistare le due testate, ha chiesto agli avvocati di fiducia se secondo loro c’era un’altra via d’uscita oltre al taglio (illegale) degli stipendi. La risposta era stata positiva.

Qualche giorno dopo in Mondadori era stata organizzata un’assemblea della redazione. Un collega di Senza Bavaglio che intendeva partecipare per spiegare la strategia che avevamo studiato con i loro avvocati, è stato bloccato ai cancelli. Un dirigente gli ha poi spiegato che la richiesta di non farlo passare era venuta dal sindacato.

Avete capito bene: il nostro sindacato ha impedito a uno di noi di esercitare le sue funzioni di sindacalista. Grottesco.

Senza Bavaglio

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