Tra l’indifferenza generale continua la mattanza di giornalisti a Gaza

Gli operatori dell’informazione sembrano presi appositamente di mira dall’esercito israeliano.

Senza Bavaglio
17 dicembre 2023

Il  Rapporto  del 9 dicembre 2023 della  Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ) denuncia che sessantuno reporter palestinesi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza. Quattro giornalisti israeliani sono stati uccisi nelle prime ore dell’attacco di Hamas il 7 ottobre: ​​due durante il festival musicale Supernova e due nei kibbutz di Nahal Oz e Kfar Aza.

Tre giornalisti libanesi sono stati uccisi il 13 ottobre e il 21 novembre in una sparatoria israeliana mentre giravano un servizio sul confine tra i due Paesi. ll gruppo ha affermato che 68 giornalisti sono stati uccisi mentre seguivano la guerra tra Israele e Gaza da quando Hamas ha attaccato Israele il 7 ottobre: ​​più di uno al giorno e rappresentano il 72% di tutte le morti dei media in tutto il mondo quest’anno.

 

Si afferma che la stragrande maggioranza di loro erano giornalisti palestinesi della Striscia di Gaza  dove le forze israeliane continuano la loro offensiva. “La guerra a Gaza è stata più mortale per i giornalisti di qualsiasi singolo conflitto da quando IFJ ha iniziato a registrare i giornalisti uccisi in servizio dal 1990”, ha detto il gruppo, aggiungendo che le morti sono avvenute a un ritmo e su una scala “senza precedenti”.

Il 15 dicembre  2023 Il giornalista di Samer Abudaqa è morto mentre seguiva un attacco militare israeliano a una scuola a Khan Younis, nel sud di Gaza. Abudaqa con la telecamera stava riprendendo, coadiuvato dal collega Wael Dahdouh, un precedente attacco aereo alla scuola Farhana a Khan Younis, quando entrambi i giornalisti sono rimasti coinvolti  da un attacco dell’esercito israeliano.

Dahdouh (che il 26 ottobre in una azione dell’esercito israeliano è stato ferito e la sua famiglia annientata) è stato colpito da una scheggia al braccio ed è riuscito a raggiungere l’ospedale Nasser, dove è stato curato per ferite lievi.

Abudaqa è invece rimasto intrappolato nella scuola per ore, perché i paramedici non sono riusciti a raggiungerlo.  Samer secondo la rete tv, rimasto ferito gravemente, è stato lasciato morire dissanguato dopo oltre 5 ore di agonia, “poiché le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze e ai soccorritori di raggiungerlo, negandogli le tanto necessarie cure di emergenza”.

La notizia del 15 dicembre è stata oscurata o trascurata da importanti agenzie e quotidiani occidentali e italiani. Negare un fatto di tale portata che riguarda la libera stampa è  un segnale preoccupante soprattutto in una zona di guerra dove prevale la censura unilaterale dell’esercito israeliano che controlla in maniera totale i giornalisti al seguito.

L’intimidazione più grave è avvenuta il 13 ottobre scorso fuori da Gaza. I proiettili dei carri armati israeliani sparati in rapida successione hanno ucciso un giornalista della Reuters una delle principali agenzie giornalistiche del mondo e ferito altri sei mentre giravano a sud del Libano.

Issam Abdallah, un video giornalista di 37 anni, è stato ucciso sul colpo da una prima bomba, hanno accertato i rapporti pubblicati giovedì. È rimasta gravemente ferita anche la fotografa dell’AFP Christina Assi, 28 anni, a cui è stata amputata una gamba.

Una seconda arma israeliana che ha sparato meno di un minuto dopo, ha ferito altri membri del gruppo, che stavano viaggiando e lavorando insieme, e ha distrutto un veicolo utilizzato dai giornalisti di Al Jazeera. Il proiettile che ha ucciso Abdallah era un 120 mm, utilizzato dall’esercito israeliano sui suoi carri armati Merkava, hanno scoperto diversi esperti di armi consultati.

Vicino al suo corpo è stata trovata la pinna caudale della munizione. Non è noto che Hezbollah disponga di carri armati e il calibro più grande dell’esercito libanese è di 105 mm, ha scritto Reuters. Secondo le indagini, è probabile che sia stato sparato da sud-est, vicino al villaggio israeliano di Jordeikh, dove operavano i carri armati israeliani.

La legge internazionale vieta di prendere di mira i giornalisti e il gruppo aveva scelto un luogo per le riprese su una collina aperta dove erano chiaramente visibili. Indossavano tutti elmetti blu e giubbotti antiproiettile con la scritta “Press” ed erano nello stesso posto da quasi un’ora.

Non c’era alcuna attività militante nelle immediate vicinanze, dicono i rapporti. L’intensa sorveglianza militare nella zona di confine significava che il gruppo sarebbe stato chiaramente visibile ai comandanti israeliani. Il fatto che lo stesso gruppo sia stato colpito due volte in rapida successione rende improbabile una sparatoria accidentale, hanno detto gli esperti di armi.

Amnesty International e Human Rights Watch hanno affermato che gli attacchi dovrebbero essere indagati come possibili crimini di guerra. Il 21 novembre, l’emittente libanese Al Mayadeen ha fatto sapere che un attacco israeliano a circa un miglio dal confine aveva ucciso due dei suoi giornalisti e una terza persona sul luogo in cui stavano girando.

Dopo l’attacco del 13 ottobre l’inviato israeliano all’ONU, Gilad Erdan, ha dichiarato: “Ovviamente, non vorremmo mai colpire, uccidere o sparare a nessun giornalista che stia facendo il suo lavoro. Ma sai, siamo in uno stato di guerra, potrebbero succedere delle cose”.

La Federazione nazionale della Stampa italiana – il sindacato dei giornalisti – “si unisce” su Internet all’ appello della Federazione internazionale dei giornalisti del 26 ottobre. L’appello avanza “la richiesta ai ministri e comandanti militari israeliani di rispettare il diritto internazionale, in particolare alla luce dei 31 giornalisti che, alla data del 30 ottobre 2023, risultano vittime del conflitto”.

Così lo riassume, nel sito della Fnsi, un testo intitolato “Mattanza di giornalisti a Gaza”. Attendiamo altre prese di posizione e una corretta informazione di giornalisti indipendenti sulla deportazione di 2 milioni di palestinesi e su una guerra che continua in maniera unilaterale diretta da un gabinetto di guerra ristretto guidato da Benjamin Netanjahu che non da conto al parlamento israeliano e ai parenti degli ostaggi indignati dopo l’uccisione di tre ostaggi da parte dell’esercito israeliano.

Senza Bavaglio
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