Speciale per Senza Bavaglio
Laura Verlicchi
Milano, 8 marzo 2023
C’è un giudice a Isernia: punita per lite temeraria una giornalista che ha accusato di averla diffamata il direttore di un quotidiano online. Solo che la diffamazione in quell’articolo non c’è, anzi non c’è nemmeno la querelante: perché si parla di un’altra persona. Una vicenda ormai ultradecennale che è comunque costata al suo involontario protagonista – Marco Marsili, all’epoca direttore del giornale on line “voceditalia.it” – tempo, denaro e tanta rabbia.
Tutto comincia nel 2010, con la pubblicazione di un articolo in cui si racconta la vicenda di una vittima di stalking: Mariella Spaziano, descritta dal Procuratore della Repubblica come “una donna distrutta, tormentata dalla morbosa gelosia e dal carattere violento del suo ex compagno”, che poi è riuscita a far arrestare.
Ed ecco spuntare da Isernia Maria Spaziano, giornalista, dichiarando che quell’articolo offende la sua reputazione, in quanto lei è conosciuta con lo pseudonimo Mariella, come la donna di cui si parla nell’articolo: quindi querela il collega per diffamazione a mezzo stampa.
Marsili si difende, spiegando che si tratta di tutt’altra persona, una casuale omonimia; ma non spegne le intenzioni bellicose della Spaziano che addirittura diserta la procedura di conciliazione obbligatoria per legge, quindi si passa al giudizio penale.
Qui la prima sconfitta la attende: il Gip di Monza dichiara “il non luogo a procedere nei confronti di Marco Marsili perché il fatto non sussiste”.
Infatti nella sentenza, datata 3 dicembre 2014, il giudice scrive che “non è verosimile un dolo. . . in capo all’imputato” e che “non si capisce in quale parte l’articolo possa aver contenuto o modalità espositive diffamatorie”. Spaziano però non si ferma, e questa volta tenta la via civilistica, per “lesione diritti della personalità”, puntando a un risarcimento.
I nodi però vengono al pettine, dato che non riesce, ovviamente, a provare che si tratti di lei in quell’articolo: non basta affermare di essere conosciuta col diminutivo Mariella per essere risarcita di un danno inesistente.
Ovvero, non è credibile che si tratti di diffamazione, poiché la vicenda riportata nell’articolo è vera ed è riferita a un’altra persona, il cui nome anagrafico è riportato esattamente ed è diverso dal nome anagrafico della querelante.
Il tribunale di Isernia, quindi, non solo respinge la richiesta della Spaziano, “per aver agito in giudizio senza fornire adeguato supporto probatorio alle proprie domande”, come si legge nella sentenza del 21 settembre 2020, ma la condanna anche a risarcire Marsili per averlo coinvolto in una lite temeraria.
Risarcimento sospeso perché la Spaziano ha fatto ricorso in Appello: ma il segnale inequivocabile resta.
Laura Verlicchi
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