Con la pubblicazione della lista dei “Putiniani d’Italia”, il Corriere cancella il giornalismo di Piero Ottone

Il lavoro dei giornalisti – diceva l’ex direttore del quotidiano – deve essere improntato alla verifica delle fonti e delle informazioni che si ricevono, evitando di farsi strumento di interessi di parte.

Speciale per Senza Bavaglio
Massimo A. Alberizzi
Milano, 6 giugno 2022

Credo che ieri mattina Piero Ottone, il direttore che mi ha assunto al Corriere della Sera, si sia rivoltato nella tomba a leggere quanto pubblicato dal quotidiano di via Solferino. Io sono solo trasecolato. Sotto un occhiello un po’ inquietante (Dossier: Il materiale raccolto dai servizi individua i canali usati per la propaganda e ricostruisce i contatti. Così la Rete fa partire la controinformazione) si legge un titolo sconcertante: “Influencer e opinionisti Ecco i putiniani d’Italia”. E giù una severa e allarmante lista di proscrizione

Nella foto qui sopra e in quella in basso, l’ex direttore del Corriere della Sera, Piero Ottone

Eppure, a scrivere l’articolo sono due giornaliste esperte e navigate, Fiorenza Sarzanini e Monica Guerzoni. Stavolta il titolo corrisponde al pezzo. Infatti, l’articolo racconta come il Copasir abbia avviato un’indagine “entrata nella fase cruciale. Il materiale raccolto dall’intelligence individua i canali usati per la propaganda, ricostruisce i contatti tra gruppi e singoli personaggi… ”

Il ruolo del Copasir

Che io sappia il Copasir non fa indagini proprie. Piuttosto chiede ai servizi (che fanno indagini) notizie su vicende di loro interesse. Interesse che dovrebbe essere pubblico, non privato. I membri del Copasir, deputati e senatori, però ricevono le informative dall’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e dall’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna) che contengono i contenuti delle indagini.

Forse è stato qualcuno di loro a passare quella lista alle giornaliste? O qualche agente infedele.

Ognuno fa il suo lavoro. Quello dei giornalisti però dovrebbe essere improntato alla verifica delle informazioni che si ricevono, evitando di farsi strumento di interessi di parte.

Ieri, invece, abbiamo assistito a qualcosa di preoccupante: una velina dei servizi segreti che diventa una notizia senza nessuna verifica, un riscontro, un controllo, nessuna indagine conoscitiva. Almeno non c’è scritto nulla di tutto ciò nell’articolo. E soprattutto senza dare agli accusati la possibilità di dare la loro versione dei fatti che gli sono addebitati.

Non in sintonia

Persone che vengono descritte e accusate di essere filoputiniana solo perché pensano cose che non sono in sintonia con le scelte di Biden, di Draghi e della NATO. Di solito un paginone così si dedica agli accusati di terrorismo. Smania dello scoop a tutti i costi? Forse.

Certo se un giornalista trova o riceve una notizia di questo genere deve leggerla, analizzarla, valutarle e anche pubblicarla se ritiene che valga la pena. Ma dovrebbe spiegarne chiaramente la provenienza e mettere in guardia il lettore sul suo carattere propagandistico. Invece niente di tutto ciò.

Piero Ottone spiegava: “Se un giornalista fa un articolo su in incendio a Londra e non è presente al disastro, deve sempre scrivere citando le fonti delle sue notizie: il capo dei vigili, quello della polizia o magari un passante indicato con nome e cognome”.

E poi ancora, parlando delle proteste di piazza di quegli anni, ammoniva: “Non voglio che pubblicate solo i brogliacci della polizia. Scendete in strada e registrate anche quello che dicono i manifestanti”. Nel pezzo di ieri, invece, non c’è nulla di tutto ciò.

Il Corriere della Sera non è nuovo purtroppo a episodi di questo genere. Ricordate Giorgio Zicari? Era il cronista principe della giudiziaria. Fu definito dal Capocronista di allora “il miglior reporter italiano del dopoguerra dopo Tommaso Besozzi”.

Sull’attentato di piazza Fontana pubblicò diversi scoop avvalorando e sostenendo la pista anarchica. Contribuì a sbattere “il mostro in prima pagina”. Pietro Valpreda finì in carcere per qualche anno. Poi si scoprì che Zicari pubblicava, con la copertura del direttore di allora, Giovanni Spadolini, e del suo capocronista, Franco di Bella, veline dei servizi segreti senza controllarle o verificarne i contenuti. Cioè si prestava a depistaggi ben organizzati. Arrivò Piero Ottone e Giorgio Zicari dovette cercarsi un altro giornale. Io non so bene se se n’è andato spontaneamente, se fu caldamente invitato ad andarsene o se fu licenziato.

Fatto sta che Ottone spiegò come fosse intollerabile che un giornalista diventasse strumento di depistaggi e di violazioni palesi della deontologia professionale.

Altri tempi, altro giornalismo.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com

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