Il primo ministro australiano (di origine italiana) si schiera con Assange

Speciale per Senza Bavaglio
Costanza Troini
Roma, 3 giugno 2022

Passano lenti i giorni di tarda primavera che vedono l’attesa per l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, dove lo attende una condanna fino a 175 anni di detenzione, in pratica un ergastolo.

Il giornalista australiano, cofondatore di WikiLeaks, ha totalmente perso ogni libertà da dodici anni. È in attesa di giudizio? Di fatto Assange è stato condannato a morte nel lontano 2010. Fermato, braccato, calunniato, giudicato, perseguitato, carcerato, l’uomo che ha mostrato al mondo il lato oscuro (e spesso occulto) del potere ha scatenato una feroce repressione principalmente contro la sua persona, ma che potrebbe rompere l’argine e sommergere a cascata il concetto stesso della libertà di stampa.

Un nuovo alleato

Questa battaglia durissima per difendere il giornalista al momento detenuto nel Regno Unito, potrebbe avere un nuovo alleato, stranamente sul fronte istituzionale. Potrebbe, forse, si spera…. A sperare sono i parlamentari laburisti australiani che appartengono al partito trasversale a sostegno della liberazione del proprio concittadino.

Il primo ministro australiano di origini italiane, Anthony Albanese

Dal 23 maggio scorso è infatti primo ministro del Paese agli antipodi Anthony Albanese: uomo retto e integro, fedele ai suoi valori, nelle parole di Julian Hill, uno dei leader a favore di Assange e compagno dello stesso Albanese nel Labor.

L’attuale premier in passato si era detto preoccupato a proposito dei tentativi americani di provare i legami del cofondatore di WikiLeaks con la pubblicazione di parecchie migliaia di documenti riservati sui crimini di guerra in Afghanistan e Iraq, nonché di un enorme quantità di cablogrammi diplomatici. Un’operazione, detto tra noi, che è un vanto del giornalismo indipendente, anche se molti a quanto pare evidente non la pensano così.

Reiterata persecuzione

Più recentemente Albanese ha dichiarato di non vedere la finalità ultima della reiterata persecuzione di Assange, spingendosi a pronunciare un secco “ora basta”. Il vasto movimento internazionale che sostiene l’australiano ha capito da tempo quanta sofferenza è stata inflitta a un uomo che ha avuto infinito coraggio professionale.

Molti, tra i quali il padre dello stesso Assange, hanno avuto fiducia che un cambio di governo rappresentasse una svolta per la libertà del giornalista. Ma il nuovo primo ministro, dal momento del giuramento in poi, ha mantenuto stretto riserbo a riguardo.

Alla domanda specifica se spingerà gli Stati Uniti a far cadere le accuse verso il proprio concittadino, Albanese ha schierato un “la mia posizione prevede che non tutti gli affari esteri siano trattati meglio con il megafono”.

Sfortunatamente, come sa bene Assange, chi detiene il potere non ha sempre piacere di agire alla luce del sole, e tantomeno di rendere pubblica la gestione di materiale scomodo.

Costanza Troini
ctroini@gmail.com

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