Ucraina, gli errori dei giornalisti e la (im)possibilità (anche) di chiedere scusa

Speciale per Senza Bavaglio
Beatrice Nencha
Roma, 11 marzo 2022

Nella mia intervista del 7 marzo pubblicata sul sito nicolaporro.it e dedicata ad approfondire “il lato inesplorato” delle sanzioni alla Russia, che il direttore Nicola Porro ha deciso legittimamente di rimuovere, sono incappata in una serie di errori materiali nei dati riportati, di cui volevo scusarmi con i lettori vista la grande risonanza avuta dal mio pezzo.

Purtroppo questa possibilità non mi è stata concessa, come accade spesso quando si fa questo mestiere. Puoi aver fatto molti articoli interessanti, incluso qualche scoop come quello sulla manifestazione del 9 ottobre di piazza del Popolo con assalto finale alla Cgil (cosa per cui Porro mi ha sorprendentemente ringraziata con una telefonata notturna dopo la sua trasmisisone che ha ripreso il mio pezzo, e dico “sorprendentemente” perché ogni grazie in questo mestiere è per me sempre fonte di stupore) ma se commetti un passo falso, difficilmente potrai avere modo di replicare.

Trovo questa prassi non corretta, visto che il giornalista ha fondamentalmente un rapporto di lealtà con i lettori prima ancora che col suo direttore o l’editore.

Per questo l’indomani avevo inviato al direttore un articolo che ho chiamato “di riparazione”. Non avevo citato un fatto che non vuole essere una scusante nei miei confronti, ma che dà solo conto di ciò che è materialmente avvenuto.

Nella catena di comando della pubblicazione, è saltato un fondamentale passaggio: quando ho inviato il mio pezzo, avevo chiesto (sia via mail, sia via messaggio) al direttore, confidando nella sua innegabile competenza economica e specificando che l’economia non è il mio campo, se prima di pubblicarlo potesse ricontrollare la parte relativa ai dati economici citati dall’intervistato.

Mancato controllo

Confidando nel fatto che, se non fosse stato possibile, l’intervista non sarebbe stata pubblicata. Purtroppo questo controllo non è avvenuto,  l’intervista è stata pubblicata e trovo giusto che chi firma un pezzo, al di là di tutto, si prenda la responsabilità per intero.

Come però è giusto, a mio avviso, che l’autore abbia la possibilità di spiegare il perché un suo articolo è stato rimosso, specie se molte persone gli scrivono per avere lumi.

Qui lo faccio unicamente perché rivendico il diritto di un collaboratore a poter essere onesto fino in fondo con i lettori. Questo non cambia la mia stima per Nicola Porro e per il suo sito, che trovo uno dei migliori in circolazione nel panorama italiano e uno spazio prezioso non solo per il giornalismo, ma per ogni voce indipendente. E per questo lo voglio ringraziare, al di là di questo incidente, per lo spazio di libertà che mi ha concesso sulla sua testata.

L’intervista, piuttosto lunga, con l’impreditore che ho ribattezzato “Sergei” (per non esporlo inutilmente a liste di proscrizione, dato che lavora in Italia dove tali liste sono state già create per i giornalisti, ndr) è stata svolta parte in italiano e parte in russo, con alcuni gravi fraintendimenti nella traduzione.

In particolare relativi alla notizia dell’acquisto di azioni della consociata russa di Microsoft (Microsoft Rus, che ha un ufficio di rappresentanza basato a Mosca), ma che non si riferiva  all’acquisto dell’azienda bensì a quello di licenze di programmi, software e servizi informatici.

Microsoft e gasdotto

Dopo l’invasione dell’Ucraina, infatti, come altre corporation Microsoft ha sospeso le vendite di nuovi prodotti e la fornitura di servizi in Russia. Così come segnalato da alcuni lettori, il parco auto russo di automobili si attesta non sui 90 milioni di vetture come riportato dall’intervistato ma, secondo il sito specilizzato nel trasporto intermodale Furlog.com, ammontava a 50,6 milioni di unità al 1° gennaio 2018, registrando la vendita di circa 2 milioni di auto l’anno.

La pipeline Nord Stream 2 che collega la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico

Così il gasdotto Nord Stream 2 – di cui il gruppo russo Gazprom ha una partecipazione di maggioranza nella joint-venture del progetto – è costato non 80 ma 12 miliardi di dollari (10 miliardi di euro). Come premessa all’intervista, Sergei ci aveva segnalato un dato che dà la misura di quanto sia difficile, anche per un cittadino russo con ampi contatti in patria, ottenere informazioni, soprattutto economiche, in questo caotico momento: “La Russia ha deciso che non renderà pubbliche molte delle azioni che intende intraprendere e delle centinaia di segnalazioni che ricevo ogni giorno, anche per me è difficile verificare alla fonte”.

In effetti, dal sito dell’agenzia di stampa Tass  apprendiamo che “Il ministero degli Esteri russo ha esortato a rendere più pubbliche le sanzioni contro i cittadini stranieri” e che “Il Dipartimento ha osservato che “l’eccezione sono quei casi quando c’è un’opportunità speciale per non pubblicizzarli”.

Legge del taglione

Fornire le notizie delle contromosse del Cremlino verso gli Stati considerati “sgraditi” sarà una scelta discrezionale del governo russo. Tra le misure pubblicizzate, alcune prevedono (come ha fatto a sua volta la Comunità internazionale) di confiscare le attività straniere sul proprio territorio e negare l’ingresso ai cittadini stranieri:  “La legge ora consente agli americani che hanno violato i diritti di un cittadino russo di vedere vietato l’ingresso in Russia, di sequestrare i loro beni finanziari sul territorio russo e di vietare loro qualsiasi transazione con proprietà e investimenti. Le attività delle persone giuridiche sotto il loro controllo nella Federazione Russa possono essere sospese, così come i loro poteri nei consigli di amministrazione e in altri organi di gestione di organizzazioni registrate in Russia. Si propone ora di estendere tutte queste misure ai cittadini di qualsiasi stato straniero, nonché agli apolidi”.

Non è certo un segnale rassicurante per nessuna impresa, e meno che mai per le multinazionali, attive sul territorio. Parliamo anche di grandi imprese italiane, legate ai settori dell’energia in particolare.

La crisi finanziaria

Mentre dal sito internet Orenburg già dal 4 marzo, quando nessuno ancora ne parlava, venivano annunciate “le sanzioni di ritorsione della Russia contro le restrizioni occidentali”, varate in un decreto emanato il 28 febbraio dal presidente Vladimir Putin.

Tra cui, per brevità, ne elenchiamo solo alcune: gli esportatori sono tenuti a vendere l’80 per cento dei guadagni in valuta estera. L’ordine di vendita è stabilito dalla Banca Centrale. Ai residenti russi è vietato fornire prestiti in valuta estera a stranieri e accreditare valuta estera su conti bancari al di fuori della Russia. Ai residenti è inoltre vietato effettuare trasferimenti di denaro senza aprire un conto utilizzando mezzi di pagamento elettronici forniti da fornitori stranieri. Tra le vari elimitazioni imposte ai residenti stranieri è previsto: ai cittadini di Paesi che hanno imposto sanzioni anti-russe è vietato prelevare denaro, anche sui loro conti esteri, vendere titoli russi e ricevere dividendi.

A causa delle sanzioni, anche alcune operazioni sono state bloccate, tra cui utilizzare le carte delle banche sanzionate nei Paesi che hanno sostenuto le sanzioni e acquistare titoli esteri tramite VTB, Open Investments e Sovcombank.

Vietato aumentare i tassi sui prestiti

Come misura di sostegno, la Banca centrale ha alzato il tasso di riferimento sui depositi in rubli al 20 per cento annuo. Ciò, a sua volta, “ha portato a un aumento dei tassi sui depositi bancari a livelli che potrebbero compensare la differenza valutaria”.

Allo stesso tempo, Putin ha proibito alle banche di aumentare i tassi sui prestiti già approvati, mentre il primo ministro Mishustin ha incaricato il ministero delle Finanze di spendere 1 trilione di rubli per l’acquisto di azioni entro la fine dell’anno al fine di sostenere il mercato azionario. Infine, una beffa rischia di essere riservata a tutti quei “Paesi ostili” inclusi nella black-list stilata da Mosca (tra cui Usa, tutta l’Unione Europea, Svizzera, Uk, Australia, Giappone, e altri), ai quali “le aziende russe pubbliche e private devono ripagare i propri debiti in rubli, inclusi i bond”.

Con la pesantissima svalutazione del rublo sui mercati valutari, in particolare rispetto al dollaro (ieri scambiato a 150 rubli), le conseguenze di questa decisione sono potenzialmente gravissime. In gioco ci sono, secondo l’Ansa, circa 310 miliardi di dollari di debiti verso l’estero delle aziende russe, 75 miliardi di passivo delle banche russe, 67 miliardi di bond governativi. Con “il potenziale di allargarsi ad altre posizioni debitorie di Mosca – come ha raccontato nel dettaglio “La Verità” lo scorso 8 marzo (titola: “Piombati nell’economia di guerra”) – che ha debiti complessivi verso l’estero per poco meno di 500 miliardi”.

Solo l’’Italia è esposta per 25 miliardi di crediti del settore bancario verso la Russia. Molti creditori, insomma, rischiano di trovarsi ripagati, ma con valuta che è ormai carta straccia.

La crisi energetica

Se queste sono state le prime contromosse del Cremlino a livello finanziario, a preoccupare il mondo sono soprattutto, da giorni, le ripercussioni sui mercati internazionali del prezzo del gas e del petrolio, già schizzati in alto negli Stati Uniti con il greggio volato a 140 dollari al barile e che potrebbe superare, entro il mese, i duecento dollari.

Negli Usa, che pure potrebbero essere energeticamente indipendenti, il carburante non è mai costato così tanto dal 2008. Un impatto devastante sulle tasche dei cittadini e sulle imprese, complice anche l’inflazione galoppante attestatasi al 7,9 per cento.

Nonostante le rassicurazioni del governo di puntare sul mercato dell’auto elettrica e delle fonti alternative non inquinanti., la Casa Bianca ha deciso di liberarsi definitivamente dalla dipendenza energetica dalla Russia, trattando l’acquisto del greggio con altre potenze già sulla lista nera dei diritti umanitari come Iran, Venezuela ed Emirati arabi.

La crisi alimentare

Alle stelle è schizzato anche il prezzo del grano, oltre che del mais e dell’olio di girasole per i prodotti dolciari, di cui a causa del conflitto russo-ucraino si sono interrotte le forniture (Ucraina e Russia coprono l’80 per cento della produzione).

Mosca ha interrotto l’esportazione del fertilizzante, il cui prezzo è lievitato del 170 per cento e risulta già introvabile. La Federazione è anche il primo esportatore netto mondiale di acciaio e grande esportatore di titanio, di cui ha già annunciato il taglio verso alcuni mercati.

Tra le altre materie prime che subiranno rincari anche alluminio, rame, nickel e ghisa. Sempre su “La Verità” si apprende che l’alluminio ha superato per la prima volta la soglia dei 4mila dollari per tonnellata, mentre rame e palladio hanno toccato nuovi massimi storici e il prezzo del nichel è volato al livello più alto dal 2008.

Il disegna illustra il materiale usato per la costruzione degli aerei Boeing 787

La penuria di materie prime disponibili sta determinando forti scompensi nella catena degli approvvigionamenti (già stressati dalla pandemia) dei metalli utilizzati nelle lattine, nelle costruzioni e anche negli aerei.

Il colosso americano Boeing, ad esempio, ha sospeso i suoi acquisti di titanio russo e sta lavorando per diversificare le fonti”. Gli oligarghi avranno meno yacht ma il resto del mondo avrà più costi per volare mentre i pescatori hanno fermato l’attività a causa dei rincari.

La crisi politica in Ue

Secondo Doug MacGregor, colonnello dell’esercito americano in pensione intervistato da Tucker Carlson per Fox News, “se l’esercito russo non si ritirerà dall’Ucraina, come molti oggi stanno comprendendo, il piano è di trasformare l’Ucraina in una sorta di Afghanistan. Non è una buona idea e questo anche perché gli europei non lo consentiranno a lungo. La Germania ha già reso molto chiaro che continuerà a comprare cibo ed energia dalla Russia, così come altre nazioni europee. Le sanzioni alla Russia faranno molto male a noi ma non così male alla Russia, che ha il supporto della Cina e ha abbonanza di materie prime ed energia, che la Cina si accaparrerà. La Russia  non soffrirà dal risultato delle sanzioni ma potrebbe buttare giù il sistema finanziario che abbiamo creato per punire tutti gli Stati che non ci piacciono”.

Contrari all’inasprimento delle sanzioni economiche contro la Russia chieste da Ursula von der Leyen, in accordo con gli Stati Uniti, sono, al momento, Germania, Olanda e Ungheria. In particolare il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha avvertito, in caso di messa al bando del petrolio e del gas russi nell’Unione, che “si metterebbe a rischio la sicurezza energetica europea”, mentre il governo olandese ha parlato di “danni ingestibili”.

La mia intervita sul “lato inesplorato delle sanzioni”, che per l’Italia in particolare potrebbe significare una mazzata anche al prezioso comparto del turismo, del lusso e di alcuni settori manufatturieri d’eccellenza, aveva un senso preciso al di là delle cifre erroneamente riportate.

E, ancora oggi, io resto convinta che il contenuto dell’intervista fosse valido, perché accendeva un faro che in molti, ancora oggi, non riescono o non vogliono vedere. Ovvero: provare a ragionare, fuori dalla propaganda, sul fatto che sarà molto più difficile del previsto scalzare lo “zar” del Cremlino a colpi di sanzioni ed embarghi, perché in un mondo globalizzato tutte queste misure rischiano di tornare indietro come boomerang.

Cosa che sta già avvenendo, registrata persino dalle Borse internaizonali. Visto il ventaglio di alleanze internazionali che Putin ha cementato prima di procedere all’invasione, in particolare quella con la Cina di Xi  Jinping e con la sua influenza su molti stati africani, sudamericani e con India e Corea del Nord, che gli consente di avere sbocchi su altri mercat per Mosca redditizi.

E se il Pentagono ha sin dall’inizio dichiarato di non voler inviare nessun soldato americano a Kiev – “no boots on the ground” è la strategia ufficiale degli Usa, usciti devastati dal luttuoso ritiro dall’Afghanistan – ma spinge per la fornitura di armi e l’imposizione di sempre più pesanti sanzioni, foriere di un’escalation del conflitto – la situazione potrebbe presto precipitare.

E non sarà certo l’Europa, e nemmeno la Russia o l’Ucraina ridotta a un ammasso di macerie nel suo territorio, e con oltre 2 milioni di profughi in fuga, a trarre vantaggio da uno scenario di possibile (o almeno non escludibile) terzo conflitto mondiale.

Beatrice Nencha
nencha@libero.it
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