Senza Bavaglio
22 gennaio 2021
Il giorno in cui Kamala Harris entra nella storia come prima vice-presidente donna degli Stati Uniti d’America ci pensa l’economista Alan Friedman a farci rimettere i piedi per terra e a ricordarci che abbiamo davanti ancora un lungo lavoro e una strada in salita per arrivare alla parità di genere e di diritti fra uomo e donna.
La sua battuta “Melania escort”, alludendo alla moglie dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America, Trump, che esce dalla Casa Bianca gela lo studio televisivo della Rai ma non troppo, non tanto da aprire un contraddittorio sulla gravità delle sue affermazioni. Un’offesa gratuita e volgare che conferma quanto le categorie del pensiero restino stereotipate. E quando Friedman prova a scusarsi si avvita in una serie di giustificazioni che peggiorano la sua già squalificante performance televisiva.
Prima cerca di trovare una spiegazione linguistica, dato che la traduzione letterale di escort è accompagnatrice. Ma ovviamente la giustificazione non regge alla prova della traduzione: Melania Knauss (a proposito, ha anche un cognome, una storia, è figlia di immigrati) è la moglie di Trump, non la sua accompagnatrice.
Friedman successivamente si scusa per la “infelice battuta”. Peccato che non sia solo una battuta. È un’offesa sessista, è il solito refrain: quando si vuole colpire una donna si scende sempre sul piano della sessualità. Le donne, alla fine, anche se sono state First Lady, sono prima di tutto un corpo da sessualizzare e offendere.
Le parole sono importanti. “Sono pietre”, scriveva Carlo Levi. Abbattono o rafforzano gli stereotipi. Creano le categorie del pensiero. Il pulpito di una trasmissione televisiva della Rai raggiunge un pubblico vasto e sarebbe stato fondamentale fare subito chiarezza, non lasciar correre. Le parole portano lontano, non bisogna sbagliare strada. La Rai esclude dai programmi chi bestemmia. Perché non escludere anche chi fa offese sessiste, contribuendo alla diffusione di stereotipi di genere?
Peggio di Friedman è riuscito a fare forse solo Bruno Vespa, quando, nel settembre del 2019, intervistando a Porta a Porta una donna lungamente vittima delle violenze subite dall’ex marito, prima le fece una sorta di quarto grado per capire se lei avesse delle responsabilità – delle serie, “Te la sei andata a cercare”- e poi le disse: “Comunque almeno l’ha lasciata viva”, regalando così un esempio di giornalismo da passare in eredità alle generazioni future.
La vicenda che ha riguardato le offese a Melania Knauss, però, fa riflettere anche per l’eco che ha avuto. Anzi, che non ha avuto.
Perché, a distanza di ore dall’epiteto lanciato da Friedman sulla Rai, non c’è stata nessuna levata di scudi da parte delle associazioni a tutela delle donne, contro la violenza, per la parità di genere, ma sono singole prese di posizione, da Laura Boldrini a Giorgia Meloni?
Forse perché Friedman è un economista vicino alla sinistra e Melania Knauss è sposata a un uomo che rappresenta la destra americana, è ricca, non è particolarmente simpatica né alla mano? O vogliamo veramente credere al lapsus linguistico? Perché le offese sull’aspetto di Giovanna Botteri hanno suscitato centinaia di prese di posizione e qui solo timide voci?
Così facendo si rischia solo di fare passi indietro. L’indignazione a corrente alternata non porta lontano. Anzi, forse non porta da nessuna parte.
Senza Bavaglio
twitter @sbavaglio
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