Le “marchette” e il cammino dei comunicatori verso il giornalismo

Speciale per Senza Bavaglio
Andrea Montanari
Milano, 2 dicembre 2020

Viviamo in un’epoca difficile, complessa, forse anche liquida. Per il nostro mestiere. Tante o troppe commistioni tra informazione e pubblicità. Lo si rileva quasi ogni giorno su giornali, tv, siti internet e blog. Si è disintermediato il concetto di giornalismo. Anche a causa del fenomeno “influencer”. Non solo Chiara Ferragni&Co ma anche giornalisti che, in nome della notorietà social, a volte sconfinano o debordano, bypassando o mettendo in un angolo la deontologia professionale.

Ma c’è anche un altro trend, invero in atto da tempo immemore, coperto dal concetto di ghostwriting soprattutto di stampo politico, che sta emergendo. E che non fa bene alla nostra categoria, al nostro mestiere, all’informazione in generale.

Partiamo da un caso concreto per affrontare il tema in maniera generale. Noi giorni scorsi, attraverso il quotidiano Il Riformista è ri-scoppiata (la primogenitura se l’è assegnata il Fatto Quotidiano) la notizia, o meglio è emerso lo scoop, che un colosso mondiale del settore tabacco, ovvero la Philip Morris, avrebbe garantito alla società di consulenza Casaleggio Associati – la “madre” tecnologica e ideologica del Movimento 5stelle – la somma di 2,4 milioni.

La società guidata oggi da Davide Casaleggio, figlio del guru del web Gianroberto, fondatore assieme a Beppe Grillo del partito al governo con il Pd, non fa solo indagini di mercato, ma organizza eventi e definisce strategie di comunicazione e marketing digitale.

A firmare l’articolo sul Riformista è stato il giornalista Aldo Torchiaro. Un collega che però ha anche altrI incarichi formali, non si occupa solo di informazione ma dal lungo e articolato curriculum si evince che è esperto di comunicazione pubblica e politica, conduttore docente a contratto, autore di testi di strategia mediatica nonché capo ufficio stampa e digital strategist per il movimento “Fare per fermare il declino”, movimento divenuto poi politico promosso dal giornalista Oscar Giannino, persona oggi molto vicina all’attuale presidente di Confindutria.

Sul caso in specie è intervenuto anche il quotidiano La Verità che nei giorni scorsi ha messo in evidenza come Torchiaro, pr e giornalista, sia anche media relation director di Spencer&Lewis (come si poteva comodamente vedere su una pagina online del sito della società che poi però ha provveduto a rimuovere il profilo dello stesso Torchiaro prendendo le distanze dal professionista in questione), agenzia di relazioni pubbliche che tra i suoi clienti annovera anche Jti, altro colosso del tabacco, questa volta elettronico in quella che è la “guerra del fumo” su scala mondiale e non solo e che è spesso collegata ad azioni di lobby politica a livelli di singoli Stati nazione.

A Senza Bavaglio non interessa entrare nello specifico dello scontro tra Philip Morris e Jti o altri player del settore né tantomeno in un eventuale scontro tra testate – La Verità vs Il Riformista. A Senza Bavaglio interessa capire come mai, essendoci in Italia un Ordine dei Giornalisti, uno e più albi ai quali un giornalista che svolge questo mestiere in modo continuativo – ottenendo emolumenti per la professione – deve iscriversi, essendo un codice deontologico che indica le modalità di lavoro, i crismi della professione, le regole del mestiere, spesso accade che ci sia questa commistione.

Non è certo e solo questo il caso. Anzi. Esistono altri professionisti multitasking o meglio multi-professioni. Ciò perché il confine è sempre più labile, soprattutto con l’online. E soprattutto alla luce del fatto che l’Inpgi, per cercare di restare in piedi – i conti attuali parlano di 2,07 anni di durata della Riserva tecnica -, sta cercando di  far rientrare nel proprio alveo previdenziale i 13-14mila comunicatori attivi sul mercato italiano. Professionisti che, invece, come hanno ribadito anche lo scorso 16 novembre con un documento pubblico inoltrato al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Andrea Martella (PD), come ReteCom (riunisce 12 associazioni del settore) di non volerne sapere, di non essere interessati a una “deportazione contributiva”.

È questo che bisogna davvero capire, valutare, decidere: che mestiere fanno i comunicatori? Sono informatori? O sono professionisti della comunicazione aziendale? I casi, e ce ne sono tanti sul mercato, indicati sopra sono un esempio. Il rischio di contaminazione è sempre più forte. E va evitato. Anzi va censurato.

Andrea Montanari
Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti dell’Ordine della Lombardia
Consigliere generale dell’INPGI
amontanari@class.it
twitter @ilmontanari

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